Stefano Rolando (CdA Fondazione Milano, docente Università IULM) – Lunedi 17 maggio 2021 h. 11.15
Temi in discussione e schema dei lavori
Non so se la parola giusta che può far da ponte tra l’introduzione del presidente Mirti e ciò che ci aspettiamo a minuti dalla ministra dell’Università – e già rettrice milanese – Cristina Messa possa essere la parola “resilienza”.
E’ vero che il termine è un po’ abusato. Ma è anche la metà della finalità delle finalità del PNRR. Documento su cui – sia consentito dirlo nel quadro delle mie stesse competenze disciplinari – ha bisogno di entrare in modo più profondo nel dibattito pubblico del nostro Paese.

Con quella parola, comunque, vogliamo dire che per metà dobbiamo capire lo tsunami, riferirlo a contesti complessi di adattamento, togliere di mezzo annuncismi e populismi, essere ponderati, avere condivisione di comunità, sperimentare, guardare avanti. Per l’altra metà dobbiamo generare risorse (non solo finanziarie), disegnare nuova offerta, produrre di più, innovare.
Proprio ora, con la pandemia che non si arrende ancora, giunge dal vertice europeo di Porto la notizia – ieri, domenica, ripresa in forma di editoriale dal Corriere della Sera (come ha ricordato poso fa il presidente Stefano Mirti) – che l’Unione europea spinge per mettere in agenda la formazione permanente, entro il 2030 il 60% della popolazione adulta europea (l’articolo di ieri dice il 70%) deve tornare sui banchi dell’apprendimento. Anche a me pare che ci sia un messaggio per noi e per i nostri così speciali e mutevoli settori. E per larga parte dei soggetti che partecipano a questo convegno.
Parlando di questi argomenti in seno al Cda di Fondazione Milano abbiamo provato a mettere a terra concetti così grandi a proposito della nostra vicenda. Riferita a numeri non astronomici ma a suo modo “grande” anch’essa. Per la storia (in alcune parti secolare) che c’è dietro, per la reputazione, per le finalità, per i riscontri.
E poi perché attinente a un settore tartassato dalla crisi, ma vissuto da giovani e meno giovani che – per un senso maiuscolo della parola “spettacolo” – non sono per definizione “in ginocchio”.
Abbiamo riscontrato che c’è stata resilienza. Che le Scuole hanno tenuto. Che – pur nello smarrimento generazionale per la crisi di socializzazione – la sperimentazione è stata accettata. Che i docenti hanno trovato il gusto dell’adattamento di didattiche di tradizione. Che insomma avevamo da dire qualcosa alla nostra città, al nostro paese, ai nostri mondi di riferimento. Tra chi ha detto “tutto come prima” e chi ha detto “niente come prima”, cominciamo a scrivere un frammento di un grande libro che tuttavia ci aspettiamo dagli scienziati sociali: quello su cosa muta episodicamente e quello che muterà strutturalmente. Oggi si intuisce ma non si sa di preciso. I dati sono continui, anche allarmanti. Sui giornali di oggi, ad esempio, si stima in 200 mila casi crescenti la dispersione scolastica di questi tempi. La cornice occupazionale – anche essa è stata accennata in apertura da Stefano Mirti – parla ora di due milioni di giovani alle prese con gli ingressi sbarrati.
Da qui il nostro programma. Che – dopo l’intervento della ministra dell’Università (qui per un segnale a noi evidente di una nostra particolare appartenenza al mondo degli apprendimenti superiori) – che incrocia sia questa mattina sia questo pomeriggio la nostra vicenda e altre vicende, ovvero altri – sempre autorevoli – sguardi. Questa mattina saranno gli sguardi di chi ci aiuta a capire quattro contesti:
- Ciò che abbiamo chiamato “fragilità e ineludibilità” dei sistemi formativi
- Ciò che tutti chiamano “pensare a nuove forme organizzative”
- Ciò che è in prima pagina da tempo: tentare seriamente “la convivenza con l’epidemia”
- Ciò che resta una virtù, migliorare le condizioni “dell’economia della cultura e dello spettacolo”.
Nel pomeriggio – dopo il racconto interno di chi dirige Fondazione e Scuole – dando la parola a quattro personalità che si occupano di teatro, cinema, musica ed editoria abbiamo chiesto sintonia ovvero dialettica per andare nelle giuste direzioni verso quei complessi mercati del lavoro. Così che proprio ai “mercati del lavoro” sono dedicati altri due interventi in rappresentanza dell’AFAM (area ministeriale di riferimento del nostro settore) e con lo sguardo di chi a lungo ha amministrato le risorse umane di un’azienda come la Rai che trasversalizza i nostri ambiti.
La chiusura riguarda noi e la città di Milano, sia pure con lo sguardo lungo, all’Italia, all’Europa, al mondo. Una città che si riprenderà, che riprenderà il suo destino e la sua sperimentata pratica di “ricostruttrice”. Soprattutto che non ha mai preso paura ogni volta che la storia la ha messa di fronte alle due parole che abbiamo scelto come sottotitolo di questo evento: vincoli e opportunità.
