Milano, guarda oltre. Anche oltre i suoi stereotipi

Articolo scritto per il quotidiano “Il Giorno” (6.3.2020)

Stefano Rolando

Milano città di storiche distruzioni e di altrettante storiche ricostruzioni.

Dalle due micidiali carneficine per la peste, all’azzeramento della Milano romana ad opera del Barbarossa fino ai bombardamenti degli angloamericani nell’ultimo conflitto mondiale per spingere l’Italia all’armistizio.

Ogni volta la comunità ambrosiana ha concesso al dramma solo il tempo della sua verità. Ma non più di questo. Poi lo sguardo è volato al futuro, a volte anche a mani nude, comunque ritrovando il filo della sua storia principale, quella che per andare avanti la città intreccia sempre tradizione e innovazione.

Coronavirus non è la peste che il Manzoni consegna alla memoria più dolorosa del suo romanzo.

E non è la germanica vendetta dell’imperatore per l’orgoglio equidistante della città tra Papato e Impero. Non lo è e ci auguriamo tutti che non lo sia.

Però da Milano – nell’attesa di evoluzioni positive – sono partite anche le prime riflessioni sullo “sguardo lungo”. Lo hanno fatto i grandi anziani illuminati della comunità milanese, da Piero Bassetti a Giuseppe Guzzetti. Lo ha fatto il Sindaco Sala a più riprese. Lo ha fatto il cardinal Delpini (e tornerà sul tema oggi venerdì 6 in dialogo con il rettore Canova all’Università IULM, pur vuota ma connessa virtualmente), lo ha fatto a nome dei rettori territoriali il prof. Gianmario Verona (Bocconi) partendo dal vecchio adagio “se non ti uccide ti fortifica”.

Lo sguardo avanti, ambrosianamente parlando, non è retorica autoconsolatoria. E’ progetto, è razionalizzazione, è riduzione del danno, è gerarchizzazione dei pericoli. L’insegnamento principale della comunicazione di crisi e di emergenza (per l’Italia un manuale sempre aperto, da alluvioni a terremoti, da epidemie a crisi finanziarie, da terrorismi a criminalità diffusa) passa attraverso due principi: che nelle crisi si formano classi dirigenti e che ciò avviene se nel pozzo nero del rischio si estraggono le opportunità.

Questa volta le opportunità non sono solo legate a trovare il modo di ridurre le perdite economiche (tema da non sottovalutare ma da leggere insieme ad altro). Questa volta si sente dire in giro che c’è anche l’opportunità di rivedere alcuni stereotipi recenti. Quelli che si sono consolidati nell’accentuazione della pura velocità ma anche nella riduzione della memoria; nell’esibizione che ha mitigato una antica forza solidale;  nella ripresa di un po’ di puzza al naso che stona con la storia lunga di una città ibridata. Ho sentito dire in questi giorni alla Scuola civica di teatro Paolo Grassi “noi non insegniamo il teatro della velocità, insegniamo un artigianato lento”.

Attenzione, questa non è la decrescita felice. La crescita resta sempre un valore redistributivo. Dunque non si vincono le ineguaglianze stando fermi. Ma i cartelli – pur scherzosi – apparsi in rete e immaginati al sud “Qui non si affitta ai settentrionali”, fanno capire che quel pensarsi muscolati e migliori non è sempre la carta giusta per il servizio che questa città può e deve rendere a sé stessa, all’Italia tutta, al sistema euro-mediterraneo.

Ha ragione Beppe Sala quando ricorda che “Milano pensa mondo”. E i milanesi che lo frequentano sanno che il mondo oggi non è solo il lusso senza pensiero, quanto la  fonte di un sociale che non piove dall’alto ma è costruito da tutti, producendo opportunità per tutti. E’ il territorio di infiniti problemi (l’altra emergenza è lì, ai confini tra Turchia e Grecia, a dircelo) in cui chi ha di più e sa di più può mettersi a disposizione delle soluzioni.

  • Docente di “Comunicazione pubblica e politica” all’Università Iulm di Milano

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