Scelgo questo link, ad una pagina di giornale della sua città, che racconta la storia di un pioniere del cambiamento, anche se legato talvolta persino ironicamente agli stereotipi del tempo e in fondo di altri sistemi di concepire l’informazione e la comunicazione. Anzi capace di monumentali caricature. Come lo sono gli amanti di cose da cui si prendono le distanze e che un giorno finiranno in soffitta e se ne vive esageratamente il fragile ma al tempo stesso ineludibile fascino. Su quel cambiamento facemmo rete.
Che spostava ognuno di noi avanti con le lancette dell’orologio.
E quindi un po’ fuori rispetto alle nostre consuetudini.
Per questo fu un tempo eroico. Di cui conservo le sue lettere di amicizia e anche quelle di gratitudine.
Mettemmo al sicuro le trasformazioni. Una per una. Regole, procedure, prassi, comportamenti.
E quindi anche una nuova libertà di considerare la politica e di avere rapporti tutti finalmente più critici. Ma anche più mescolati alla voglia di innovazione che al tempo attraversava la società, ma anche la politica e anche le istituzioni.
La sua città gli doveva molto. E quell’articolo lo dice.
Ma gli deve molto anche la sua comunità professionale, con gli amici e i nemici (come ricorda Sergio Talamo che qui lo segnala addirittura come un “collezionista”). Ma quella comunità gli deve la testardaggine, l’indisponibilità ad arrendersi, il gusto delle battaglie. Molte di quelle battaglie furono giuste, altre furono sbagliate. Ma questo è un capitolo che ho chiuso da tempo e senza più pena. Anche la pena di un lungo silenzio tra di noi, che fa parte del tempo che venne dopo le cose fondamentali.
Ecco perché lo ricordo con lo spirito dei punti di forza, dei convincimenti di inizio, di tante cose condivise.
Arriva il giorno in cui di tutti – compreso di se stessi – si devono scegliere i momenti migliori e difenderli.
E nel giorno in cui si deve dichiarare questa difesa, io ci sono.