Gli esiti demoscopici di Demos salutati da due pagine “fiduciose” di Repubblica. Forse necessario ragionare di più e avere il coraggio di qualche perplessità.
Stefano Rolando
sul giornale on line L’Indro (24.12.2020)
Dalla prima ondata del Coronavirus, dunque dalla primavera, abbiamo cominciato a scorgere, tra indicatori demoscopici e note interpretative degli analisti sociali, che la crescita delle paure induceva un sentimento insolito per i “moderni italiani”: una domanda di Stato.
Un sentimento, detta così, un po’ generico e quindi anche ambiguo. Di quale Stato?
La Stato-sanitario, lo Stato assistenziale, lo Stato-pedagogista, lo Stato salva rischi, lo Stato dei rimborsi e delle casse integrazioni, lo Stato delle tutele?
Le analisi non sono andate più a fondo. E ciascuna di queste funzioni “chiamate”, si è mostrata come sostenuta da qualche elemento di consenso in più del solito. Al punto tale che lo Stato-regolamentatore ha riassunto nella cerniera obbligata delle decisioni quelle e altre funzioni. Ha quindi ordinato lo “state in casa” e ha trovato un sistema sociale piuttosto obbediente. I cittadini tutt’ora hanno per oltre il 60% (Demopolis per la 7 di ieri sera) memoria positiva di quel ruolo “d’ordine”. Mentre gli stessi cittadini italiani guardando all’oggi hanno quasi invertito il consenso (sempre Demopolis segnala che è il 54% a dire che oggi non apprezza “il modo di affrontare la nuova fase della crisi”).
E’ chiaro che non si è andati più a fondo della relazione – tra ragione e emotività – caratterizzata da fiducia e bisogno e a buoni conti i soggetti pubblici sono passati (attraverso l’estate concessiva e quindi a guardia abbassata) dalla prima alla seconda ondata (cioè fino ad oggi) contando su una certa docilità di giudizio della gente. Alla fine è questo il commento che caratterizza i caratteri costanti della figura del premier Conte: smussante, galleggiatore, speranzoso, tranquillizzante, assicurante, provvidenziale.
Si può oggi dire che nella “domanda di Stato” che resta accesa per tutto l’anno si deve leggere la società complessa, cioè quella che si accontenta di meno ma anche quella che chiede di più. Per esempio più informazione, più spiegazione, più incentivazione a gestire i cambiamenti. Le cose su cui il premier ha tirato il freno perché ritenute espressione di minoranze.
Il quoziente “populista” che resta assegnato a questo governo sta oggi soprattutto nel fatto che assecondando la soglia bassa della “domanda di Stato” si prendono numeri maggiori. Intercettando e nutrendo invece una “domanda più alta” – si pensa – il rischio è di far contente le élite, mettendo tuttavia in allarme il popolo.
Una notizia legittima, ma che chiede più analisi
Questo schema di analisi – lo abbiamo proposto tra aprile e maggio, poi approfondito nel saggio “Pandemia. Laboratorio di comunicazione pubblica” (Editoriale scientifica) uscito in autunno, e ora lo ritroviamo ancora valido – è l’occhio con cui proviamo a guardare i dati della ricerca di Demos che da 23 anni arriva sulle pagine di Repubblica ogni fine anno attorno al tema della fiducia dei cittadini italiani nelle istituzioni.
Anche quest’anno il termometro pilotato da Ilvo Diamanti è proposto con due pagine di tabelle sul quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Così proprio ieri, con un titolo che appare una notizia forte e nuova ma al tempo stesso che nasconde qualche questione interpretativa su cui si è già provato a dire qualcosa.
Il titolo di Repubblica di ieri è: “Paura del virus. Così rinasce la fiducia nello Stato”. In sé non criticabile. Perché il balzo della fiducia è certamente una notizia: il coefficiente medio di fiducia rispetto a tutti i settori presi in esame è 33%, non era così dal 2009, ma soprattutto nel 2018 era sceso al 22%.
Cerchiamo di capire meglio allora la tabella dei settori presi in esame. Tutti (meno due) guadagnano qualche punto. Ma più di tutti lo “Stato inteso come sistema delle istituzioni centrali”, +11% (arrivando appunto al 33%). La tabella non esplicita più il soggetto “Governo” (come avveniva nel passato), così che la ricerca si smarca dal dato pro o contro “questo” governo.
La figura del Presidente della Repubblica guadagna solo il 3% (arrivando però al 58%). Mentre il Parlamento (facendoci domandare su quale base informativa i cittadini propongono il loro giudizio) vede crescere la fiducia dell’8%, ma restando lo stesso al penultimo posto della classifica (cioè al 23%). Quello che è certo è che i cittadini non intendono premiare la politica, se essa dovesse essere ricercata nel quadro della voce “Partiti”. Una voce che resta ferma al suo drammatico 9% e al suo inquietante ultimo posto.
Come detto – a parte lo stallo dei partiti – tutte le voci incrementano fiducia. Meno due. Una è quella che è da alcuni anni in testa alla classifica: le Forze dell’ordine. Restano in testa con il 69%, ma perdono il 4% di fiducia. L’eccesso di fiducia espresso negli anni precedenti per l’eccesso di rappresentazione politica del tema “sicurezza” recede di fronte alla crescita della paura per i fattori misteriosi dell’aggressività sanitaria. E Polizia e Carabinieri restano anche con alcuni fatti che hanno un po’ intaccato la loro reputazione. Il Comune guadagna il 5% e sta al quinto posto (al 43%) mentre la Regione guadagna il 6% e va al 36%, collocandosi meglio degli Imprenditori (in associazione) che pur guadagnano il 10% e raggiungono però solo il 34%, Guadagna 5 punti la UE che va al 39%, guadagna il 3% la magistratura che va al 39%. Gli enti territoriali sono alla fine il segnale di un pezzo consistente d’Italia (sempre sotto la maggioranza) che vede qui il baluardo istituzionale di riferimento e che nella dialettica Stato-Regione, per come si è espressa, scelgono il decentramento. Ma sono elementi non vistosi.
Comunque un dato che non tranquillizza nessuno
Insomma nel suo complesso la tabella resta quella di un paese in cui lo scarto tra quadro pubblico e sistema sociale fatica a definire una linea maggioritaria di fiducia. Sopra la maggioranza ci sono solo quattro voci: le Forze dell’ordine, il Papa, il Presidente della Repubblica e la Scuola (che è l’altro soggetto che perde qualcosina, nell’anno dello stop and go, cioè il 2% in meno attestandosi al 52%).
Questo “ritorno ad una certa fiducia nello Stato” è dunque un’onda del 33%, un cittadino su tre a favore.
Il dato è quello che è, rispetto alle dinamiche dei principali paesi europei. In più senza che la democrazia politica possa far segnalare che ha contribuito in qualcosina in questo miglioramento.
Dunque la situazione migliora per un quid che diciamo va diviso tra gli apparati pubblici mobilitati per l’emergenza, la forza simbolica del capo dello Stato e qualcosa che si situa in un “regolatore” che perde tuttavia (lo sappiamo dall’altra ricerca citata) la maggioranza del consenso in questa seconda metà dell’anno a fronte di problemi non adeguatamente previsti e prevenuti e altri problemi ancora non adeguatamente impostati e programmati.
Così che quest’anno i commenti di Demos ci appaiono deboli, cioè prudenti nel restare all’ombra di un dato che consente di fare due pagine di quotidiano (il 33% di fiducia nello Stato) ma che alla luce di tutto quel che si scorge non può tranquillizzare nessuno. Non entrando al tempo stesso nelle ambiguità tra i fattori di governo della crisi, fattori che questa rilevazione non ha voluto mettere al centro dei questionari.
In altra tabella l’assistenza sanitaria pubblica migliora del 6% rispetto al 2019, raggiungendo il 46% (quella privata perde il 3% è scende al 56%). E’ il minimo dovuto dagli italiani alla dedizione del personale sanitario. Ma non è un balzo. La Scuola (sia pubblica che privata) scende un po’; e così anche Ferrovie e trasporti urbani. Mentre migliorano un po’ raccolta rifiuti e manutenzione strade (chissà perché).
Insomma teniamo aperti i riflettori e vive le discussioni. Non basta il termometro di fine anno su una questione in realtà delicata che lascia immutata l’anomalia italiana (non solo in ordine alla percezione ma anche in ordine all’offerta di qualità di prestazioni e servizi). Tutte le volte che si guarda nella pancia degli italiani bisognerebbe astenersi (almeno di questi tempi) dalla consolazione statistica in cui uno scostamento finisce per pesare più di un realistico quadro di processo.
[1] Osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione digitale, Università IULM Milano