Brand Milano. Atlante della nuova narrativa identitaria. Presentazione al Quirinale

Presentazione al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del volume

Brand Milano. Atlante della nuova narrativa identitaria

Quirinale 16.11.2017

Una delegazione della Associazione Brand Milano ha illustrato, prima delle presentazioni a Milano e altrove,

il profilo di”Brand Milano. Atlante della nuova narrativa identitaria“,

prefazioni di Giuseppe Sala e Gianluca Vago, introduzioni di Stefano Rolando e Nadio Delai,

conclusioni attraverso i colloqui con Salvatore Veca, Emma Bonino e Giuseppe De Rita,

con i contributi di cento autori che hanno concentrato l’attenzione sui cambiamenti della città dopo Expo,

edizioni Mimesis, novembre 2017.

Interventi di

Andrea Cancellato – Una iniziativa sostenuta dalla membership del sistema Milano

Gianluca Vago – Una iniziativa partecipata dal sistema degli atenei milanesi

Stefano Rolando – Articolazione dell’opera

Francesca Zajczyk – Fattori sociali e culturali del cambiamento

Alberto Meomartini – Fattori economici del cambiamento

Giuseppe De Rita – La ridefinizione della città

Hanno preso parte anche: Luca Bianchi, Davide Corritore, Giovanni Gorno Tempini, Luca Montani, Roberta Bianchi.

 

Intervento di Stefano Rolando (curatore dell’opera)

Signor Presidente, innanzi tutto un vivissimo ringraziamento – come curatore dovrei dire “a nome di tutti i cento autori” che hanno contribuito a realizzare quest’opera – per avere reso possibile questa illustrazione che racconta con evidenza una città, intesa anche come comunità, che vuole parlare a se stessa ma con pari forza vuole parlare oltre se stessa.

Si tratta di un’opera plurale e corale. Scritta da uno spaccato della classe dirigente di una città in trasformazione. E con alcuni sguardi esterni. Molti autori, che corrispondono a tanti punti di vista, valori, storie, interessi, sguardi al futuro. Lei sa che Milano non è propriamente una città verticale. Anzi da lungo tempo è una città piuttosto orizzontale, di tipo borghese, con tante realtà che hanno bisogno di raccontare storie diverse, spesso convergenti, a volte conflittuali. Da qui una difficoltà di fare sintesi narrativa. Ma ancora più difficile è fare una sintesi identitaria. Questo è davvero un compito delicato. Lo è per ciascun popolo, per ciascuna comunità. Perché è necessario distinguere realtà e stereotipi.

Quando uscì negli anni ’70 la Storia d’Italia edita da Einaudi, il suo curatore, Giulio Bollati, scrisse il primo lungo capitolo dedicandolo al “carattere degli italiani”. Nelle prime righe spiegò di essere stato a Princeton ricevendo dagli studenti questa lapidaria definizione del carattere degli italiani: “artistici, impulsivi, appassionati”. Pensavo a questo spunto venendo qui oggi e, se me lo concede, pensando a Lei, il capo morale di tutti gli italiani. Non mi permetto di chiederglielo ma forse l’aggettivo “artistico” non la riguarda, quello di “impulsivo” – se riferito a Lei – agli italiani pare improprio, mentre quello di “appassionato” dovrebbe appartenere a chi fa politica. Ecco, due terzi di quell’unanime giudizio sembrerebbe distante dal riguardarla. Cosa che forse ci fa pensare che esso contenga una buona dose di stereotipi. In qualche modo abbiamo provato a fare emergere i caratteri in trasformazione di quella che viene chiamata “milanesità”, che appartiene a nativi e ad adottivi. E abbiamo cercato di concentrare l’osservazione agli ultimi tempi, soprattutto i due anni dopo Expo. Molti degli intervenuti hanno scritto che naturalmente non è stata Expo la leva della trasformazione, quanto piuttosto la leva che ha permesso lo sguardo – nostro e del mondo – su un processo di cambiamenti in corso da qualche tempo. Cambiamenti che si è trattato qui di descrivere sia in generale sia in ordine a temi nuovi (innovazione, urbanistica, economia, eccetera) che si vanno facendo fattori attuali dell’agenda. In primis la questione di una città che ha accettato le sfide della globalizzazione, fino al punto di avere le sue due squadre di calcio in proprietà ai cinesi, ma che – molti in queste pagine lo affermano – sente parimenti la necessità di salvaguardare alcuni suoi profili tradizionali. Il prof. Vago ha fatto poco fa questo preciso riferimento parlando della quarta di copertina. Nei nostri lavori precedenti (in atto sul tema dal 2012) avevamo rilevato dieci nette fasi di forti cambiamenti identitari di Milano nel corso del ‘900. Più volte è stato il destino ad agire come leva (le guerre, il fascismo, il terrorismo, eccetera). Alcune volte i progetti della classe dirigente. Ma sempre i progetti della classe dirigente hanno reagito ai piani del destino. Ora un nuovo modello pare in atto. Milano sta cambiando da “capitale umorale (un’espressione di fine secolo, variante della storica definizione “capitale morale”) con la percezione di incertezze che sono state riattivate con l’aprirsi della crisi del 2008, a città sistema che riorganizza il suo futuro. Come Lei può vedere questo non è un “rapporto”, non è un “piano”, è un atlante perché costituisce in un certo senso un sistema di mappe che interpretano un passaggio storico.

Cosa contiene in estrema sintesi questo Atlante?

La prima parte, dopo la prefazione del Sindaco Sala,  sono i caratteri generali (appunto le mappe e il dettaglio della nuova narrazione: letteratura, musica, cinema, tv, media,  arte, rete, eccetera); Ferruccio de Bortoli alla fine racconta il racconto, almeno per l’epoca contemporanea; la seconda parte sono i fattori specificatamente emergenti (l’innovazione, la nuova economia della creatività, i nuovi flussi tra cui il turismo);la terza parte riguarda il rapporto tra tradizione e innovazione (tema dell’equilibrio identitario tra globalizzazione e radici), riguarda importanti sguardi esterni, riguarda l’anticipazione nelle pagine stesse del libro (20 esponenti della città) di un dibattito che auspichiamo si sviluppi e si ampli.

In questo dibattito un capitolo è dedicato a discutere l’espressione del titolo sul Sole 24 ore dell’articolo del Presidente della Repubblica a chiusura di Expo (“Speranza Milano, capitale europea, motore dell’Italia”). Troverà molti consensi. Ma anche accenti diversi, anche nel gruppo dirigente. Il tema nord-sud resta criticamente aperto sulle forme di nuove possibili sintesi.

Tre, infine, sono gli spunti conclusivi: Salvatore Veca, sul senso “filosofico” del cambiamento (non una brusca discontinuità ma un processo carsico); Emma Bonino, sulla percezione internazionale del cambiamento. Giuseppe De Rita, su nuove possibili autodefinizioni della città (“da città industriale a città multiscopo”). Ecco questa espressione – sarà lui stesso tra poco a tornarci sopra – copre un’esigenza importante. Perché i milanesi fino a pochissimo tempo fa non hanno avuto alcuna perplessità a raccontarsi come appartenenti a una “città industriale”. Poi non abbiamo più visto attorno a noi i tratti caratteristici che connotano questo aggettivo. Non possiamo abolirlo perché ci verrebbe ricordato che il PIL di Milano resta ancora molto legato alla produzione manifatturiera. Ma lo dobbiamo adeguare a una interpretazione più complessa.

Tra i contributi vi è anche quello di Piero Bassetti che, oltre a profilare Milano come città in grado di stare direttamente in connessione con il mondo in molteplici aree, è l’unico che porta questa istanza definitoria fino al punto di fare una proposta, quella di usare la “mela” realizzata da Pistoletto e che è collocata davanti alla Stazione Centrale, non la mela da mangiare di New York ma la mela rabberciata, ricucita, ricomposta che appartiene al nostro tempo. Dunque il tema del brand tocca ampiamente le questioni narrative ma si spinge anche all’aspetto della sintesi simbolica.

L’idea di brand su cui si è lavorato fa sintesi di una espressione più ampia: patrimonio simbolico collettivo in evoluzione sia narrativa che percettiva (qualcosa di più della semplice “immagine”). Esso appartiene al popolo non ai “poteri”, ma esso può essere custodito, responsabilmente amministrato, analizzato, mantenuto, accompagnato nei cambiamenti. Intanto arrivano i dati dei ranking sulla reputazione e   nell’opinione degli investitori Milano va dal 23° al 9° posto. Aspettiamo a giorni i ranking inglesi di City Brand Index che testano l’immaginario delle persone. In una fase difficile della vita nazionale, spesso con toni allarmati e con legittime preoccupazioni, queste pagine appaiono invece con i nervi tranquilli ma con una operosità indomita. Milano tende a non essere mai contenta. Ma quando vale la pena sa anche fermarsi a contemplare le sue opere finite (come lo sono non solo i grattacieli ma anche tutti gli eventi che ruotano nell’agenda) e quelle non finite (attorno al simbolo della sua michelangiolesca “Pietà Rondanini”).

 

Un brano dell’intervento di replica del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Quest’opera si presenta davvero come un racconto plurale e corale che riguarda una città in una fase speciale della sua evoluzione. Sarà per me sinceramente interessante leggere le interpretazioni qui contenute che appunto hanno il pregio di riguardare diverse ottiche. E’ un modello inedito per spiegare oggi le nostre città e per mettere i cambiamenti importanti di Milano all’attenzione di tutti. Da questo punto di vista la scelta del tema identitario è particolarmente felice perché tocca un tasto in cui non è con gli stereotipi che noi riusciamo a spiegare né il nostro paese né gli italiani. Apprezzo molto che questa delegazione abbia voluto dare qui una sintetica illustrazione di questo brillante risultato che considero un punto di partenza aspettando quindi gli esiti di una prossima e successiva verifica“.

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