Prefazione di Liliana Segre. La presentazione a Book City giovedì 18 novembre
Nell’ambito di BookCity, la presentazione della edizione italiana di “Abitare le tenebre” di Fred Sedel (Ed. Ornitorinco, novembre 2021, prefazione Liliana Segre, post-fazione Stefano Rolando) Giovedì 18 novembre 2021 ore 19.00, presso la Civica Scuola Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli” – Fondazione Milano (Aula 305, via Carchidio 2, 20144 Milano). Intervengono: Elena Buscemi, Zita Dazzi, Gadi Luzzato Voghera, Fabrizia Parini, Stefano Rolando, Francesco Spagnolo Acht. Con il team di traduzione: Andrea Amiotti, Greta Caseti, Ilaria Consonni, Ilaria Melzi, Sul sito Bookcity: https://bookcitymilano.it/eventi/2021/abitare-le-tenebreSul sito Fondazione Milano: https://lingue.fondazionemilano.eu/news/bookcity-milano-2021 |
A Stefano Rolando, professore all’Università IULM di Milano, nostro collaboratore, che ha promosso questa edizione italiana, L’Indro ha rivolto alcune domande in vista dell’evento di presentazione.
A cura di Ghitina Vassia
Sul giornale online L’Indro, 17 novembre 2021
Chi era Fred Sedel, l’autore di questa versione italiana che arriva tanti anni dopo la prima edizione in Francia?
Il dottor Fred Sedel era un medico nato il 22 febbraio 1909 a Leopoli e laureato a Parigi in medicina, di famiglia ebraica, sposato con Myriam Stelesco (a sua volta medico, ebrea francese di origine romena), che il 9 luglio 1943 viene arrestato dalla Gestapo durante l’occupazione nazista davanti al suo studio nella banlieue di Parigi, dopo essere stato rimpatriato per malattia dai primi anni di guerra in Libano nell’esercito francese. La sua odissea è nel diario che scriverà molti anni dopo aver riportato miracolosamente a casa la pelle (letteralmente), avendo fatto sette campi di concentramento e alcuni di sterminio, ogni volta evitando la fine grazie al fatto di essere medico. Un diario allucinante, dettagliato, molto particolare.
In cosa consiste la “particolarità”?
Nell’essere stato scritto da un medico, che osserva con pathos ma anche con razionalità scientifica ciò che vede, ciò che sente, ciò che prova di persona. Non sono frequenti analisi di questo genere nelle testimonianze che riguardano la persecuzione degli ebrei. Questa ha risvolti di grande interesse ed è accompagnata da uno stile asciutto molto coinvolgente.
Ha conosciuto di persona Fred Sedel?
Si, con grande amicizia. Lui e la sua famiglia. E’ morto nel 1991. Nel 1982 l’avevo fatto incontrare – su sua richiesta – con il presidente Sandro Pertini, in occasione del viaggio del capo dello Stato a Parigi. Parlarono fittamente della vicenda personale. Dei campi nazisti, di Flossembürg (dove fu ucciso il fratello del presidente Pertini, Eugenio). E lì, in quell’occasione, si convenne l’importanza di fare un’edizione italiana del diario. Ho finalmente portato a compimento quel mandato. Questo ho scritto nella post-fazione.
Chi ha fatto la traduzione?
Un’equipe di studenti e studentesse della Scuola civica di traduttori e interpreti di Milano “Altiero Spinelli” (parte di Fondazione Milano), diretta dalla prof. Fabrizia Parini, che – cogliendo il mio proposito di svolgere finalmente quel compito – ha proposto che esso diventasse un project work della scuola. Una idea felice, anche dal punto di vista civico.
Una prefazione importante, vero?
Molto importante, quella della senatrice Liliana Segre. Per ciò che è, per ciò che fa, per il valore enorme della nomina fatta dal presidente Mattarella dandole un diritto di parola autorevole a vita. Tanto Sedel racconta quella esperienza da adulto, da medico, da esperto. Tanto Liliana Segre testimonia la sua tragedia da ragazzina, ignara ancora della vita. Due parti della stessa problematica e degli stessi luoghi.
Secondo lei come si caratterizza ora l’attenzione del pubblico e dei lettori, soprattutto dei giovani, per queste testimonianze?
La catastrofe umanitaria dello sterminio di popoli che si è prodotta a metà del Novecento è uno spartiacque della storia del genere umano. Va terminando la testimonianza diretta dei superstiti. Non può e non deve terminare la circolazione del racconto tratto da esperienza personale, soprattutto per chi nasce molto al riparo rispetto a quei tempi. E tuttavia anche per coloro che sono nati di recente la realtà che abbiamo attorno – anche quella a noi molto vicina – offre una tale quantità di provocazioni, di ritorni, di negazionismi (che furono gli argomenti che mossero il dottor Sedel a prendere la penna molti anni dopo il suo rimpatrio) da trasformare la lettura in una forma di concreta attualità. Quando poi la scrittura ci porta, con alto coinvolgimento di stile e sentimenti, in storie che non hanno dimora nel tempo, ma che appartengono al mistero dell’identità della specie umana, ci ritroviamo di fronte a quello scaffale necessario che chiamiamo “i classici”.
Come hanno interagito con questa storia i giovanissimi traduttori?
I due che hanno già potuto incontrare i figli del dottor Sedel (Laurent, anch’egli medico; Catherine, docente di Storia e Caroline psichiatra), venuti Milano per l’uscita del libro dalla tipografia, hanno raccontato l’orgoglio e la difficoltà dell’impresa, per il lessico preciso e molte volte tecnico, per l’uso di parole adatte a certi dettagli. Ma soprattutto per la vivezza e l’attualità del racconto. Ci saranno giovedì 18 novembre, nel quadro di Book City, tutti i traduttori insieme a presentatori molto significativi: Gadi Luzzatto (comunità ebraica milanese), Elena Buscemi (presidente del Consiglio comunale), Zita Dazzi (Repubblica), Francesco Spagnolo Acht (famiglia Sedel e curatore del Museo ebraico di San Francisco). Poi Fabrizia Parini e io stesso.