Il tempo delle dichiarazioni dei politici nei TG corrisponde più o meno a quello degli spot commerciali.
Sarebbe importante che qualche compilatore-fustigatore selezionasse i cento frullati epocali delle due “liste” (che mancano alla bella collezione di Umberto Eco), per farci rivivere l’ebbrezza dello “shortismo” comunicativo del nostro tempo così particolare.
Nel piccolo campione delle “feste” natalizie è ancora possibile raccogliere il “lemmario” dello sciocchezzaio protagonista.
Negli spot commerciali un posto d’onore va alla parola “sostenibilità” che va raggiungendo negli spot (di imprese di varia merceologia) quella intollerabile vaghezza che hanno le bugie plateali.
Nelle assertività politiche il posto d’onore spetta invece alla parola “chiarezza” che è usata per tenere sotto coperta tanto la genericità di proposta di chi governa quanto l’impeto vacuo di chi si oppone.
E’ venuto il momento di chiedere ai professionisti della comunicazione – presso qualunque sponda si guadagnino da vivere – di rendersi conto del momento che stiamo attraversando e di pensare che le regole non scritte del buon senso contano più del rapporto tra due entità in evidenti ristrettezze: i budget e la creatività (da cui la nostalgia della foto).
