Articolo pubblicato su Linkiesta, 7.9.2019

Stefano Rolando
La prima osservazione originale fatta nel corso del “travaglio politico”, prima delle intese, è stata quella di un analista prudente e informato, come il direttore della “Stampa” Maurizio Molinari: “È la prima volta, nel mondo, in cui un vecchio partito di tradizione tenta un patto con un nuovo partito populista”[1].
Il senso della battuta era e resta quella di porsi criticamente rispetto agli sviluppi: vedere se M5S evolverà e si lascerà alle spalle il ricorso demagogico continuo alla mitologia dei “cittadini” per non assumersi responsabilità vere; oppure se una demagogia strisciante, con tentativo di guadagnare consensi senza assicurare interessi generali, finirà per contaminare il PD.
Molteplici contesti politici che possiamo considerare progressisti (Più Europa, i socialisti, gli autonomisti dei territori a statuto speciale, i repubblicani, la galassia radicale, Italia in comune, i Verdi, la costola calendiana – e non solo quella – del PD, alcuni ambiti che si richiamano alla tradizione liberale, movimenti civici rappresentati), sono stati attraversati da diversi approcci interni. Tra chi vedeva con evidente favore la fuoriuscita di Salvini e di una Lega aggressiva e estremizzata dalla “sala macchine” (per alcuni prevalente) e chi non riteneva giusto il colpo di spugna sulle pregresse responsabilità dei Cinquestelle ovvero imbarazzante sostenere la stessa guida del governo nelle due edizioni così contrapposte.
Per entrare in giudizi più approfonditi sarebbe servito il tempo di un apprezzamento serio dei programmi e una verifica delle storie e delle coerenze dei protagonisti indicati per gestire il cambiamento. Mentre la sollecitazione mediatica ha spinto verso deliberazioni prima del conferimento e quindi stringendo e stressando le opzioni.
Guardare oltre lo schema politico rappresentato dalla soluzione di governo
Nel quadro di questi argomenti e nel piccolo ambito di responsabilità che mi riguarda (la direzione nazionale di Più Europa), ho proposto l’approccio storico della cultura democratica e socialista del primo Novecento, allora di fronte ai caratteri tanto perentori quanto drammatici dell’esplosione di una guerra mondiale, “né aderire né sabotare”[2]. Ho ricordato che questa posizione non aveva esentato soldati e ufficiali socialisti (come fece e spiegò il presidente Pertini) a servire la patria sotto le armi facendo fino in fondo il proprio dovere.
L’astensione si configura come una “non fiducia costruttiva” che smarca la posizione rispetto alla opposizione pregiudiziale (e certamente tonante sui media) delle destre.
L’astensione propone un cantiere di coltivazione di alcuni argomenti oggi divisi tra il no e il sì, laddove i raccordi siano possibili nell’evoluzione anche di breve tempo, evitando in alcuni organismi con culture interne abbastanza omogenee di non stressare, per ragioni che diventano “di corrente”, posizioni alla fine senza flessibilità, ovvero senza possibili modificazioni.
In terzo luogo l’astensione permette – soprattutto nel caso di Più Europa – di concentrare energie sulla preliminare necessità di agire per il consolidamento teorico e programmatico di quello spazio liberaldemocratico che non può essere un’etichetta di vago posizionamento. Spazio che comprende anche la variante liberalsocialista (come la vicenda dell’azionismo italiano espresse) oggi da rigenerare dalle fondamenta, partendo da una meditata (sia in senso storico che in senso prefigurativo) costruzione di un nuovo cantiere politico. Un cantiere che ha, fin da ora, ragioni per non combattere pregiudizialmente un governo che intende essere europeista e anti-sovranista (infatti salutato con favore dal quadro politico di governo della UE). Ma che ha anche ragioni per essere libero di criticare e non legittimare intenzioni e atti che non appaiono tutti in grande consonanza con il federalismo liberal-democratico europeo[3]. Lo stesso Paolo Gentiloni, presidente del PD, il cui mandato in Commissione UE espresso dal governo è un fatto di garanzia per l’Italia, ha guardato alla formazione di questo governo con uno scetticismo possibile per la sua posizione[4]. Fatto comunque il governo e – grazie alle ottime maratone tv di questi giorni – analizzata nel corso di una giornata[5] la carta di identità, ovvero la provenienza, gli studi, le amicizie di filiera, le competenze, le esperienze dei ventun membri dell’esecutivo, più o meno il setacciamento informativo ha restituito un ventaglio di dati capaci di offrire una tabella di promossi, una tabella di bocciati e una tabella di outsider.
Il tempo del primo bilancio – lo pensano in molti, lo scrivono in pochi – si configura pertanto (come avevo previsto in un commento preliminarissimo) dopo il primo semestre e quindi varata la finanziaria, profilata la legge elettorale, smontata la macchina propagandistica sulle migrazioni, garantite le condizioni responsabili relazionali con l’Europa. Penso che sarà quella la data in cui il governo non sarà più un puro dualismo tra PD e Cinquestelle ma tra fautori del voto a breve e i legislaturisti. Mettendo in bilancio anche la guerriglia che verrà dai presidenti leghisti di molte commissioni parlamentari che hanno naturalmente annunciato di ostacolare l’iniziativa governativa.
Come rendere costituente il polo italiano dello spazio liberaldemocratico europeo.
A breve la conferenza programmatica di Più Europa
Chi scrive, per chiudere questa argomentazione su una derivata certamente minimale, intende sciogliere (o confermare) in quel momento la sua posizione astensionista. Ribadendo l’interesse prioritario per il dialogo – che le elezioni europee avevano accennato, proprio grazie alle accoglienze promosse da Più Europa – con i soggetti prima ricordati (a cui si è aggiunto ora anche il movimento europeista di Calenda), sapendo che questo ambito ha visto esprimersi un pluralismo anche contrastante di sentimenti e di intenzioni in ordine alla formazione del governo giallo-rosso.
Opzioni che, pur con la loro importanza, non devono soverchiare la più strategica volontà di non gettare un’altra volta alle ortiche la difficile scommessa – che in una certa preliminare fase potrebbe anche essere di progetto confederale o costituente – di costruire il polo italiano di quello spazio liberaldemocratico europeo che oggi è cruciale nell’alleanza europeista che ha espresso la “formula Ursula”.
E nel quale – questo fattore rende ora obbligata la convergenza tra domanda europea e responsabilità italiana – il soggetto politico Più Europa, pur non rappresentato nel PE, è allo stato l’unica organizzazione fin qui sostenuta da più di 800 mila elettori con la percezione delle intenzioni di voto che questa crisi di governo ha per il momento ampliato. E si tratta di un soggetto politico che ha annunciato a Napoli a breve[6] la propria conferenza programmatica per parlare di “domani e democrazia”, ma anche di radici e destinazioni naturali.
Per rendere più chiaro l’intendimento mi sia consentito di fare una citazione conclusiva.
Emma Bonino introducendo il dossier dei miei scritti del 2018 sul tema “Post Azionismo” (che ha portato in occasione del congresso nazionale di Più Europa all’accoglienza di questa posizione politico-culturale nell’ambito del partito di cui la stessa sen. Bonino è leader), aveva scritto: “ Quel patrimonio di idee e di valori ha corrisposto poi un processo di divaricazione, di divisione politica, di dissoluzione organizzativa che si ripresenta continuamente nel mondo laico e democratico come una maledizione: il partito laico e democratico per eccellenza che doveva essere, nell’azione di rinascita dell’Italia, il partito del cambiamento e tradurre i suoi valori e le sue idee in obiettivi e progetti politici, si dissolse sull’altare delle divisioni identitarie fra azionisti di diversa ispirazione socialista e azionisti di tradizione e ispirazione liberaldemocratica e repubblicana. È la maledizione che ci insegue da allora e che ha investito e continua ad investire le forze laiche, radicali, socialiste e con cui ancora oggi siamo malauguratamente costretti a fare i conti”[7].
[1] Intervento svolto in una intervista tv. Ripreso poi in un editoriale: “Il tentativo in corso in Italia di dare vita ad un governo composto da un movimento populista ed un partito tradizionale offre la possibilità di raggiungere un compromesso su due temi cruciali inerenti ai diritti: diseguaglianze e migranti” (Maurizio Molinari, La Stampa, 1 settembre 2019).
[2] Fu Costantino Lazzari, segretario nazionale del PSI prima, durante e dopo la prima guerra mondiale a coniare quell’espressione. Politicamente turatiano, Lazzari capeggiò la mozione riformista al congresso socialista di Livorno nel 1921, in cui avvenne a sinistra la scissione comunista.
[3] Nella seduta di direzione di Più Europa del 2 settembre è prevalsa nettamente la tesi del segretario Della Vedova con 19 voti per il “no” al governo (“sfiducia costruttiva”), seguita dalla tesi proposta dall’on. Tabacci (favorevole alla fiducia con 10 voti) mentre 4 componenti si sono espressi per l’astensione.
[4] “Magari va, per me meglio la Ue”, ha detto.
[5] Il 5 settembre, data del giuramento del governo al Quirinale.
[6] Il 21 e il 22 settembre, le date apparse sul sito di Più Europa. Importante come nei prossimi giorni sarà presentata e finalizzata l’iniziativa.
[7] Stefano Rolando, Post-Azionismo. Scritti civili nell’anno dell’attacco alla democrazia liberale, Prefazione di Emma Bonino, ES-Editoriale Scientifica, febbraio 2019.