“1948. Gli italiani nell’anno della svolta”

Presentato a Roma questa sera (presso Civita a piazza Venezia) il libro di

Mario Avagliano e Marco Palmieri, “1948. Gli italiani nell’anno della svolta”, Il Mulino 2018

La “svolta” è quella che pur essendo il ’48 l’anno della promulgazione della Costituzione, lo “spirito della Costituente”, osservano gli autori, si era già rotto nel ‘47, quando cade il governo unitario De Gasperi, quando i socialdemocratici rompono sulla politica estera con i socialisti, quando l’emergenza post-bellica trova un percorso più stabilizzato (anche dal piano Marshall) e quindi ristabilendo il realismo della politica di una democrazia plurale non più necessariamente unitaria.
Adolfo Battaglia, figlio di un noto azionista viterbese passato nel ’48 ai repubblicani (e lui stesso in età di essere stato un giovane azionista passato ai repubblicani) sintetizza la situazione come stressata su un ineludibile bivio: o di là con Stalin o di qua con l’Occidente. La DC forza la comunicazione anticomunista facendo ricorso a ogni enfatizzazione del male assoluto rappresentato da Stalin, il PCI entra nello stesso ring dominato dalle vignette apodittiche contro i preti e le parrocchie scatenate nella campagna elettorale.
I socialisti – dice Giorgio Benvenuto – perdono due volte: con il Fronte Popolare che si vede tagliato dalle urne il 10% rispetto alle elezioni del 1946 e nel Fronte Popolare dove l’organizzazione comunista annienta il risultato del ’46 che faceva del PSI il secondo partito nazionale.
I “socialisti unitari”, cioè i saragattiani guidati da Ivan Matteo Lombardo, prendono il 7%, i repubblicani il 2,5%. Nella vicenda elettorale più stressata della storia d’Italia non c’è grande spazio per gli intermedi e la scelta del PSI costituirà cruccio e contraddizione per un certo numero di anni, fino a determinare negli anni ’50 una netta divaricazione rispetto al PCI consolidato nell’orbita sovietica.
La democrazia laica che proveniva in parte dal disciolto Partito d’Azione, esprimendosi con ragionamenti, argomentazioni, buon senso razionale, non riesce a ritrovare un rapporto con le masse che i due opposti partiti di massa interpretano con linguaggio semplificato, agonistico, emozionale.
Simona Colarizi svolge l’inquadramento storico di quel ’48 rispetto ai cinque anni che vanno dal ’43 al 47. Un nuovo ciclo politico, nazionale e internazionale, era intervenuto, archiviando la problematica di guerra e costruendo i percorsi della ricostruzione occidentale in cui l’economia torna a pesare ma – osserva Colarizi – pesa moltissimo la Chiesa di Pio XII “che durante il fascismo mantiene il suo radicamento sociale capillare e caduto il fascismo copre un vuoto improvviso proprio nella coesione della società”.
Aldo Cazzullo spigola molte curiosità del libro e tenta un confronto con le elezioni di settanta anni dopo, quelle del 4 marzo 2018. Là votò il 92% degli italiani un terzo dei quali si è perso per strada;  là si schieravano dirigenti politici che avevano ancora un legame qualificato con la cultura, oggi le due parole sembrano irrimediabilmente scisse. Quanto alla “democrazia dissociativa” che si instaura nel ’48 – fine dell’unità nazionale – forse il passaggio era più chiaro e netto di quello che potrebbe riservare la situazione italiana oggi.

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