

Il presidente-garante e il segretario generale di Più Europa, Gianfranco Spadaccia e Benedetto Della Vedova, hanno rispettivamente aperto e concluso la conferenza “Le libertà di espressione, contro l’alterazione della realtà”, promossa presso l’Umanitaria a Milano il 17 maggio 2019 da Più Europa con la collaborazione di Cantiere delle Ragioni-Partitodiazione. Questi i testi dei loro interventi.
Gianfranco Spadaccia
Anch’io, come Simona Viola che è appena intervenuta, penso che questo tema della libertà di espressione vada ricomposto all’interno del tema del diritto alla conoscenza. In una democrazia liberale ciò significa anche conoscenza dei diversi programmi, dei diversi punti di vista, dei diversi giudizi, che consentano a ciascun cittadino di essere informato attraverso un onesto confronto. Un elemento che oggi con evidenza manca.
Per questo sono molto grato a Stefano Rolando, esperto di comunicazione, e sono altrettanto grato a Cantiere delle Ragioni-Partitodiazione – che sono lieto facciano parte della famiglia di Più Europa attraverso un percorso che abbiamo faticosamente costruito – per mettere oggi le basi ad una cosa importante: aprire, dal nostro punto di vista, una stagione di lotta politica, diciamo pure una vera e propria “vertenza”, sul tema del diritto alla conoscenza proprio nel quadro di ciò che stiamo vivendo, che è provocatoriamente definito come “il tempo della post-verità”.
Che purtroppo non vuol dire la conquista di una verità più alta e più completa, ma al contrario la legittimazione della non verità.
Quando la rete era una ovvero il soggetto radiotelevisivo era uno, ma anche quando i soggetti sono diventati sei e le reti sono diventate sei, tu potevi diventare vittima di sistema. Non parlo tanto delle persone ma dei grandi temi che venivano, anche a lungo, ignorati e censurati, tenuti fuori dal circuito dall’informazione che raggiungeva la maggioranza dei cittadini. L’informazione passava quando cadeva la barriera. E così – naturalmente a seguito di lotte e battaglie – il dibattito partiva. E’ stato così per il divorzio, per l’aborto, per l’obiezione di coscienza, per molti diritti civili, persino per la riforma del sistema politico.
Noi ci troviamo oggi in un quadro in cui in apparenza c’è più libertà. Perché le reti sono infinite, perché ciascuno può ascoltare quel che gli pare, perché ci sono i social media che trasformano ciascuno in un produttore di informazione. Il problema è che quel quadro oggi così trasformato aveva una sua possibilità di regolamentazione, mentre oggi si esclude persino in via di principio che sia possibile introdurre regole. Ed è nel quadro senza regole che le intenzioni di chi ha il potere risultano più chiare e più pesanti. Lo sappiamo in ordine alla vicenda di Radio Radicale, ma lo sappiamo più in generale in ordine all’attacco che viene portato all’intera editoria giornalistica (intanto non mettendo in pericolo i grandi giornali, ma testate come Avvenire e il Manifesto).
E per potere agire in modo partecipato dobbiamo appunto rovesciare la questione e vederla dal punto di vista dei cittadini, ovvero dal diritto di tutti di essere davvero informati.
Ecco perché parlo di “vertenza”, perché questa diventa ora una forma di lotta necessaria, rispetto a quando i soggetti erano più delimitati e le situazioni molto più definite.
Da questo punto di vista – e anche per questo il coinvolgimento di Stefano Rolando nel tema aiuta – abbiamo bisogno di coinvolgere di più il sistema universitario, partendo da ciò che diventa essenziale in quelle fabbriche della conoscenza. Ma anche avendo coscienza che si apre una lotta di principio molto più complessa rispetto a quella che ci ha impegnato un tempo pur nel medesimo impegno non violento.
Si parla molto di disintermediazione e si parla di profezie di chi ha aiutato a promuovere questa disintermediazione. E’ stato citato Casaleggio, che ha anche pronosticato la fine del Parlamento. Considerato, in prospettiva “superfluo”. Una prospettiva di pochi anni, di una generazione.
Vorrei che si riflettesse sul clima che sta attorno al tema che dibattiamo. Stiamo entrando nei contorni evanescenti e inafferrabili della democrazia. E dobbiamo chiederci quali conseguenze ciò può avere anche per il nostro sistema informativo.
Ecco perché penso che oggi stiamo dicendo una cosa importante per la nostra agenda: questo deve diventare un tema centrale e permanente di attenzione. Pur essendo un tema centralissimo anche in Europa, non siamo riusciti che solo oggi ad affrontarlo un po’ in questa campagna elettorale.
Ma sappiamo che di questo clima siamo finora vittime. La gran parte dell’informazione politico-istituzionale è monopolizzata da due partiti di governo che pretendono di essere insieme governo e opposizione. Spazi minori sono assicurati a non più di due forze fuori dal quadro di governo. Ma i minori – come sempre essenza della democrazia – sono totalmente marginalizzati. Ritroviamo qui un vecchio tema e una vecchia battaglia, ma che ora ha contorni molto più complessi.
Ringrazio ancora per avermi invitato. Ma lancio da qui volentieri la sfida a Stefano e a chi è in grado di raccoglierla per un più ampio lavoro di coinvolgimento dei soggetti a cui questo tema deve stare a cuore e per cercare la rete di coinvolgimenti nelle forze politiche e professionali – come la nostra conferenza di oggi vuole metaforicamente esprimere – che siano in grado di fare di questi temi una “grande questione nazionale ed europea al tempo stesso”.
Questione che alla fine si identifica con la battaglia per la quale siamo nati, la prospettiva della democrazia liberale.
Benedetto Della Vedova
Vorrei fare conclusioni brevi. Intanto per ringraziare Stefano dell’idea stessa di un evento in campagna elettorale europea su questo tema e ringrazio chi lo ha promosso con noi e tutti coloro che sono intervenuti oggi per la qualità e la novità dei contributi portati.
Una prima considerazione di carattere generale. Chi, come me, è cresciuto prima della rete e poi a un certo punto ha incocciato la straordinaria potenzialità del web, ha visto a un certo punto (che ci ha forse dato in ritardo una piena consapevolezza) un passaggio abbastanza accelerato dalla rete come moltiplicatore potentissimo di libertà e di opportunità alla fase in cui siamo oggi attraverso la più volte citata oggi “disintermediazione”.
E oggi infatti ci facciamo una domanda sempre più evidente, perché questa “fase” si va caratterizzando come quella di una delle più potenti “intermediazioni”. Lo dico, pensando prima ancora degli aspetti delle informazioni ovvero della politica, al piano delle attività e delle funzioni commerciali.
Venti anni fa tutti, non perché non capivano ma perché allora non si poteva capire, pensavamo che le piattaforme ampliassero le possibilità dei consumatori di scegliere, disintermediando rispetto alle catene della distribuzione, rendendoci tutti più liberi e potenti. Siamo arrivati a un momento in cui, a furia di disintermediare, ci ritroviamo pesantemente intermediati, nelle cose che facciamo, per esempio nelle cose che compriamo, da un paio di grandi aziende. Credo che tra Google e Amazon ci sia una delle maggiori intermediazioni di tutti i tempi. Se ci mettiamo dentro anche Ali Baba si dovrebbe superare la maggioranza assoluta della catena degli attuali processi commerciali on line.
Quando ti trovi il vasto menu con le scelte vantaggiose a portata di mano pensi di fare quello che vuoi, mentre invece stai facendo quello che vogliono.
Non intendo demonizzare niente. Nemmeno riguardo al complesso tema dei dati, a cui arrivo dopo.
Credo però che il tema che dobbiamo porci – e che oggi è stato toccato – è tema a cui siamo arrivati un po’ lentamente, anche se ormai c’è chi comincia a scriverne. Ed è come arrivare in una chiave di libertà, quindi in una chiave liberale, ad affrontare questi monopoli o oligopoli che stanno gestendo il nuovo processo di intermediazione. Stefano Quintarelli, per esempio, è tra chi sta affrontando con più coraggio la questione. Non solo come tema teorico ma anche esaminando gli aspetti economici. I nuovi monopolisti, che un tempo erano quelli del petrolio e dell’energia che portarono negli USA la prima legislazione antitrust, pongono oggi analogo problema di dare risposte adeguate.
E noi, è vero, siamo un po’ in ritardo. Oggi tra gli interventi è stato citato più volte Steve Jobs, proprio lui aveva detto per tempo “state attenti che se una cosa ve la offrono gratis vuol dire che il prezzo siete voi”.
Così arriviamo anche al tema dei dati, acquisendo intanto ciò che i vari panel di oggi hanno fatto emergere, cioè una sollecitazione alla politica ad occuparsi ovvero almeno di cercare queste “soluzioni adeguate”, non di lasciare fare al mercato senza pensarci.
E voglio dire che, almeno per quanto riguarda Più Europa, che questa è una sollecitazione che intendiamo raccogliere. Anche, lo dico con franchezza, superando alcuni riflessi pavloviani liberali, appunto quelli della “libertà”. Sarebbe stato così nella fase iniziale, ma non dopo aver visto crescere i potenti fattori di nuova intermediazione che non pongono solo questioni di libertà. E dobbiamo quindi recuperare la classicità di categorie che sembrano sospese nell’aria, come la concorrenza o la rottura delle posizioni dominanti.
Il punto più scandagliato questo pomeriggio è stato quello dell’informazione.
Ho sentito cose molto suggestive, anche molto diverse tra di loro. Per esempio sulle fake news avrei un riflesso molto più semplice: disintermediando anche dal punto di vista della produzione di notizie si arriva a questa generazione di prodotto. C’è chi ha detto che le fake news ci sono sempre state. Vero, anche se esse erano collocate in un percorso molto più tracciato, in cui esse offrivano tra l’altro strumenti più potenti ai regimi totalitari. Accade questo secondo me: se è vero che le fake news ci sono sempre state, è vero che oggi non ci sono più le notizie. Si è creato un modo di propalare informazione che ormai prescinde dalla notizia.
Tanto che abbiamo capito che persino Zuckerberg si è spaventato riconoscendo il mostro messo in campo. Perché quel che vediamo è che non c’è più la possibilità di distinguere. Magari poi l’evoluzione del processo in atto ci sorprenderà ancora una volta e arriveremo a meccanismi di selezione. Lo stesso Zuckerberg comincia a pensare a mondi più chiusi e a modi di tutela. Ma nel frattempo sono emersi temi contenitori di nuova potenza straordinaria: quello degli algoritmi così come quello dell’intelligenza artificiale.
Dal punto di vista della comunicazione politica, abbiamo cominciato a pensare ovvero a percepire che nel momento in cui non sponsorizzi in rete la tua comunicazione, per esempio su Facebook, cioè non investi risorse nei tuoi messaggi, finisci per essere penalizzato anche nella circolazione ordinaria di tutto quello che tu produci e metti in rete. Cioè la comunicazione che rimane nel canale non sponsorizzato finisce depotenziata. Rilancio a chi la sa fare la analisi più precisa e più scientifica di questo argomento. Andrà dunque verificato, ma l’argomento va certamente a sostegno di quel che si diceva a proposito del fatto che non c’è più la disintermediazione di cui abbiamo tanto parlato, ma c’è invece il massimo della intermediazione non percepita.
Allora, uno è il tema del business che sta sempre più confondendosi con quello dell’informazione e delle notizie. Se lo andiamo a vedere in Cina i caratteri sono definiti e inquietanti: c’è un’autorità pubblica che traccia tutto quello che tu fai. Dieci anni fa avremmo detto: tutto quello che tu fai in rete. Oggi vediamo che si deve dire: tutto quello che tu fai, punto. Non c’è più un pezzo della nostra vita che non abbia un racconto digitale, anche magari perché il racconto lo forniamo noi stessi, con una foto, un’informazione, un riferimento. Il social scoring (ovvero il Social credit system messo a punto in Cina) consente in quel paese al governo di tracciare elementi per arrivare a dire se Stefano Rolando è o no un buon cittadino[1]. E, in una graduatoria, arrivo ad assegnare ad ogni cittadino un punteggio. Decidendo poi se fargli continuare o no la carriera universitaria, se dargli o no un visto per viaggiare all’estero e altre applicazioni che possono riguardare la sanità, le assicurazioni, il lavoro.
E’ un mondo mefistolefelico e infernale? Diciamo che è il mondo. Per tante cose è un mondo migliore. Per altre cose è un mondo che richiede analisi e misure. Ho letto una definizione di uno storico inglese a cui chiesero se fosse ancora possibile in questo nostro mondo connesso e nell’era di internet sia ancora possibile lo scatenarsi di una guerra mondiale in Europa a causa del risorgere dei nazionalismi. La sua lapidaria risposta me la sono stampata nel cervello: la tecnologia è in continua evoluzione, l’umanità no.
Non illudiamoci,
insomma, che l’evoluzione delle tecnologie possa cancellare un’antica essenza
dell’umanità.
Detto tutto ciò, che si parli di rete in
termine di intermediazione della vita e degli acquisti, per cui se non passi da
certi canali finisci a margine, così che alla fine sono loro che ti mettono in
condizione di trovare quello che vogliono; o che si parli dell’informazione e
del sistema delle notizie, noi – questo il senso di avere collocato il
dibattito di oggi nello schema della campagna elettorale per le europee – abbiamo ben chiaro che se la discussione e la
ricerca di soluzione non si fanno nella dimensione europea ebbene esse non hanno
nemmeno ragioni per essere perseguite.
E – sono d’accordo su come oggi ho sentito sollevare il tema – questione numero uno resta quella della privacy. Dunque una ricerca di soluzione che passa inevitabilmente attraverso la possibilità di avere regole ferree. A chi mi dice “giù le mani dalla libertà delle rete”, dico che ciò è stato ma che il punto di evoluzione raggiunto obbliga a soluzioni regolamentative. Difficili ma ineludibili.
Se già in campi più tradizionali i tempi della legislazione sono troppo lenti rispetto alle necessità di corrispondere alla realtà, qui chiunque capisce che il rischio di arrancare davanti al passaggio di un missile.
Regole e politiche di governo sono tuttavia un obiettivo necessario. Mi fa piacere che sia stata richiamata la commissaria Margarete Vestager, membro insieme a Emma Bonino del gruppo top liberaldemocratico in seno all’ALDE, che è forse quella che ha avuto in questo campo le intuizioni più interessanti. E’ vero che mancano ancora gli strumenti, perché finisci ad arrivarci un po’ di straforo con le regole sulla concorrenza piuttosto che sugli aiuti di Stato piuttosto che sull’indispensabile questione fiscale.
In campo poi di informazione o la politica è europea o non c’è. Credo che in Europa siamo ancora in tempo. Si fa una caricatura dell’Europa per puro posizionamento elettorale. Certo che vogliamo cambiare e migliorare l’Europa, ma quella che c’è è già un presidio importante rispetto alle questioni di cui stiamo parlando. Basti solo pensare che un soggetto come Facebook ha con la UE – per le sue dimensioni e la sua massa critica – una interlocuzione “alla pari” che non ha con i contesti nazionali.
Il nostro punto di vista – appunto quello che promuove “più Europa” – non è limitato a quello che c’è, ma con evidenza chiede soprattutto “più di quello che ancora non c’è e che serve”.
Ove insidiata, la libertà di espressione e di informazione dipende da chi è predisposto a battersi per ciò che non c’è o non basta. La “tutela” – lo ha detto Simona Viola all’inizio – dunque è concetto che, con i problemi che stiamo fronteggiando, non ha praticabilità se non nella dimensione europea.
Grazie a chi ha
organizzato e partecipato a questa iniziativa.
[1] Sistema raccontato nei dettagli da Wired: https://www.wired.it/internet/web/2017/10/25/cina-punteggio-social-ai-cittadini-2020/ (ndr).