In occasione del 75° della fondazione del PdA. Intervento del presidente della Fondazione Nitti

Roma 4 luglio 2017

75° anniversario della fondazione del Partito d’Azione.

Intervento del prof. Stefano Rolando

Roma 4 luglio 2017

Siamo qui – malgrado il sole cocente e lo sferragliare dei tram romani – con evidente comune emozione. 75 anni sono più o meno la vita di un essere umano. Un arco di tempo che contiene tre generazioni. Dunque un arco storico in cui si passano molte consegne, si tramandano un certo numero di valori, si consegnano carte.

La costituzione del Partito d’Azione fu un punto di congiunzione tra la  storia dell’antifascismo militante e militare di Giustizia e Libertà  e l’imminenza della rigenerazione della classe dirigente italiana (come comincerà ad avvenire dopo il 25 luglio del ’43).

Dunque azione e rigenerazione.

Tra i misteri-non misteri dell’Italia del ‘900 resta quello dalla precoce dissoluzione del PdA solo cinque anni dopo. Quando, come ha spiegato poco fa Enzo Marzo,  una maggioranza che non si reputava maggioranza mise fine ad una storia per entrare, con molte influenze, in altre storie: certamente quelle dei socialisti e dei repubblicani, ma anche quella di altre formazioni (liberali, socialdemocratici, radicali, persino ambiti cristiani e comunisti).

Ringrazio di cuore gli organizzatori che hanno reso possibile il recupero per tutti noi al tempo stesso semplice e solenne di questa data. Le mie parole si limitano al saluto che desidero portare da parte della Fondazione Francesco Saverio Nitti, che presiedo.

Nitti, come si sa,  non fu parte dell’azionismo. Ma la “matrice nittiana” è una espressione riconosciuta dagli storici come tratto essenziale della formazione culturale di una parte molto significativa di quel gruppo di grandi italiani che hanno contribuito a liberare, ricostruire e costituzionalizzare l’Italia. Cinque anni possono essere niente nel corso di un secolo e della storia. Ma il loro peso dipende ovviamente da quello che sta dentro questo intenso breve periodo.

In quel periodo l’azionismo commistionava culture liberalsocialiste e liberaldemocratiche; proponeva con urgenza il tema della modernizzazione dello Stato; assumeva il tema di un nuovo e diverso meridionalismo; lanciava il tema dell’Europa che la sinistra di origine marxista comprese con grande ritardo; esprimeva il tema dell’antifascismo “analitico”, cioè capace di non mettere confini solo ideologici tra profili e storie e destinata ad una politica delle competenze non solo della agitazione.

Voglio qui anche ricordare che un altro Nitti – Francesco Fausto – era al confino di Lipari con Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, fondando con loro e con Alberto Tarchiani nel 1929 Giustizia e Libertà.

E con Tarchiani sarebbe poi stato in America Alberto Cianca, consuocero di Nitti e parte della rete antifascista italiana attorno a casa Nitti a Parigi, per perorare la causa dell’antifascismo presso il governo americano e poi per sostenere l’avviamento del Piano Marshall. Per queste ragioni Cianca non era nel gruppo della prima ora qui a via Canina ma fu nella rappresentanza azionista alla Consulta, anzi fu ministro per la Consulta nel governo del tempo.

Queste storie, come detto,  raccordano almeno tre generazioni. Ormai anche più. Chi vi parla a 19 anni, nel 1967,  nel Partito Repubblicano di Ugo La Malfa era segretario dei giovani repubblicani milanesi e molti di quei ragazzi si chiamavano e si consideravano “post-azionisti” Lo dico non per questo piccolissimo aneddoto in sé, ma per aleggiare il pensiero di tanti (abbiamo sentito poco fa il messaggio dello stesso Giorgio La Malfa) attorno a molte e diverse esperienze che nel corso degli anni hanno pensato che prima o poi si sarebbe potuta riprendere la pagina non ancora scritta di quella storia interrotta. Naturalmente non è questo l’argomento di questa giornata simbolica. Oggi gli occhi sono quelli della memoria che tuttavia – come deve fare la memoria – vigila sul futuro.

(Presidente della Fondazione Francesco Saverio Nitti)

 

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