L’Assemblea nazionale di Più Europa (Roma, 22-23 giugno 2019) ha eletto presidente dell’Assemblea stessa Bruno Tabacci (Centro Democratico), vicepresidenti (Simona Viola (Radicali) e Alessandra Senatore (Forza Europa), tesoriere Valerio Federico e presidente della commissione di garanzia Lorenzo Strick Lievers (entrambi già radicali). Benedetto Della Vedova ha aperto e chiuso i lavori come segretario generale. Un intervento nella prima fase dei lavori, lucido e sofferente, di Emma Bonino ha creato le condizioni, pur con frizioni rimaste, di ricomposizione interna che ha permesso la costituzione degli organi e la votazione finale delle mozioni riguardanti prospettive organizzative, iscrizioni, raccolta firme e finanziamento. La mozione presentata da Benedetto Della Vedova e altri è stata approvata e quella – in parte convergente e in parte divergente, quindi presentata in alternativa da Carmelo Palma e altri ha avuto una maggioranza di voti contrari. Gianfranco Spadaccia, presidente uscente, si è astenuto per “l’insufficiente proposito di smobilitazione delle gabbie partitocratiche interne e a favore di un modello federale di partito”. Nel corso del dibattito, come già avevo fatto in Direzione, ho ripreso il tema dell’opportunità di indire una conferenza programmatica che ridefinisca il quadro identitario e teorico con ampio contributo di competenze e risorse culturali anche esterne e come occasione di collaborazione e inclusione anche dei soggetti politici che hanno contribuito all’impegno elettorale europeo (socialisti, repubblicani, autonomisti, democratici europei). Il testo fa seguito. La mozione generale approvata: https://piueuropa.eu/wp-content/uploads/2019/06/LIBERALE-DEMOCRATICA-E-PROGRESSIVA_DEF.pdf |



Stefano Rolando
(Presidente di Partitodiazione, membro della Direzione nazionale di + EU)
Roma, 23 giugno 2019. Ci si deve rallegrare per l’esito della ricomposizione degli organi di Più Europa avvenuto ieri sera perché si esce da un rischio di conflittualità forse senza fine e perché ci stiamo dando la possibilità di generare un clima costruttivo aperto anche ad altri contributi. Soprattutto, sia pure con un certo ritardo, si torna a parlare di ridefinizione progettuale (come ha fatto il segretario nell’introduzione ai lavori). Come avevo fatto in Direzione, anche lì riprendendo un cenno di Benedetto, segnalo che su questo il dibattito è tenue e prosegue piuttosto una situazione inerziale. Dobbiamo invece spostare pensiero e iniziativa su questa ipotesi rigenerativa che non va vista come un “orpello”, una formalità, un appuntamento da ufficio studi. Ma per riqualificare sia il nostro tema identitario che il nostro approccio teorico. A un certo punto della storia politica sono state messe in soffitta le ideologie. Qualcuno ha equivocato e pensato di archiviare anche il pensiero teorico. Non c’è politica, di governo e di controllo, che non presupponga un quadro di riferimento che sappia agire su cose sempre più difficili: interpretare processi e compiere scelte. Ripetiamo a volte senza più chiari connotati l’espressione “liberaldemocratici”. Ma non è chiaro a dove e a cosa facciamo risalire questo profilo che ha guidato due secoli di politica moderna passando da priorità nazionali ad evidenze proprie di una globalizzazione che va meglio decifrata. E se guardiamo al territorio politico che l’Europa liberaldemocratica presenta vediamo anche correnti liberali conservatrici e – in modo accentuato dopo la trasformazione dell’Alde con l’ingresso dei parlamentari di En Marche – anche correnti liberalsocialiste. Un terreno questo che ha avuto in Italia una stagione speciale nella seconda metà degli anni ’70 – la ricordo perché allora da giovane approdato alla redazione di Mondoperaio potevo ascoltare di persona il risveglio provocato da Norberto Bobbio attorno ad un modo di coniugare temi di libertà e di uguaglianza in una cornice oggi si direbbe sostenibile all’idea di crescita. Ecco il senso di quella svolta che da lì a poco avrebbe modificato culture politiche e formato nuove classi dirigenti. Oggi anche quella svolta non è più sufficiente. Lo sguardo deve andare ai ripensamenti dei rapporti tra Stati e processi globali, tra dinamiche del mercato e difesa del welfare. Ecco perché la nostra conferenza deve fare attenzione ad alcuni fattori:
- Guardare ai laboratori che, magari nell’indifferenza di una domanda della politica in campo, pur ci sono.
- Avere il coraggio di aprire dialoghi con il sistema di ricerca che le nostre Università esprimono, anche qui dando segnali di voler fermare questo divorzio crescente che c’è in Italia tra politica e cultura.
- Coinvolgere il pluralismo politico che legittimamente si considera parte di questo territorio liberaldemocratico e liberalsocialista, attorno a cui il nostro primo passo è avvenuto con le elezioni europee (e volendo ricordare simbolicamente che oggi, 23 giugno 2019, è esattamente il giorno del centenario – sia consentito questo ricordo che faccio come presidente della Fondazione “Francesco Saverio Nitti” – dell’insediamento il 23 giugno 1919 del governo presieduto dallo stesso Nitti, esponente del Partito Radicale, che comprendeva anche liberali, socialisti riformisti e popolari e che si misurò seriamente con l’insorgenza del populismo e del fascismo in Italia).
- Tenere stretti rapporti con i tavoli europei di elaborazione sia della commissione di quaranta parlamentari europeisti che a Bruxelles stanno scrivendo il programma di legislatura, sia con il lavoro di ridefinizione del gruppo ex-Alde che sta operando sul nostro stesso tratto tematico.
Dobbiamo fare uscire la nostra discussione dal sorvolo di una cultura di puro marketing che ci fa discutere più di posizionamento che di argomentate posizioni. E, in fin dei conti, dobbiamo agire come un partito che perché piccolo ha più agilità di fare scelte non ambigue. A condizione che non rappresenti né una fatica né una improvvisazione una cosa che la politica faceva e che sta largamente perdendo: tornare a studiare.