Il dato di ricerca dell’istituto Demos (L’Espresso) segnala un certo balzo di reputazione dello Stato, proprio nei giorni di avvio della fase decisiva per la nomina del nuovo capo di quello Stato.
Stefano Rolando
Sul giornale online L’Indro (20.12.2021) – https://lindro.it/demos-risale-la-fiducia-degli-italiani-nelle-istituzioni/


Secondo anno di crisi pandemica e – come si percepiva da molti dati di dettaglio – la fiducia degli italiani nei confronti delle istituzioni compie un certo balzo. Che non sarebbe arrivato senza l’emergenza e senza le soluzioni adottate da un solido presidente della Repubblica, in mezzo a una crisi decisionale della politica e a una crisi sociale causata dal contraccolpo produttivo e occupazionale alla pandemia.
Il dato che dà il titolo alla tradizionale rilevazione di fine anno, condotta da Ilvo Diamanti (Università di Urbino) attraverso l’istituto Demos, è rappresentato da uno dei quindici soggetti di “pubblica utilità” sondati, che per questo tipo di indagine è certamente il più rappresentativo: lo Stato.
Parliamo dello Stato italiano.
Che nell’ultimo anno non segnato dalla pandemia, cioè il 2019, segnalava un risultato oggettivamente preoccupante in ordine alla fiducia di cittadine e cittadini, il 22%.
Dopo il flagello del virus, il balzo è di 15% punti, segnalando un 37% che recupera tra l’altro 4 punti sulle rilevazioni di fine 2020. E che rende il distacco con l’Unione Europea (44%), con il sistema regionale (42%) e con i Comuni (45%) – cioè gli altri livelli dell’ordinamento – ancora evidente e additabile ma non più con la penalizzazione, anche psicologica, di una evidente incolmabilità.
Nella valanga di dati proposti dal puntuale rapporto di fine anno sulla fiducia degli italiani verso le istituzioni – questa volta non su Repubblica ma sull’edizione di ieri, domenica 18 dicembre, dell’Espresso – questo dato va un po’ isolato dalle scintille di troppe percentuali che rischiano di far perdere di vista una prevedibile ma finora non misurata condizione di rigenerazione del bene pubblico per eccellenza di una comunità nazionale.
Un dato che, per l’Italia, stava a un livello così basso da creare una condizione di supplenza da parte di altri soggetti (la singola figura del Presidente della Repubblica, in alta classifica da anni; oppure le Forze dell’ordine, in testa alla classifica da molto tempo) che restavano segnali consolatori ma poco adattabili a quella classifica di piena funzionalità di ciò che va sotto il nome di Sistema-Paese.
La fasatura cioè dei tre sistemi, quello istituzionale, quello sociale e quello produttivo, che è la vera condizione per rendere competitiva una nazione.
Meglio dire subito che il 37% resta ancora una soglia di debolezza.
Ma questo dato rafforza una visuale di speranza attorno alle previsioni per i prossimi anni cruciali che non appare ora cosa così velleitaria.
Cresce un po’ anche l’istituzione Scuola (dal 54%, del 2019, al 59%), da intendersi come un riconoscimento degli italiani per gli sforzi collettivi degli operatori. Mentre segna il passo la Magistratura (39% rispetto allo stesso 39% del 2020 che aveva guadagnato qualche punto sul 2019), ma è il minimo che ci si potesse aspettare dopo un anno di rivolgimenti e scossoni.
Questa nota non può passare in rassegna tutte le voci.
Così come non può correlare questi dati con la rilevazione gemella circa la soddisfazione dei servizi, di cui tuttavia va almeno qui citato un riscontro non entusiasmante.
La società tende la mano
Preme piuttosto percepire adesso l’atteggiamento di fondo di un sistema sociale aggravato da vari elementi. Il carico dei suoi 136 mila morti in più degli addii abituali. Le incidenze di una disoccupazione ancora non rientrata. La chiusura di esercizi e imprese ancora non riequilibrata dall’iniezione finanziaria europea possibile solo a condizioni di tenuta gestionale competente e stabile degli interessi nazionali.
Ebbene questa società allunga ora la mano con qualche speranza in più del passato verso quasi tutto quello che agisce sotto il cappello di ciò che la gente concepisce come “istituzione”.
Anche se la rilevazione riguarda anche ambiti che il diritto italiano non comprende affatto in questo perimetro (il Papa, la Chiesa, le banche, i sindacati, le associazioni imprenditoriali, eccetera).
Quasi tutti guadagnano reputazione. Persino i partiti politici, che sono soggetti privati ancorché di rilievo costituzionale, da anni ultimi in questa classifica. Restano ultimi, ben inteso. Ma passano dal 9% (meno di 1 italiano su 10) registrato nel 2019 e anche nel 2020, al 13% di questa fine 2021.
Forse a voler dire che, a condizione di non portare una parte rilevante del peso delle scelte di interesse collettivo ma assicurando il sostegno parlamentare alle opzioni anti-crisi promosse da un governo di emergenza, i partiti politici italiani alleggeriscono un po’ la loro immagine di maglia nera.
Questo trend si incrocia con la partita per il Quirinale
Questo genere di “fotografia” va letta nel suo trend. Ma soprattutto nella coscienza che basta niente per riprodurre parabole discendenti.
Il consolidamento di trend nel 2022 sarebbe una capitalizzazione di interesse generale di grande importanza. E’ evidente che la battaglia in corso per la elezione del Capo dello Stato segnerà proprio all’inizio del nuovo anno un segnale di rafforzamento del trend, così come potrebbe anche esprimere un pericoloso rallentamento della curva.
Perché se è vero che spesso l’elezione al Quirinale ha risposto alla logica che, rispetto a chi è nominato, pare contare più chi propone e nomina, è anche vero che poi nel corso del lungo settennato le qualità morali, istituzionali e politiche (nessuna di esse esclusa) vengono percepite dai cittadini come patrimonio collettivo (o come diminuzione di quel patrimonio) senza nemmeno ricordare da chi è venuta la proposta o contro chi essa ha avuto la meglio.
E’ evidente che ai nastri di partenza appaiono candidati molto diversi tra loro. Alcuni appaiono divisivi, nel senso di essere poco curanti del profilo reputazionale delle istituzioni. Ma ci sono anche candidati di valore tecnico che, per specifica inesperienza, rischiano di non tenere a bada il male oscuro dell’Italia, da anni costituito dall’insufficienza della politica. E ancora ci sono candidati che appaiono espressione del bisogno di visibilità “decisionale” di qualche pezzo del Parlamento nella più soave incuranza che la più alta magistratura deve dimostrare ogni giorno la sua credibilità nei confronti delle magistrature nel loro insieme.
Speriamo che i parlamentari italiani leggano la rilevazione Demos di quest’anno che chiede ogni sforzo per tenere in consolidamento la reputazione sociale delle nostre istituzioni e vi affidino un’onesta riflessione.