“Fierezza e tenacia”. In occasione del trentennale della scomparsa di Sandro Pertini.

La parte conclusiva della conferenza svolta al Circolo Acli “Giovanni Gronchi” di Pontedera (13.11.2020)

Stefano Rolando

E’ stato Carlo Azeglio Ciampi a parlare di “indomito combattente” ed è stato Norberto Bobbio a parlare di “fierezza e tenacia” riguardo alla figura e alla personalità di Sandro Pertini.

Penso che – nel trentennale della sua scomparsa – anziché svolgere il tema al passato si possa svolgerlo al presente. Guardando alla nostra società oggi, con la politica di oggi, con le crisi di oggi. E provare a immaginare perché l’Italia di questo primo secolo del terzo millennio deve conservare memoria e affetto appunto “fiero e tenace” per questo eroe del suo tempo che ha regalato agli italiani grandi patrimoni materiali e simbolici.

Che qui provo a riassumere.

Il primo argomento riguarda il vissuto senza compromessi di un antifascismo valoriale. Sentimentostrenuo, dai suoi anni giovanili,  pagando tutti i prezzi di questa guerra a mani nude contro il totalitarismo crescente: sei condanne, dodici anni di galera, una cella per ogni carcere duro, due straordinarie evasioni,  per riprendere comunque e dovunque una lotta senza quartiere. Se il mio collega di università Antonio Scurati ha avuto ragione a scrivere la biografia di Mussolini sostenendo che il fascismo è stato una domanda popolare nella pancia degli italiani, un giorno ci sarà un così abile scrittore che riscriverà la storia di una immensa eccezione a quella maggioritaria domanda che veniva dalla pancia degli italiani. Una contro-lezione storica che non possiamo considerare di seconda importanza. E una storia che Sandro Pertini ha tenuto viva eroicamente durante il fascismo e in forma di resistenza intesa come identità nazionale non come storia di parte in età poi repubblicana.

Il secondo argomento è costituito dall’ardimentosa storia del rappresentante socialista in seno al CLNAI con gli episodi della liberazione di Firenze e la liberazione di Milano che sono la bandiera di quei trecentomila ragazzi italiani che sono stati pronti a dare la vita per non far dire – come purtroppo in Germania non è stato possibile – che il fascismo comandò fino all’ultimo senza opposizione. Così che il suo discorso sotto le guglie del Duomo di Milano il 25 aprile del 1945 non è solo il simbolo della liberazione di una città ma è rubricato dalla storia come l’immagine simbolica della liberazione dell’intera Italia.

Il terzo argomento è il posizionamento nel travaglio dei socialisti italiani dal 1945 ai primi anni sessanta, in cui l’aspirazione a governare il paese si realizza con una autonomia rispetto all’unità con i comunisti, conquista dura ma inevitabile di una generazione che con i comunisti aveva combattuto le stesse lotte di liberazione. Ma la patria doveva essere una sola. Non una di facciata qui e una vera altrove. Per quella generazione questa svolta fu difficile. Anche tortuosa. Ma alla fine Nenni, Saragat, Pertini, Lombardi la condussero – ciascuno a modo loro – liberando la sinistra italiana dal fardello di un’ideologia condannata alla cultura dell’opposizione.

Il quarto argomento è il rapporto di popolo nel corso del settennato, in cui il presidente Pertini raccolse la guida della più simbolica istituzione del paese nel momento della sua più bassa reputazione elevandola – come poi è sempre rimasta – a una fascia di immagine alta per gli italiani, rispetto alla loro considerazione, purtroppo, per la politica in generale.

Il quinto è di avere interpretato, non con il buonismo del vecchio nonno, come certo giornalismo ha provato a dire, ma anzi con la durezza della memoria e la generosità del rispetto volteriano per l’avversario e dunque con elementi di garanzia per la nostra democrazia, una proposta di immagine dell’Italia di cui l’Italia aveva un estremo bisogno. Lo straordinario successo dei suoi viaggi nel mondo e nelle comunità italiane nel mondo, il rispetto profondo dei capi di stato e di governo, il meraviglioso riconoscimento degli artisti (cito per tutti Francesco De Gregori) ma anche la popolarizzazione tra i giovani (per esempio le saghe del fumettista Andrea Pazienza),  non sono l’artificio di un’organizzazione dell’immagine, oggi con uno stuolo di operatori sulla rete e sui media pagato dai contribuenti, ma i riscontri di un uomo solo con il suo metro morale. Che bastava a farci riconciliare rispetto a storie più antiche (a cominciare dall’epopea di  Garibaldi) che sembravano evaporate nell’età moderna. Quelle raccontabili a una generazione di giovani e quelle che l’avara toponomastica delle nostre città dovrebbe trattare oggi con più attenzione.

In aggiunta due riflessioni che riguardano aspetti di dibattito sulla personalità e i caratteri di Pertini, figura certamente singolare nel panorama della politica italiana dell’età repubblicana, su cui bisogna cogliere chiavi di interpretazione né scontate né banali.

Una prima questione. Circolava la diceria che Pertini fosse stato un eroe, un combattente, ma che capisse poco di politica. Questo valeva soprattutto per le lotte interne di partito. Non ci ha lasciato libri di teoria (quasi tutti gli autori di quel tempo se li sono dovuti rimangiare), non ci ha lasciato pagine indelebili di analisi dei cambiamenti. Ma si può nascere essendo Norberto Bobbio e si può nascere essendo Sandro Pertini. Cioè si può anche scrivere analisi e interpretazioni con una parola, con un gesto, con una fermezza, con un simbolo.  La strada assertiva e simbolica è quella che Pertini assume davanti al Tribunale Speciale del fascismo e la esercita poi per tutta la vita. Davanti al feretro di Enrico Berlinguer. O davanti alle spoglie di Guido Rossa. O davanti alle macerie del Belice e dell’Irpinia. O ancora davanti al pubblico di tutto il mondo nella finale di Madrid del 1982. Ma bisogna avere una vera storia personale alle spalle per utilizzare autorevolmente il linguaggio simbolico.

E poi una seconda questione. Resta certamente un capolavoro politico avere immaginato possibile dimostrare che la democrazia italiana, dopo quaranta anni, avrebbe avuto per tutti un beneficio dimostrando il suo sblocco almeno quello possibile per i tempi. Pertini provò – prima incaricando la Malfa, ipotesi  che non andò a buon fine, poi Spadolini e Craxi – una fase che chiuse un’epoca. Condotta anche mantenendo con Craxi stesso una sottile tensione che rendeva tuttavia possibile – in un paese con il 70% del voto distribuito tra DC e PCI – sostenere due socialisti ai vertici della politica nazionale. Diciamo un modo diverso di far politica.  Questa cosa va letta in modo meno approssimativo del giudizio di conflitto o di polemica tra Pertini e Craxi. Prima di tutto tra loro – nelle loro distinzioni generazionali, di carattere e qualche volta anche di indirizzo politico – ci fu stima, rispetto e conoscenza profonda per entrambi di rilevanti storie comuni (ricordando qui che il papà di Craxi, Vittorio Craxi, fu prefetto della Liberazione di Como nominato dal CLN su proposta di Pertini che ne era membro). Ma, appunto, il singolare ruolo di due socialisti al vertice della politica italiana in un quadro politico che vedeva i socialisti antagonisti dei due maggiori partiti, comportava un certo loro disallineamento di cui entrambi erano silenziosamente consapevoli e che esercitavano con discernimento e comunanza di valori di fondo. Ne sono stato personalmente testimone sia per quanto riguarda Sandro che per quanto riguarda la Carla. Come erano fatti i socialisti: diversi uno dall’altro e liberi di esserlo. Ma intimamente e consapevolmente connessi dalla vicenda storica.

In conclusione torno alla definizione di Norberto Bobbio. Lo accompagnai insieme a Carla Pertini, con cui andammo nella sua casa di Torino per recarci poi al Salone del libro nel 1992, per presentare ad un grande pubblico i due volumi – che editai allora alla Presidenza del Consiglio dei Ministri raccogliendo comunque in due cospicui tomi i discorsi e gli scritti importanti di Pertini da Montecitorio al Quirinale. Ci sedemmo e lo ascoltammo. E Bobbio parlò per un’ora dicendo cose che qualunque generazione dovrebbe mandare a memoria sulla nostra migliore storia d’Italia. Tra cui queste parole, con cui Bobbio cominciò il suo discorso proprio sulle parole che sono state scelte come titolo dell’incontro di Pontedera:

Se dovessi definire con una parola il carattere di Sandro Pertini, la cercherei nel vecchio catalogo delle nobili virtù. Forse la parola più giusta è fierezza. Leggendo i suoi scritti e discorsi, accade di leggere: “Io sono stato fiero e orgoglioso…”, “con fierezza e tenacia…”. Rivolgendosi ai giovani: “Se voi volete vivere fieramente…”. Fierezza, virtù dell’uomo libero, che va diritto per la sua strada, non guarda in faccia a nessuno, incurante degli ostacoli che gli sbarrano la via, perché convinto di essere su quella giusta. Fierezza è anche consapevolezza della propria dignità, ma senza eccessivo compiacimento di sé, che è orgoglio, e senza ostentazione, che è alterezza. Tenere, come si dice, la testa alta, non piegarsi ai potenti. Il contrario della pusillanimità e della volgarità. Cercare di non compiere mai un’azione di cui tu debba vergognarti di fronte a te stesso”.

Sandro Pertini – Fierezza e tenacia

Circolo Acli “Giovanni Gronchi” di Pontedera

Il ricordo di Stefano Rolando

Videoregistrazione su Radioradicale

13.11.2020

http://www.radioradicale.it/scheda/621104/sandro-pertini-con-fierezza-e-tenacia?fbclid=IwAR0N2YhOi2GX2TsmI-e8IzrbZvu5WMstx_gVOLu4RcdJNOZnMnL1GFaFSdA

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