Seminar promosso da Alleanza Civica per discutere dei libri di Piero Bassetti “Oltre lo Specchio di Alice“, (Edizione Guerini e Associati) e con Piero Bassetti “Glocal a confronto”, a cura di Stefano Rolando (Luca Sossella editore, prefazione di Riccardo Fedriga).


Incontro su meet-google.com moderato da Daniela Benelli con la partecipazione di Piero Bassetti (in apertura) e Stefano Rolando (nelle conclusioni) e del Rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco; della consigliera regionale della Lombardia Elisabetta Strada; del presidente del DLTM – Distretto Ligure delle Tecnologie Marine Lorenzo Forcieri; della senior executive partner presso GC Governance Consulting Università di Torino Patrizia Ghiazza.
Sabato 28 novembre 2020, h. 9.30-12.30
Intervento di Stefano Rolando
(prima parte, svolta)
La pandemia (crisi di salute, crisi sociale, crisi di mobilità) ha agito molto sulle dinamiche di comunità (che Piero Bassetti ha indicato come questione delle città e delle reti). Ogni comunità – piccola o grande – con caratteri forti di identità e di appartenenza ha espresso bisogni di leadership tanto morali quanto organizzative. Che potevano coincidere ma anche non coincidere.
Da una leadership morale ci si aspetta comunque un presidio a sentimenti precisi:
- di ricapitolazione, proprio una sorta di anamnesi identitaria, come avviene nelle condizioni di guerra;
- di responsabilizzazione, riconoscere le criticità, assumersi le proprie, comparare con generosità;
- di ricostruzione, le vie di uscita nel medio lungo termine.
Riassumo i nodi narrativi principali che questo piccolo ma denso testo tratta nella cornice di una riflessione più generale che l’altro libro esprime. Piero Bassetti infatti riconosce questo bisogno, anche se le sue risposte sono sempre in nome proprio, come cittadino pensante.
- Restituisce molti sguardi alla storia che appartengono a sentimenti di comunità. La prospettiva globale (e qui accentuatamente quella euro-mediterranea) smussa ogni entropia e critica ogni sovranismo.
- Pensando a Milano, alla Lombardia, al Nord si capisce che non era facile fare marcia indietro rispetto al format del successo e della volontà di crescita e di uscita dalle crisi pregresse, format che ha caratterizzato il dopo Expo. Da qui un certo shock da sorpresa nei gruppi dirigenti in generale. Ecco il senso di accoglienza del “ridimensionamento” (parola che conclude il dialogo) come premessa a rivedere paradigmi e parametri messi a prova dalla pandemia, se non addirittura fatti a pezzi.
- Ricostruzione. Certo non ci sono le macerie materiali del ’45. Ma colpisce il fiorire di eventi che ricordano l’epica della “ricostruzione” vedendo comunque anche ora macerie su cui lavorare. E vedendo che, in questo genere di crisi, possono formarsi nuove più adeguate classi dirigenti.
Ogni territorio con Covid 19 ha perso purtroppo un po’ di valore in quella “borsa” virtuale fatta di economia e immagine. In più ogni gruppo dirigente sa che per “ricostruire” non basta fare appelli retorici. Servono obiettivi, piani perseguibili, rilancio delle risorse. Ecco perché le voci in campo devono avere autorevolezza. Il quadro generale delle “voci in campo” autorevoli è stato limitato, pur con alcuni casi di reale alto profilo o si significatività simbolica.
Ma in generale l’Italia ha avuto una gestione che fin qui ha preferito la cultura del bonus (ora si dice “ristoro”) rispetto a quella della drammatica ma possibile della rigenerazione produttiva (investimenti comunque, opere pubbliche, edilizia, nuovi servizi, tecnologie, eccetera).
Ma il nord e certamente a Milano il fenomeno si è sentito. Ferruccio De Bortoli ha criticato la borghesia milanese nella crisi alludendo ai “signorotti della peste del Manzoni”: chiusa in casa e magari nella seconda casa. Dunque il tema era – ed è – quello di ridisegnare una mappa di argomenti per ricollocare piani di rilancio.
C’è naturalmente chi lo sta facendo. C’è una traccia di mappa del pensiero rigenerativo. Piero Bassetti – non dismettendo mai il suo metodo (che è stato ricordato nel dibattito) di “vedere, prevedere, consegnare” – lo ha fatto con questi due libri, uno autorale, l’altro da intervistato. Due libri carichi di proposta responsabile, che in questo momento diventa un compito primario. A condizione, ovviamente, di avere argomenti e credibilità. Milano, in verità, si è vista anche sprovvista di tavoli davvero organizzati per dare connessione a questo genere di pensiero rispetto a obiettivi perseguibili. Anche se a più riprese sono venuti segnali soprattutto dal Comune. Ma c’è ancora molto da fare proprio perché squassata non è solo la mobilità, ma anche la linea di evoluzione identitaria della comunità.
Parte dell’intervento riservata al secondo round (che non è stata svolta)
Vi è poi – nella natura stessa del seminario di oggi – il tema del civismo politico. Nel libro-intervista con Piero Bassetti c’è un riferimento ai limiti oggi di un pur nobile pensiero storico che non è stato in grado di vedere il glocalismo, pur restando a intelligente dimensione locale (limiti riferiti alla pur preziosa cultura dell’illuminismo e post-illuminismo lombardo). Così da rimettere il civismo del nostro tempo dentro un suo problema di reinventarsi un po’ le radici. Argomento evidente almeno nella storia di questo ultimo ventennio. Il civismo italiano (ma anche quello strettamente settentrionale) ha tratti, format, scopi, metodi molto diversificati e non molti comun denominatori. Aggiungo che, nel dialogo, Bassetti cerca anche di aprire su questo un inedito spunto sul rapporto Nord-Sud.
Intanto due correnti di pensiero serpeggiano:
- chi pensa che ci sia il bisogno storico di rigenerare i partiti(culture e comportamenti), intesi come portatori del senso costituzionale della democrazia, evaporati sia a destra che a sinistra ma appunto democraticamente ineludibili; allora rendendo la mission principale del civismo quella di esercitare una pressione costante e quotidiana per (come diceva prima Piero Bassetti) agire sulla crisi di reputazione dei partiti e della politica (riferimento che è stato anche tratteggiato dal rettore Saracco);
- chi pensa che i partiti siano irriformabili e inservibili e che per salvare la democrazia serve la protesi partecipativa del civismo, intesa come “offerta di competenze” per assolvere a responsabilità politico-istituzionali; il che può essere una legittima visione ma che finora è stata trattata dal civismo
nei comuni sotto i diecimila abitanti per lo più riciclando “civicamente” figure ed esperienze di provenienza partitica (il che non è un male per definizione) con la tendenza oggi ad andare anche verso dimensioni territoriali più grandi; oppure – anche in dimensioni maggiori – creando inevitabilmente nuclei tematici prevalentemente di “opposizione” per lo più con scarsa aspirazione di governo.
Si è proposta (sempre il rettore del Politecnico di Torino) un ‘esperienza formativa che riguardi proprio una nuova cultura di governo per questa realtà “civica” che è una condizione molto interessante anche per trattare questo conflitto di opinioni.
Ricordando che il civismo nel mondo ha avuto fin qui successo quando ha fatto le seguenti due cose:
- sposare grandi idee (da qui lo storico orientamento ambientalista);
- perseguire obiettivi di rifocalizzazione di nuove energie partecipative per superare condizioni di crisi.
Segnalo in conclusione che Piero Bassetti – anche in questi due libri – offre argomenti per un importante aggiornamento di entrambe queste cose (i temi dell’0ltre, dell’intelligenza artificiale, del glocalismo, della diaspora italiana nel mondo che configura un’altra Italia fatta di comunità originariamente territoriali, eccetera). Insomma un contributo di idee che oggi – con il galleggiamento senza visione della politica italiana e con una crisi di contesto senza precedenti – assume un rilievo inedito.