In agenda a Bruxelles il più complesso Consiglio UE di quest’anno e al tempo stesso il Vertice della NATO. Il tema è cosa ci aspetta se si avvicinano davvero Russia e Cina.
Stefano Rolando
Articolo pubblicato sul giornale online L’Indro, lunedì 21.3.2022 h. 7.00
Dobbiamo preparaci a leggere, capire e proiettare nella prospettiva ciò che la giornata di giovedì 24 marzo sta imbastendo, con una fitta trama diplomatica e politica.
Epicentro per quel giorno non sarà Kiev, salvo che Putin, per creare nel mondo una notizia maggiore di quella che sta preparando l’Occidente, non rovesci le sorti del suo impantanato assedio alla capitale ucraina, occupandola.
Sarà Bruxelles in cui si preparano al tempo stesso il più complesso Consiglio UE di quest’anno e il Vertice della NATO.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è atteso in entrambi gli eventi. Uno come ospite, l’altro come “azionista di riferimento”. Il tema della alleanza UE-USA, rafforzato dalla guerra di invasione russa della Ucraina ma anche dalla virata atlantica della Germania, sarà il protagonista della materia che tiene il fiato sospeso nel mondo intero.
Il commissario italiano all’Economia Paolo Gentiloni, rispondendo alle domande di Paolo Valentino (una intera pagina domenicale del Corriere) lancia il tema più specificatamente europeo: prendere le distanze dalle dipendenze verso la Russia, considerata impresa non impossibile anche a breve (“vale solo il 5% del commercio europeo”). E profila la questione della autonomia e del salto di qualità nell’integrazione: “Autonomia nella difesa e nell’energia, ma anche nel campo delle filiere produttive”.
In ogni caso si aprono interrogativi, a cui potrebbero sensatamente dare risposte anche le nuove generazioni, circa la ripartenza del federalismo europeo.
Il commento domenicale del Sole 24 ore dà una lettura più a rischio della prospettiva economico-produttiva: “Covid e guerra spingono le filiere verso nuove autarchie”. Luca Orlando spiega che “incertezze geopolitiche e difficoltà logistiche favoriscono l’avvicinamento delle catene di fornitura ai luoghi della produzione”.
Ma lo scenario geopolitico sembra più ampio e complesso di questo tema, pur rilevantissimo.
La percezione, cioè, è che si consolidi l’avvicinamento strumentale tra Russia e Cina.
Interrogando i nostri studenti (sondaggio pubblicato qui pochi giorni fa) anche su questo argomento, su cui a malapena nelle università specialistiche di geopolitica si possono avere percezioni di qualche rispondenza, già un terzo degli intervistati (pari a chi non ci crede e pari anche a chi non sa rispondere) intravedeva una sorta di nuovo “muro” tra l’asse atlantico e l’asse “autoritario e dispotico”. Ma tra gli addetti ai lavori questa ipotesi ha più consistenza.
Insomma la situazione multipolare, pacifica, economicamente competitiva ma non con gli occhi indietro ai tempi delle “guerre fredde”, a cui sembravamo destinati prima delle crisi in atto (da quella sanitaria, a quella economica, a quella militare) rimetterebbe in funzione il filo spinato, ricostruirebbe la logica dei buoni e dei cattivi, darebbe ragione al militarismo russo e americano e non al tendenziale pacifismo europeo e cinese.
Per scelta o per convenienza si profilerebbero alleanze che forgiano l’avviamento del nuovo millennio in forme più inquietanti.
Non ho scienza per inoltrarmi di più su questi spunti, ora giornalistici.
Ma giovedì a Bruxelles lo scenario in cui si schiereranno gli addetti ai lavori avrà due teatri di analisi.
- Quello specifico della guerra ottocentesca innescata dallo zar perpetuato nell’orgoglio e nel pregiudizio putiniano, rispetto a cui un’eroica resistenza ucraina allunga ancora un po’ i tempi della resa nella speranza che un negoziato realistico sia possibile.
- Quello che fa da cornice alla soluzione di questa guerra – come lo sono stati nella storia tutti i congressi di Vienna o di Yalta successivi a catastrofi – in cui si ridisegna il mondo.
Negli stessi prossimi giorni vengono annunciati “aperti” anche i cantieri negoziali che si sono attivati da giorni, partendo tutti dai rapporti di forza internazionali ora esistenti, da quello israeliano a quello turco che ha fatto passi avanti anche in questo w.e.
Il tempo che viene
E’ venuto comunque il momento di leggere i due tempi del problema – che sulle prime pensavamo separati – con gli occhiali di “soluzioni grandi” che rendono possibili le “soluzioni piccole”.
La tempesta dei fatti quotidiani è la materia abituale dei media.
Seguiamo minuto per minuto, da giorni, bombe, distruzioni, feriti, sdegni, appelli, assedi, con l’ansia umana di una “mano di Dio” che cancelli ad un tratto l’imbecillità e la ferocia che da millenni appartiene alla specie umana.
Ma i nessi tra questi fatti, cioè la logica dei processi, ci è spesso poco chiara seguendo apprensivamente i media.
E tuttavia è da quella logica che soprattutto dipendono in realtà le soluzioni.
E’ difficile dire se questo giovedì 24 marzo sia un anello vero della catena appunto di questa logica. Ma le cose maturano per farcelo pensare, almeno per ciò che riguarda le responsabilità in cui il nostro Paese è inquadrato.
Con la variante, di uno schema cosi chiaramente conflittuale, che può concludere una guerra; ma che può anche aprirne di altre ovvero fare di quella attuale una sorta di Vietnam.
Per questo limito il mio commento, in apertura di settimana, alla proposta di preparaci magari a una delusione ma più probabilmente a un barlume di realismo. Che avrà il pregio di farci immaginare la fine del peggio, ma anche il difetto, forse, di non piacere a tutti.
Tutti noi che ci sentivamo, chissà perché, al riparo per definizione dall’inferno che resta ancora un prodotto doc, sintesi e simbolo delle grandi imperfezioni della nostra umanità.