Francoforte, Buchmesse (1988)
Passata la data (il 20 febbraio), ricevuti auguri, ringraziato, un brindisi, qualche regalo. Il tempo è andato in modo conforme alle ritualità.
Data la natura del compleanno (70) qualche riflessione a latere si è tuttavia resa necessaria. E ne dò qui un primo campioncino.
La sera del 19, non funzionandomi il telecomando, ho scoperto di avere solo accesso a Rai Storia. Mi sono più che accontentato, data anche l’ora, e così non mi sono perso un ottimo e esaustivo programma, con molte cose inedite e nuove interviste, dedicato alla vita di Umberto Eco. Dico subito “si parva licet componere magnis“. In realtà ho visto e ascoltato il programma con molto piacere perché con Umberto ho condiviso anni di amicizia e con tante cose fatte insieme (diciamo così “per il Paese”). La foto qui di corredo è alla Buchmesse di Francoforte nel 1988, trenta anni fa, lui la star italiana dell’anno, io l’organizzatore istituzionale di quella grande esperienza che fu “L’Italia primo ospite d’onore nazionale” della più grande fiera del libro d’Europa (l’anno successivo toccò alla Francia e poi al Giappone).
Il programma raccontava, naturalmente, della conferenza che nel 2013 Eco tenne alle Nazioni Unite a New York dedicata alla “memoria” (il testo, un magnifico testo, si trova in rete in inglese digitando Eco Memoria New York, ancora sul sito degli Esteri-Rappresentanza a NY). Del tema aveva parlato con umorismo anche al Salone del Libro di Torino (ero presente).
Così allo scoccare della mezzanotte ed entrando nel giorno fatidico, ho “buttato giù” tre “dodicine” in versi vagamente in rima (ma in parte anche no), con un incipit che fa proprio riferimento a Umberto Eco a cui ho pensato come virtuale interlocutore (ma per farsi davvero leggere da lui sarebbe stato necessario essere più “battutaro” e quindi più divertente).
Niente di che, assicuro. Ma c’è qualcosina di meno convenevole e lo rideclino qui, su questo notes che cerco di utilizzare day by day. E oggi non mi viene niente di meglio.
20 febbraio 2018
Senza memoria,
dice Umberto con un sorriso,
non si va in Paradiso.
Né all’Inferno.
Si resta nel torpore eterno
del sordo e orfano presente.
Il cuore non sente
ruminare il suo cervello.
La parola va all’appello
di una domanda banale:
come va? non c’è male…
Ti ricordassi almeno
il gusto pieno
della vita ruggente.
Sì, lo ricordo, vagamente
nel deposito della gioventù.
Ehnnò, nei miei settanta
scorre invece tutto,
palpiti e spaventi,
fremiti innanzitutto.
La corsa pazza del sangue nelle vene,
la voglia di sapere
se conviene o non conviene
bruciare il sonno nelle sere
e abbracciare il mondo
che ogni ora, ogni secondo,
libera catene
e ne induce nuove, insieme.
Nei miei settanta
la memoria canta.
Ogni giorno una rima al Paradiso
e sferza lo scherno
delle sfide con l’Inferno.
Tutto è presente
all’appello dell’attimo fuggente.
Ma forse da oggi cambia
il senso dell’operazione.
Fare. Sì.
Ma fare anche i conti
con l’interpretazione.