Paolo Grassi, una vita per la cultura (Piccolo Teatro 9.12.2019).

Presentazione del libro edito da Bulzoni che contiene gli atti del convegno di avviamento del centenario della nascita di Paolo Grassi, svoltosi a Milano nella sala del Grechetto il 26 novembre 2018

Chiostro Nina Vinchi – Piccolo Teatro – 9 dicembre 2019

Intervento di Stefano Rolando

Scuso innanzi tutto l’assenza di alcuni di noi – Fondazione Paolo Grassi – tra cui Davide Rampello, dovuta a concomitanti impegni e al fatto che, facendo parte ancora della civiltà materiale più che di quella virtuale, non disponiamo tutti del dono dell’ubiquità. Intanto un grazie ai presenti, al Piccolo Teatro e al suo direttore Sergio Escobar per l’ospitalità.

Ringrazio Andrèe Ruth Shammah per la sua presenza felicitandola a nome di tutti per la recente Legion d’honneur di cui è stata insignita, motivo di orgoglio per la sua appassionata vita di lavoro e anche per la nostra città.

Ringrazio Carlo Tognoli che ha seguito in tanti momenti le iniziative del programma di questo “centenario” e anche oggi porterà la sua testimonianza. Ringrazio Francesca Grassi che di questo programma è stata l’anima più determinata.

Saluto Ferruccio Soleri, qui in prima fila, attore simbolo del Piccolo Teatro e tutti i presenti che hanno accompagnato molte delle iniziative realizzate.

Siamo verso la conclusione di un anno di iniziative che hanno riguardato la vita e l’intenso lavoro di Paolo Grassi. La mostra (progettata e gestita da Fabio Francione, che pure ringrazio per la sua presenza) ha girato con successo l’Italia. La convegnistica ha restituito il senso del quarantennio post-bellico, democratico e repubblicano, con il suo evidente slancio nel campo della cultura che ha riposizionato nel mondo l’Italia che era stata schiacciata dal propagandismo e dall’autarchia del fascismo. Francesca – che chiuderà i nostri interventi oggi – si è spesa come una ventenne.

Mercoledì 11 dicembre, cioè dopodomani, al Senato ci sarà l’evento istituzionale in qualche modo veramente conclusivo. Noi lo anticipiamo qui a Milano con un atto dovuto, non per presentare un libro qualsiasi ma quello che contiene gli atti del convegno con cui – presente in apertura il Sindaco di Milano Beppe Sala, come Grassi avrebbe ben apprezzato – si intendeva offrire chiavi interpretative all’intero anno che poi è seguito.

In questo libro, ma soprattutto in quel quarantennio, la figura di Paolo Grassi – muovendosi tra diversi mondi attigui (il giornalismo, l’editoria, il teatro, la musica lirica, la televisione) – segnala caratteri che oggi sono riconosciuti da tutti. In sintesi questi:

  • L’interconnessione, appunto, di quei mondi;
  • la reinvenzione di una professione, quella dell’organizzatore culturale;
  • l’internazionalizzazione dello sguardo sulle fonti, sugli autori, sui contenuti;
  • la costruzione e la fidelizzazione dei pubblici;
  • l’influenza di tutti questi profili sulle nuove identità e sulle nuove narrazioni (che noi oggi chiamiamo “brand”) sia della sua e nostra città (Milano), sia del suo nostro Paese.

Questi cinque punti si ritrovano in tutti i 33 interventi di questo piccolo libro che raccoglie gli atti del convegno svoltosi a fine novembre dello scorso anno alla Sala del Grechetto, pubblicato da Bulzoni,con un lavoro di adattamento del “parlato” che abbiamo fatto Monica Aranzi e poi io.

Due brevi cose su questo testo. La prima, come ho appena detto, riguarda il “parlato” è rimasto come documento vivo leggibile di quel convegno; i testi non sono stati riscritti ma solo resi correttamente leggibili (che non è un lavoro meno impegnativo e che comporta scuse a chi ritiene che non sia stato fatto in tutti i punti in modo adeguato).

La seconda è che gli autori sono una parte consistente ma anche rappresentativa del coro più vasto di chi nel corso di tutto l’anno ha dato un contributo di memoria o di interpretazione (ovvero di entrambe le cose) rispetto alla sfaccettata vitalità professionale di Grassi.

Le tante iniziative che si sono svolte dopo il convegno del Grechetto rimandano a due testi più strutturati in ordine alla biografia di Paolo Grassi. Uno è la vera e propria biografia pubblicata da Skira nel 2011, a cura di Carlo Fontana con tre testi di Alberto Bentoglio sugli anni del Piccolo Teatro, di Paola Merli sugli anni della Scala e mio sugli anni della Rai. E poi, anche a contrappunto, il libro che ha accompagnato la mostra che ha debuttato a gennaio a Palazzo Reale, con letture su Grassi di autori giovani, quindi una nuova generazione critica non testimoniale.

E se mi è permesso aggiungerlo, questo libro contiene la prosecuzione dell’indagine che la Fondazione Grassi ha presentato qui al Chiostro in occasione del 70° della fondazione del Piccolo, cioè sulla agenda di Paolo Grassi dalla giorno della Liberazione al giorno di quella Fondazione. Un team di attori amatoriali, tra i quali mi fa piacere ricordare anche il qui presente Carlo Tognoli.

Avevamo l’idea di cogliere l’occasione di oggi per parvi e farci un regalo di Natale, cioè per svelarvi una grande sorpresa per il 2020. La sorpresa c’è, la notizia anche. Ma si è deciso di fare come “Ma Mi”, cioè di non parlare per nessun motivo. E io mi attengo a questo vincolo.

Intervento di Carlo Tognoli (sintesi)

Paolo Grassi era il teatro

Paolo Grassi è stato un grandissimo uomo di teatro, a tutto campo. Definirlo ‘organizzatore di cultura’ è una ‘diminutio’. Il teatro era il mondo, che lui voleva rappresentare, migliorarlo e cambiarlo, a favore del popolo, per l’elevazione del popolo. Teatro per tutti, ma di qualità, accessibile a tutti. Per questo il suo pensiero era rivolto anche alla organizzazione del pubblico, certo non in chiave populista.

Basta leggere gli articoli e le recensioni, prevalentemente sull’Avanti!, dalla Liberazione sino alla nascita del Piccolo, per verificare la profondità dei suoi giudizi e il suo retroterra culturale.

Come ha detto Andrée Shammah, bastava vederlo in azione nel periodo della direzione del teatro senza Strehler (dimissionario, in cerca di libertà, ma non in polemica, nel 1968) per verificare la sua immensa cultura teatrale. Era un periodo non facile, di profondi cambiamenti, in Italia e in Europa.

Qualche insuccesso, che venne sfruttato strumentalmente dai suoi avversari, non gli impedì di lasciare il segno delle sue capacità e delle sue sensibilità.

Con Ruzante (regia di Gianfranco De Bosio e Franco Parenti protagonista), con il ‘scespiriano’ ‘Timone d’Atene’ (regia di Marco Bellocchio) ebbe un grande successo, continuato con la ‘Lulù’ di Wedekind’ (regia di Patrice Cherau) e la prima mondiale del ‘Cirque du soleil’ di Ariane Mnouchkine. In quegli anni, senza il ‘gigante’ Strehler (che non venne dimenticato, ma ospitato) mise in evidenza tutte le sue qualità di uomo di teatro.

Poi venne chiamato alla Scala (1972). Nel 1973, quando ero assessore al Demanio e Patrimonio, Aniasi mi chiese di predisporre una delibera che individuava nel ‘Sovrintendente’ scaligero il conservatore dell’immobile ‘Teatro alla Scala’. Ebbi modo di verificare anche la preparazione e la pragmaticità di Grassi nell’affrontare questioni amministrative e giuridiche.

La sovrintendenza alla Scala fu caratterizzata da un ampliamento del repertorio e dalla ricerca verso le tendenze più avanzate della musicologia. Se era già stata commissionata da Ghiringhelli a Luigi Nono la creazione del ‘Grand soleil chargé d’amour’ (peraltro Grassi era già nel Consiglio di amministrazione scaligero) – egli affrontò tutte le polemiche connesse e poi fece spazio a compositori contemporanei come Salvatore Sciarrino, Silvano Bussotti, Bruno Maderna. E mise in piedi una perfetta organizzazione del pubblico, con spettacoli per lavoratori e concerti nelle fabbriche.

Dovette affrontare polemiche, contrasti e incomprensioni, anche da parte dei sindacati interni. Difendeva la Scala e chiedeva un trattamento speciale per il teatro lirico più famoso del mondo. Arrivò alle dimissioni, ritirate dopo una seduta del consiglio comunale (da cui dipendeva il ‘sovrintendente) nella quale riuscì a convincere anche i suoi avversari.

Nel 1976 guidò la ‘tournée’ scaligera negli Usa per il bicentenario degli Stati Uniti. Quell’anno fu terribile perché registrò, in occasione della ‘prima’ del 7 dicembre, una contestazione violentissima e diffusa nel centro di Milano di ‘gruppi proletari’.

L’Otello di quella serata nata male – diretto da Carlos Kleiber, con Palcido Domingo, Mirella Freni e Cappuccilli – ebbe un successo clamoroso davanti agli italiani che poterono vederlo in TV. Una prima della Scala veniva vissuta da tutti.

Poi partì per Roma, a presiedere la RAI, non senza altre riprese televisive delle opere liriche negli anni successivi, ricominciando dal Don Carlos del bicentenario scaligero, regia di Ronconi, con Carreras, Freni Cappucclilli, Ghiaurov e la Obratsova (e la bacchetta di Abbado).

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