“Milano e la memoria: distruzioni, ricostruzioni, recuperi”. La relazione di Stefano Rolando (Università IULM 16.12.2021)

Milano e la memoria – Convegno

Università IULM – Giovedì 16 dicembre 2021, dalle ore 9.30 in Sala dei 146,

La videoregistrazione del Convegno sul sito dell’Università IULM https://youtu.be/53rRfFWyONw

Stefano Rolando [1]

Corsi e ricorsi del tema “ricostruzione” come tema identitario

Milano e la memoria. Un tema plurale che presume una memoria plurale

  • C’è la nostra memoria, di comunità residente, partecipe di tutti o di alcuni dei processi di cambiamento sostanziale della città, in una sorta di continuo riepilogo di categorie ovvero di valori che contengono un’epica molto dettagliata e complessa. Con elementi che si perdono per strada, naturalmente.
  • C’è la memoria degli altri, grazie a ciò che Milano trasmette, racconta – società, letteratura, arte, cultura, pubblicità, spettacolo, musica, media, impresa, politica – in un intreccio di narrazioni suggestive ma anche di elementi di propaganda (quella che a Milano negli anni ’50, si chiamava “la rèclame”), anche di stereotipi dell’identità e di stereotipi dell’immagine.
  • C’è la memoria ricostruita dagli analisti della memoria, così come il bel libro di Paolo Giovannetti e Simona Moretti esprime con una scrittura affondata nella grande discontinuità che va dalla metà degli anni ’40 alla metà degli anni ’50. Fino all’innalzamento del Grattacielo Pirelli nel ’59 che, come disse una volta Carlo Azeglio Ciampi venendo a Milano per una celebrazione, è “il monumento che l’Italia intera riconosce come termine della gioiosa fatica della ricostruzione”.
Foto 1. Il Grattacielo Pirelli ancora con le impalcatura vero la fine degli anni ‘50
  • C’è la memoria individuale di ciascuno di noi – per esempio oggi tutti i presenti – tra cui la mia memoria. Nato nel febbraio del 1948, nevosissimo e freddissimo febbraio, a pochi giorni dalla promulgazione della Costituzione italiana. Guarda caso esattamente nella via prospicente la grande chiesa rossa che conclude il Viale Argonne e che Paolo e Simona hanno messo sulla copertina del loro libro, per segnalare che sotto quella chiesa nasceva un nuovo quartiere; ma al di là di quella chiesa, dunque al di là delle ferrovia, persistevano antiche povertà e marginalità. Le marginalità che venti anni dopo avrebbe meravigliosamente cantato Enzo Jannacci.
Foto 2. Copertina del libro a cura di Paolo Giovannetti e Simona Moretti, Milano e la memoria: distruzioni, ricostruzioni, recuperi (Mimesis,2020)
Foto 3. In ogni caso questa era l’area della fine di Viale Argonne nel primissimo dopoguerra
  • La mia memoria è un frammento di tante altre memorie. Ma tiene conto di quella degli altri, perché ho vissuto metà della mia vita a Roma. Tiene conto della bucherellata memoria ricostruita dei più giovani (quando va bene, quando non c’è piuttosto nebbia e vaghezza); che sono poi i nostri studenti, a cui – come sa bene Guido Formigoni – quando raccontiamo la storia dobbiamo fare gesti mimici, spalancare gli occhi, alzare la voce, per segnalare drammi che per noi sono vita percepita per loro ombre, perse nel dimenticatoio generale.
  • E tiene anche conto della memoria degli analisti della memoria, per la fortuna di aver potuto svolgere dal 2012 al 2017 le funzioni di presidente del Comitato Brand Milano, che ha accompagnato per volontà del sindaco Giuliano Pisapia la scoperta della trasformazione identitaria della città prima, durante e dopo Expo. E quindi anche le narrazioni di questa evoluzione, in un processo che chiamiamo trasformazione stessa del brand Milano. Che ha portato nel 2017 a condensare questa analisi nell’Atlante del brand Milano, consegnato a fine 2017 nelle mani, accoglienti e di apprezzamento del presidente Sergio Mattarella al Quirinale.

Ecco qui quell’Atlante, ponderoso capitolo finale di un’esperienza

Foto 4. Copertina Brand Milano – Atlante della nuova narrativa identitaria – promosso da Associazione Brand Milano – a cura di Stefano Rolando – Prefazioni di Giuseppe Sala e Gianluca Vago, Mimesis (2017)

Introduco con questi spunti il tema – che mi è stato assegnato – della città colpita da diverse distruzioni nei tempi.  Come tante nostre città esposte storicamente ad invasioni e saccheggi, anche Milano ha assorbito come è stato possibile la metabolizzazione dei processi di violenza e di rigenerazione.  

Tre brevi spunti di commento.

  1. È un grande merito dei colleghi che hanno lavorato su questo progetto in Iulm, quello di aver impostato sul tema della ricostruzione di Milano uno sguardo transdisciplinare. Che ripropone la riconsiderazione di un pezzo di storia di Milano e dell’Italia come questione materiale, questione immateriale, questione simbolica, questione allusiva, questione identitaria, questione metodologica, questione di tensione progettuale, questione sociale, questione politica. I sociologi fanno bene a contenderla agli urbanisti, gli artisti fanno bene a contenderla ai politici, i comunicatori fanno bene a contenderla agli economisti.
  2. Quella storia è piena di significati: perché eravamo in guerra a fianco dei tedeschi e contro gli anglo-americani (e che ruolo aveva avuto anche Milano in quel “perché). Che significati avevano i reiterati bombardamenti su Milano (dirò poi due parole). Come una comunità, stremata, nella ricostruzione scelse la via del prima le fabbriche poi le case.  Ci fu un elemento valoriale che confezionò quella storia e che chiamerei “l’etica del lavoro”. Ci fu certamente un vissuto collettivo di appropriazione simbolica di ciò che si era perso e ciò che sarebbe stato ineludibile ricostruire. Un complesso argomento che io connetto al tema del “brand di Milano”, nel senso di mettere l’anima della città dentro una scatola valoriale che non esclude mille altre cose ma fa brillare, come la Madonnina del Duomo, i caratteri della ricostruzione come responsabilità da parte di una comunità che non aspetta mai le cose dall’alto e che, quando può, lavora cercando di non staccare in modo irrecuperabile la tradizione dell’innovazione.
Foto 5. Lucidatura a mano della Madonnina (prima della guerra)

  • Stiamo collocando questo dibattito nel quadro di una discussione che si deve ancora confrontare con le tracce di una grave crisi sanitaria e di una grave crisi sociale ed economica in corso. Questa cosa ci offre – non solo riguardo a Milano ma per tutti – la possibilità di dare una nostra risposta all’insensata polarizzazione delle domande che hanno dominato il commento pubblico alla pandemia: “Tutto come prima? Niente come prima?”. Anche alla luce di quelle storie ci pare sempre più vero che le due domande presuppongono l’intelligenza di integrare le due risposte.

Parliamo brevemente della storia delle distruzioni.

Ci si riferisce, come molti sanno a quattro vicende principali.

  1. L’invasione degli Unni – oggi diremmo ungheresi – con la guida di Attila nel 452 d.C., nella vicenda che ci ha tramandato la storia romantica di Giusta Greta Onoria, sorella di Valentiniano (imperatore di Occidente) che conosciamo per l‘interpretazione di Sofia Loren nel film Attila. Un’invasione a scopo matrimoniale. Troppo lungo spiegare la trama.
Foto 6. Street art a Milano – Attila invade Milano a meta del V° sec.
Foto 7. Sofia Loren nel film Attila con Anthony Quinn e Irene Papas (1954)

  • L’invasione degli Ostrogoti (ovvero degli Austrogoti) – dunque tedeschi origine scandinava – tra il 538 e il 539 d.C. in guerra con i Bizantini per mettere le mani su quel che restava dell’Impero romano di Occidente. Un terribile lungo assedio: 30 mila milanesi uccisi, centinaia di donne schiavizzate, la città schiacciata dalla fame.
Foto 8. Un anno di assedio, Milano finì per diventare provincia bizantina.

  • La furia di Federico I detto il Barbarossa – dunque un Hoestaufen tedesco – Imperatore del Sacro Romano impero che nel 1162 percepì Milano (che al tempo assediava Lodi) in una ambigua posizione tra Impero e Papato, di fatto coltivando la propria autonomia. Nel corso della sua seconda discesa in Italia, svuotò la città e la distrusse pezzo per pezzo. Cercando di far sparire le tracce romane dalla sua urbanistica (si salvarono le colonne di San Lorenzo per un errore informativo delle squadre di distruzione). Nessuna clemenza come chiesero i Consoli milanesi.  Barbarossa decise, ma Lodi, Cremona, Pavia e Novara applaudirono la scelta. Malgrado la distruzione a zero del Barbarossa (che farà una brutta fine, affogato sulle sponde del fiume Saleph in Cilicia, oggi Turchia, non potendo arrivare in Terra Santa) Milano salvò molte tracce della sua medioevalità, come si legge nel bel saggio di Simona Moretti nel libro parte di questo progetto su Milano.
Foto 9. I Consoli milanesi chiedono clemenza al “Barbarossa”

Foto 10. Solenne ritorno dei milanesi in città dopo la distruzione del Barbarossa. Il vessillo innalzato incrocia il bianco del popolo e il rosso della nobilita, il patto per la ricostruzione della città.

  • Infine i bombardamenti angloamericani nella seconda guerra mondiale, concentrati soprattutto tra il 1942 e il 1943, allo scopo di sfiancare Milano (centro industriale di sostegno alla posizione di guerra dell’Italia a fianco della Germania) ma soprattutto di indurre Roma alla firma unilaterale dell’armistizio (cosa che avvenne nel luglio del 1943, ponendo fine al governo Mussolini).

Parliamo di 2.000 raid aerei su tutta la superficie della città, in concentrazione sulla stazione e sulle fabbriche, un terzo della popolazione privata dalla casa, 300 mila sfollati, il 60% di edifici sottoposti a tutela della Soprintendenza gravemente lesionati e parzialmente distrutti e alla metà del patrimonio industriale e infrastrutturale pesantemente danneggiato.   Al momento della Liberazione la città contava un fabbisogno di 735 mila nuovi vani.

11. Milano dopo i bombardamenti – La Galleria
12. Milano dopo i bombardmenti – Via San Damiano all’altezza di via Mozart

Permettetemi di ricordare che, tra le case distrutte, c’era quella in via San Gregorio, vicino alla Stazione Centrale, di mia madre e di mia nonna materna (mio nonno – prefetto del Regno, a Milano – era morto, al tempo si diceva di “crepacuore”, nel 1936, per essere stato mandato in pensione prima del tempo per avere avuto espressioni non di giubilo per l’impresa d’Etiopia). In quella guerra era già caduto sul fronte greco-albanese mio zio, fratello di mia madre, mentre un altro fratello veniva preso in prigionia in Africa e mio padre – allora fidanzato con mia madre dal 1939 – era in prima linea nella guerra di Grecia e l’8 settembre sarebbe andato con la sua compagnia in montagna in resistenza insieme ai greci contro i tedeschi, che gli procurò un’odissea che finì con il ritorno solo alla fine del 1946. Con la distruzione della casa, mia madre e mia nonna, salvate poche cose, finirono sfollate prima in casa di amici poi in Valganna.

Foto 13. Milano, Via San Gregorio dopo i bombardamenti dell’estate del 1943.

Racconto questo spunto personale – che fu un dramma di migliaia di famiglie milanesi – per dire che di tutto ciò io non seppi quasi niente per racconto diretto dei miei genitori, ma per apprendimenti smozzicati e soprattutto successivi.

Perché quella generazione, quella della ricostruzione, aveva stretto un silenzioso patto con se stessa. Dimenticare tutto, lasciar perdere lutti e lacrime, guardare al futuro, nella felicità di famiglie ricostituite, di ritorno al lavoro, di speranza nelle prossime generazioni.

Questo è un aspetto su cui gli storici devono ancora lavorare un po’ più fondo.

Perché – grazie a quel patto silenzioso – è mancata largamente una parte importante di testimonianze dirette. Lo dico perché sto lavorando da anni alla ricostruzione di una sorta di biografia familiare – intesa come un segmento di società borghese intermedia, fedele alla Patria e non al fascismo, prima e dopo l’8 settembre del 1943 – e trovo le fonti con la stessa fatica che avrei se lavorassi alla ricostruzione delle Guerre Puniche.

Paolo Giovannetti – nel suo bel saggio contenuto nel libro che è parte del progetto di questo convegno – dedica a Dino Buzzati (lo cito perché era lo scrittore preferito di mia madre, che ci aveva indotto letture anche da ragazzi) uno sforzo di interpretazione del passaggio storico tra distruzione e ricostruzione a Milano. E scrive a un certo punto: “Meglio soprassedere al passato. Davanti a un domani tanto pericoloso”. E descrive lo stesso Buzzati al tempo stesso vicino e lontano da questo paradigma. Ambiguità concessa a un artista. Non a un cittadino che voglia fare davvero il suo mestiere di cittadino.

Foto 14. Dino Buzzati e la città – Una annotazione su Via San Marco –
Foto15. Il famoso acquarello di Buzzati sul Duomo incorporato nelle Dolomiti di Cortina

Vorrei arrivare così a qualche conclusione tra questi elementi di un dna antropologico (città distrutte, città ricostruite). Dicendo in poche battute con quale sguardo –  connettendo storia, sociologia, urbanistica, economia e sistemi della rappresentazione – noi possiamo valutare fenomeni che ci riguardano ancora, ma che devono sfuggire da analisi sommarie e stereotipate per aiutarci a cogliere quelle dominanti identitarie che realmente appartengono alla filiera delle identità tramandate. Prendo in considerazione solo qualche elemento.

  • Un aspetto che mi pare si possa cogliere riguarda il metodo della ricostruzione di Milano (quello dopo la Liberazione nel ’45, che potrebbe avere qualche tratto in comune con quello di mille anni prima, per la nascente formazione di una società intermedia tra potere e popolo che già nel 12° secolo si manifestava). Milano non ricostruisce in modo filologico, fatte salve opere monumentali e di valore artistico (come la Scala, il Duomo, Palazzo Marino e altro). Il paradigma di connettere sempre bello e utile (che è una cultura primaria, quella del design, a Milano, intesa come città del sapere e del saper fare) ha permesso di “tirar su” la nuova città anche in forme un po’ irregolari e anomale che hanno riguardato tutta l’edilizia civile, più utile che bella in verità, ma in cui il “bello” è stato di farcela in dieci anni, un primato in Europa, per come stava messa Milano.
  • Un secondo aspetto sta nella visione della grande opportunità che riguarda la decisioni di una città di tradizione riformista (i turatiani da Caldara a Tognoli, vorrei dire), che concepisce la possibilità di intervenire nelle macerie per provare a ridurre disuguaglianze e ampliare i servizi sociali.

I due sindaci di Milano impegnati nella vicenda della ricostruzione (Antonio Greppi e Virgilio Ferrari) sono ricordati per la loro esemplarità.

Ho a mente un film documentario promosso dal Comune di Milano in quegli anni centrato sulla priorità di costruire e innovare il sistema dei servizi con assoluta centralità delle scuole, dei bambini, dell’assistenza, dei servizi alla persona. L’attivazione di un’urbanistica legata ai nuovi quartieri – altri ne parleranno meglio di me – è in questa direzione. Come lo è anche lo spirito di una rete intercomunale tesa a non ghettizzare le periferie e che oggi si presterebbe ad una base culturale per rifondare, ovvero di fondare, una vera città metropolitana. Così come l’approfondimento di questa storia ci aiuterebbe a capire che Milano oggi non deve andare urbanisticamente verso una ricostituzione delle grandi disuguaglianze cedendo la regia di progetto a un’urbanistica selettiva che premi solo il lusso. Orizzontale o verticale che sia. E ciò sia detto anche rispetto ad una tendenza che ora sembra puntare a una assoluta globalizzazione commerciale del centro storico, processo che deve trovare forme di equilibrio che nascono dal rispetto per il vissuto popolare di una comunità.

Foto 16. Carlo Tognoli nel 2014 rievoca la vittoria dei socialisti a Milano nel 1914 con Emilio Caldara

  • Il terzo aspetto – in cui studio, ricerca e analisi sono al servizio del presente – riguarda la necessità di governare oggi più che mai, nel quadro che è ancora un laboratorio vivente della pandemia, il processo di evoluzione del brand della città. Che non vuol dire pensare che la narrazione che alimenta l’evoluzione del brand sia compito dei poteri, che hanno (salvo che nella visione dei dittatori) ruolo molto parziale nelle narrazioni che contano. Ma intende chiarire che questa evoluzione ha una sua genesi democratica quando si fonda su un vero dibattito pubblico. Una dimensione partecipata fatta di conoscenza della storia e problematizzazione delle prospettive.

Quel dibattito pubblico esiste nella misura in cui chi ha responsabilità al riguardo lo alimenta. Ecco, in questo aspetto, c’è anche la spinta al sistema universitario e alla sua cosiddetta “terza missione” che è affermata, ma spesso non è incoraggiata.


[1] Docente di Comunicazione pubblica e politica e di Public Branding all’Università IULM presso cui è altresì direttore scientifico dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione digitale. Dal 2012 al 2016 è stato presidente del Comitato Brand Milano promosso dal Comune della Città e a riporto del Sindaco. Nel 2020 ha pubblicato Pandemia, Laboratorio di comunicazione pubblica (Editoriale Scientifica). Nel 2021 Public Branding. Per un nuovo modo di narrare i territori e la loro identità (EGEA) e Comunicazione pubblica come teatro civile. Governare la spiegazione (Editoriale Scientifica).

Milano e la memoria: distruzioni, ricostruzioni, recuperi”.

 Il programma del convegno:

9.30 Saluti istituzionali

  • Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura – Comune di Milano
  • Giovanna Rocca, Prorettrice alla Ricerca – Università IULM

9.50

  • Presiede Guido Formigoni (Prorettore alla Qualità – Università IULM)
  • Stefano Rolando (Università IULM), Corsi e ricorsi del tema “ricostruzione” come tema identitario
  • Lorenzo Finocchi Ghersi (Università IULM), Luigi Caccia Dominioni architetto nella Milano del dopoguerra
  • Simona Moretti (Università IULM), “Uno strambo guardrail”: la chiesa di San Giovanni in Conca

11.00 coffee break (The Bridge)

11.30

  • Leonardo Capano (Università IULM), Una passeggiata tra passato e presente: da Porta Vittoria a Porta Romana
  • Angela Besana (Università IULM), Ragione e cuore di Milano, tra filantropia e mecenatismo
  • Martina Treu (Università IULM), I teatri di Milano e la memoria ritrovata
  • Massimo De Giuseppe (Università IULM), Milano e i “mondi lontanissimi”. Intrecci e immaginari nei decenni della guerra fredda 

13.00 Lunch (The Bridge)

  • 14.30 Presiede Alessandra Micoli (EUMM-Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord)
  • Guido Ferilli (Università IULM), I racconti della chiesa di Santa Rita a Milano nel ‘900
  • Giuliano Gaia (Università IULM e InvisibleStudio) e Stefania Rossi (Museo Poldi Pezzoli), Il caso del Museo Poldi Pezzoli
  • Annamaria Esposito (Università IULM), Musei d’impresa, memoria viva nella città di Milano
  • Michela Bresciani (EUMM-Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord), Narrare il patrimonio del territorio: strumenti per giovani in formazione

16.00 coffee break (The Bridge)

16.30-18.00

Tavola rotonda con

  • Maria Fratelli (Dirigente Unità Case Museo e Progetti Speciali del Comune di Milano)
  • Valentina Garavaglia (Prorettrice alla Didattica – Docente di teatro moderno e contemporaneo – Università IULM)
  • Giovanna Rosa (Docente di Cultura letteraria e generi della modernità – Università degli Studi di Milano La Statale)
  • Francesca Tasso (Conservatore responsabile dei musei del Castello Sforzesco di Milano).
  • Introduce e coordina Paolo Giovannetti (Direttore del Dipartimento di Comunicazione, arti e media – Docente di Letteratura italiana contemporanea – Università IULM).

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