La scomparsa di Gino Strada. I commenti sul coraggio e la coerenza e le note di odio vaganti nella rete.

Stefano Rolando

Articolo per L’Indro, 23 agosto 2021

Gino Strada era nato a Sesto San Giovanni nel 1948. Medico specialista in chirurgia cardiopolmonare, laureato nel 1978 alla Statale di Milano poi in specializzazione negli USA, in Gran Bretagna (a Standford e a Pittsburg) e infine in Sud Africa a Città del Capo, nell’ ospedale reso famoso dal pionierismo di Christian Barnard.  

Dal 1989 al 1994 ha operato con la Croce Rossa internazionale in varie situazioni di guerra e di emergenza. Nel 1994, come tutti sanno, fonda la ONG Emergency, a cui ha dedicato la vita salvando e curando più di 11 milioni di persone in tutto il mondo (Italia compresa) per lo più in contesti infernali.

Il tempo della sua formazione universitaria, attorno al ‘68, si mescola con l’impegno nel Movimento Studentesco milanese, anche dirigendo il giornale del MS e frequentando gli ambiti del volontariato cattolico in cui conosce e sposa nel 1971 Teresa Sarti, parte di tutte le sue attività, mettendo al mondo nel 1979 Cecilia, che dopo la morte della madre assumerà la presidenza di Emergency. 

Con il libro “Pappagalli Verdi” (Feltrinelli, 1999) ha spiegato cosa significhi dedicare una vita al mestiere di chirurgo di guerra contro tutte le guerre. Ha disapprovato le attitudini di tutti i governi italiani, di destra e di sinistra, a proposito della loro partecipazione a guerre e conflitti armati, centralmente a proposito dell’Afghanistan. “Perché quella che ho visto in molti paesi – scrisse da Kabul nel 2003 – non c’entra niente con la favola che ho sentito raccontare da giornali e televisioni: la guerra che ristabilisce diritti umani, la guerra che porta la pace, la guerra che libera le donne. Non ci sono, non esistono. Non c’è guerra umanitaria, non può esserci uccisione degli uomini in nome dell’uomo”. 

La sua critica a tutto campo alla politica che cedeva alle ragioni delle guerre si e’ estesa in anni più recenti anche al Movimento Cinquestelle che nel 2013 lo aveva indicato (insieme a Milena Gabanelli e a Stefano Rodotà) per la presidenza della Repubblica, pur essendosi lui ritirato (come la Gabanelli) lasciando il solo Rodotà alla prova del voto. 

Il 13 agosto è morto a Rouen, in Normandia, dove passava qualche giorno di vacanza, per il peggioramento dei suoi problemi cardiaci.

Una personalità radicale 

Gino Strada era mio coetaneo e mio compagno di scuola al Liceo classico Carducci di Milano. Ne ho piccole memorie, connesse al giornale del liceo (Mister Giosuè) che a un certo punto ho diretto e sul quale talvolta scriveva. Taciturno, un po’ ombroso, già allora con i suoi principi. 

Non solo per questo ho scelto di scrivere sulla sua scomparsa nel giorno della ripresa delle pubblicazioni de L’Indro, dopo la breve pausa estiva; e nemmeno per riproporre i tratti, ai più ben noti, della sua biografia. Ma perché l’impatto della sua imprevista morte ha disegnato un quadro di commenti che connota luci e ombre dei sentimenti collettivi italiani rispetto a figure tanto nitide quanto scomode.

Strada ha espresso una personalità radicale nelle opinioni e nei comportamenti attivi, tenendo in coerenza i due piani.

Legittimo essere d’accordo o in disaccordo con le sue opinioni (fin dal tempo del Movimento Studentesco, personalmente, non ero sempre d’ accordo). Ma difficile negare la sua linearità, fatta di durezze e coraggio. Cosa che ha spinto il 13 agosto il capo dello Stato Mattarella, il capo del Governo Draghi e il sindaco di Milano Sala, a svolgere con nettezza un inchino pubblico di omaggio e gratitudine.

Cosa che al tempo stesso ha mosso nel profondo della rete una ondata di odio (registrata da Paolo Berizzi, Repubblica 17.8.2021) che ha mescolato, come sempre, invettive e falsificazioni: “L’ondata di odio contro Gino Strada non si placa neanche da morto. A quattro giorni dalla scomparsa del medico fondatore di Emergency rimbalzano in rete insulti, offese infami, ricostruzioni deliranti-complottiste; una carrellata della vergogna che unisce razzisti, sovranisti, no vax, estrema destra, che è stata fomentata dalle dichiarazioni di alcuni politici di seconda e terza fila”

Nelle necrologie a pagamento, quelle della reazione immediata, si allineano mondi diversi. La filiera delle amicizie personali, la memoria dei compagni del Movimento Studentesco (con una trentina di nomi), intellettuali e artisti, noti esponenti borghesi (da Tronchetti Provera a Carlo De Benedetti), il Sindaco di Milano con Giunta e Consiglio.

Marginale la presenza del sistema della sanità, pur con alcune testimonianze di profondità (come quella di Stefano Della Valle in ricordo della comune esperienza al Naga, l’associazione di volontariato che offre assistenza sanitaria agli stranieri che non possono rivolgersi a quella pubblica). Stefano Jesorum, esponente della comunità ebraica milanese, ha scritto: “Ha fatto, creato, partorito progetti straordinari, ma soprattutto ha dato. Ha dato tutto se stesso. A volte, quando ideologizzava situazioni che a mio avviso non dovevano esserlo, non ero assolutamente d’accordo con lui. Altre volte mi irritavano profondamente certe scelte di campo a mio avviso troppo semplicistiche e superficiali, sbagliate. Detto ciò, piango la morte di un uomo raro e di un medico esemplare”. Altri – ricordando la resistenza e le guerre di liberazione – hanno sollevato dissenso per la sua avversione senza deroghe al concetto in se’ della guerra, nell’idea già espressa da Eschilo che “in ogni guerra la prima vittima è la verità”

Nel complesso dei commenti, la rete accoglie estimatori e detrattori (oltre alle invettive c’è’ anche chi lo associa “sessantottino” non solo alla scrittura ma anche all’attivismo dei servizi d’ordine); la stampa fa piuttosto emergere il riconoscimento del coraggio civile.

Ma restano comunque due registri di partecipazione al comune apprezzamento del medico-eroe, tra chi tiene a segnalare la diversità delle opinioni e del pensiero e chi nel momento del giudizio complessivo di una storia e di una vita sceglie di riconoscere linearità e coerenza.

Lo stesso Corriere della Sera, punto di convergenza delle diverse anime della borghesia milanese, fa questa seconda scelta e propone, in tre riprese, la ricostruzione della sua formazione e dell’ambito delle sue relazioni, l’ampio ricordo di Cecilia Strada, una pagina per associare le opinioni “movimentiste” di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, del leader storico del Movimento Studentesco Mario Capanna (sodale politico in gioventù con cui Strada aveva scritto a quattro mani nel 1970 “La medicina al servizio delle masse popolari”) e – con maggiore evidenza – l’opinione fraterna di Massimo Moratti.

In un periodo storico di appannamento civile della cosiddetta “borghesia progressista” e in generale di un rintanamento civico dei ceti borghesi accentuato nel corso della pandemia (“chiusi in casa come i signorotti del tempo della peste descritta dal Manzoni” ha ricordato di recente Ferruccio De Bortoli), l’intervista di Massimo Moratti (a cui va associato anche un giudizio senza se e senza ma di Letizia Moratti) sceglie la testimonianza personale contro gli stereotipi. “L’amico perfetto – dice Moratti – un entusiasta che non pensava a sé. Gino non era un moralista, un predicatore, uno che stava lì ad osservare e lanciare sentenze (…). La concretezza, punto. I deboli da aiutare, fine”

Le responsabilità del cambiamento

Questa nota e’ scritta per ricordare anche una generazione che non si è dispersa – come talvolta si fa credere – tra affarismo e terrorismo. Ma che ha cercato strade diverse per migliorare le condizioni collettive. Quella di Gino Strada e’ in questo senso una storia importante. Che si colloca non nel rivoluzionarismo parolaio, ma nelle responsabilità del cambiamento. 

Lo ha scritto, ad esempio, un artista della sensibilità di Vinicio Capossela: “Viene da pensare a quante vite ha contenuto in una sola Gino Strada. Come abbia fatto a moltiplicare la propria per arrivare a tutte le vite alle quali è arrivato, non solo con le idee ma con la persona, fino a prosciugarsi, nella convinzione che il mondo non vada intrattenuto, ma cambiato”.

Che alcune voci istituzionali e sociali colgano il rilievo di una dedizione maiuscola che prevale largamente su dispute politiche ha per l’inventario italiano del nostro tempo un significato da segnalare.

Non dimenticando di segnalare anche, come qui si è accennato, altri tratti in cui lodi e critiche sono state argomentate e altri tratti ancora in cui tristemente sono prevalsi elementi miserabili. 

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