Podcast n. 15 – Il Mondo nuovo – Governo Meloni: ci porta avanti o indietro?

Podcast n. 15 – Il Mondo Nuovo – Lunedi 24 ottobre 2022

Rubrica “Il biglietto da visita”

Buongiorno. Sono Stefano Rolando.

Oggi podcast n. 15, parliamo del governo e ci domandiamo che se con esso l’Italia andrà avanti o andrà indietro. Due situazioni opposte da cui dipende la vita di noi tutti.

  • Vado io, intanto, indietro di una decina d’anni. Ricordo l’opinione di un mio amico nel 2011. Quando, dopo vent’anni di guida a destra della città di Milano, Giuliano Pisapia coalizzò un vasto schieramento che allora si chiamava “progressista”, in una campagna elettorale in cui fu decisivo sottrarre a Letizia Moratti un bel pezzetto di “borghesia”, appunto quella che storicamente si chiama a Milano “borghesia progressista” (perché come è noto c’è anche una viva e vegeta “borghesia conservatrice”). Quel mio grande amico e grande collega, uno dei maggiori sociologi italiani, che era Guido Martinotti, veniva dalla cultura socialista italiana, studiava i cambiamenti e soprattutto conosceva il mondo. Per questo era disposto a uscire da alcuni schematismi. E diceva: “Non ci impantaniamo troppo nella guerra tra destra e sinistra. Adesso è cruciale per questa città e per l’Italia capire con chi andiamo avanti e con chi andiamo indietro”. Lui sceglieva di stare con un candidato di sinistra, rispetto a questa domanda.  Ma pretendeva che la sinistra uscisse dal suo stereotipo identitario. Cercando di identificare contenuti innovativi, da tutti i punti di vista.
  • Mi viene in mente questo frammento di memoria, che in fondo è abbastanza recente, per provare a fare nei giorni di insediamento del governo Meloni, una riflessione parallela.  Non voglio sottarmi al tema destra e sinistra, su cui ho scritto, analizzato e detto ciò che non ritengo ora di dissimulare. Il giudizio di fondo è netto. Il governo è di destra, di una destra inedita, rispetto alla storia della democrazia repubblicana. Ed è carico di spunti nostalgici, autarchici, nazionalistici, localisti.  La coppia Musumeci- Calderoli sul nodo della questione nord e sud è una metafora indicibile.  Il mare va con il sud (sentiremo l’opinione dei liguri e dei romagnoli, ovviamente) e non con le infrastrutture, come dire non lo do a Salvini perché mi basta evocare il tema più che affrontarlo seriamente. E la transizione digitale, che taglia tutte le competenze, sta addirittura fuori dal menu per lasciare il posto alla difesa del parmigiano magari contro l’importazione dell’ananas. Tuttavia, non cediamo all’immaginazione della ripetizione paro paro della storia della marcia su Roma (il centenario è alla fine di questa settimana). Nemmeno si dovrebbero rivedere le squadracce devastanti o cose come l’omicidio Matteotti. Poi, su certe chine, si vede che il modello Trump arriva a aizzare la violenza, ma per ora non mi unisco a chi vuole abbaiare senza discutere.
  • Mi limiterei quindi – cercando di interpretare la bandiera stessa di Giorgia Meloni – a discutere il tema che lei mette al centro della sua posizione: l’interesse nazionale. Se con esso si intende una cosa retorica, per cui basta mettere al Ministero dell’Agricoltura la parola “Sovranismo”, al Mise la parola “made in Italy”, alla Famiglia la parola “Natalità”, per intascare i dividendi di quell’espressione, dico una sola cosa sul governo: buona notte. Ma se emergessero per caso argomenti per dire che esso è parte di un modo attuale, moderno, internazionale di concepire lo stare nel sistema europeo e globale con una giusta cultura competitiva (che i nostri vecchi imprenditori dicevano basarsi non sul propagandismo dei propri prodotti ma sul rispetto per il competitor, che andava studiato sempre per imparare sempre a superarlo) ebbene la domanda “ma questo governo ci porta avanti o indietro?” diventerebbe lecita, legittima e utile.
  • Non posso passare in rassegna il governo ministro per ministro. Dove qualche nome merita di essere messo alla prova, ma per il grosso della compagine (come è avvenuto molte volte anche nel passato, va riconosciuto) si sommano troppi elementi per mettere ali alle speranze.  Ad ogni formazione di governo (ho avuto la ventura di occuparmene per lavoro da metà degli anni ’70 in poi, che lavorassi direttamente per i governi o facessi altro) mi è sempre sinceramente dispiaciuto quando le speranze erano basse e non ho mai ceduto alla logica del “tanto peggio tanto meglio” che apparteneva al nostro massimalismo di varia ispirazione in varie epoche); ma non mi sono mai fidato della propaganda sulle sorti, ogni volta, del “miglior governo possibile”.
  • Attorno al tema “questo governo ci porta avanti o indietro” ci sono – come è evidente due rappresentazioni opposte in questi giorni nel dibattito pubblico. Ed è per questo che l’argomento rientra perfettamente nel titolo della rubrica “Il biglietto da visita”. Tanto più che ora i biglietti da visita li fanno appunto stampati davanti e dietro.
Lo scambio della campanella a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e Giorgia Meloni (domenica 1ì23 ottobre 2022).

Propongo allora tre questioni.

  • La prima si basa su una domanda: la cultura di Giorgia Meloni (non abbiamo molte fonti, ma la sua recente autobiografia può aiutare) appartiene al primatismo degli annunci, dei simboli del vecchio nazionalismo, della pura evocazione, all’interno di un invecchiato principio statalista? Oppure appartiene (o almeno potrebbe tendere ad appartenere) alla capacità emulativa della cultura della concorrenza fondata sul valore dell’impresa, sulla ricerca scientifica e tecnologica (di per sé cultura globalista) e sul costante aggiornamento della teoria economico-sociale?  La mia impressione è che, di base, essa fin qui sia la prima che ho detto. E che quella di questo governo, con alcuni angoli di distinzione, appartenga a questo schema retorico. Con una clausola di salvaguardia. Che è vero che Giorgia Meloni è intelligente ed è  apprenditiva. Ha già dato cenni, infatti, di poter cambiare qualcosa. Ma la frequentazione trentennale di un mondo legato al primatismo a parole, non fondato su una teoria scientifica della competizione, ha inciso sul suo panorama di paradigmi. E infatti nella sua biografia non c’è nemmeno un’idea, meno che mai un’idea innovativa. Potrà sorprenderci fra un po’, svezzata dal mondo che dovrà frequentare. Ma il rischio è che – anche per le spinte dei suoi – lei quel mondo lo tratti pugilisticamente. Così da non imparare molto e di incartarsi invece alla fine nelle sue radici, che sono dichiarate e spiattellate. Per ora parlando contro di lei non a suo favore. Parla a suo favore invece il resoconto della sua vita, donna non privilegiata che conquista reali record per un paese come l’Italia.
  • La seconda questione è questa: come stare in Europa? Il tema deriva dal precedente. Due modelli.  Orban sta piluccando vantaggi per la sua visione separata e autarchica. I tedeschi stando mettendo a punto un governo che lascia perdere le infinite mediazioni democristiane per tentare un patto tra lavoro, impresa e ambiente per cambiare (primi in Europa) un superato modello di produzione e consumo. Per stare così in Europa bisogna padroneggiare le procedure (senza passare il tempo a insultare la burocrazia che le gestisce sostenendo che è senza anima e che è dominata dai banchieri). Tutte le tracce in campo di questo governo (con qualche eccezione) appartengono al modello euroscettico e disinformato. Tajani e Fitto – al governo entrambi – avrebbero alcuni argomenti per equilibrare la marcia. Ma bisogna vedere se hanno la personalità per tentare questo duro rovesciamento di approccio. Ci si può aspettare qualche sorpresa, anche qui dall’apprendimento personale di Giorgia Meloni, ma se il suo governo è stimato lungo due anni, per un tratto assisteremo a un conflitto, a un difficile equilibrio, non ad una partenza a turbo come quella di Mario Draghi. Con il rischio che i critici dell’Italia vedranno più le zone d’ombra che gli sforzi (e, attenzione, i tratti fascistoidi per gran parte dell’Europa sono vere “zone d’ombra”) e questo potrebbe abbassare il nostro rating reputazionale. Insomma, anche qui, senza gridare al peggio, non è facile vedere il segno del “passo avanti”.
  • Terza questione, il comparto sociale ( scuola, lavoro e società). L’ascensore sociale, si dice, è fermo. La disuguaglianza cresce e il ceto medio non riesce a tenere in equilibrio la forbice impazzita. Diciamo una cosa che non è frequente sentire. La crisi del modello socialista (gradualismo e riforme reali) in Europa e in Italia sarà anche stata prodotta da una miccia incidentale (tipo Tangentopoli), ma la causa sostanziale è stata la crisi economica che ha dimezzato il ceto medio, la base sociale di appoggio per quella politica, impoverendone la metà, producendo immense sacche di populismo e spostando a destra gli operai. Socialmente cos’è questo governo Meloni rispetto per esempio al governo Draghi? Certamente una rivincita piccolo-borghese su modelli culturali e sociali borghesi. Prendiamo questo elemento come una candelina accesa sull’ipotesi dell’avvio di un insieme di provvedimenti contro le disuguaglianze e contro l’ingiustizia sociale (una delle tre sfide cruciali che ieri Maurizio Molinari indicava su Repubblica davanti al governo).Proviamo a pensare questa cosa e a dirla.  Ma c’è un maE questa volta non possiamo chiudere gli occhi rispetto alla storia. Perché fu esattamente questa la dinamica con cui si impose il governo Mussolini rispetto alla stagione post-bellica guidata ancora dai governi liberali (non solo i governi dell’invecchiato Giolitti, ma anche quello veramente riformatore e innovativo di Nitti). Quell’anima sociale “a parole” Mussolini se la portava dietro dal suo massimalismo. E con quell’anima concluderà anche – insieme alla tragedia ormai consumata della guerra e della devastante alleanza con i nazisti – anche nel tempo repubblichino. Ma in mezzo, nel lungo ventennio, fece davvero la guerra alle disuguaglianze e la lotta contro l’ingiustizia sociale? In verità la cultura nazionalista e opportunista era del tutto insufficiente a fare quello che nel lungo dopoguerra fece la socialdemocrazia europea, dappertutto in Europa, dalla Svezia all’Italia. Qui non possiamo fare un processo ad un governo ancora non in campo con la sola allusione storica. Ma anche qui esso dovrà divincolarsi da una condizione perdente facendo un bel salto mortale su sé stesso per dimostrarci che su questo delicatissimo punto – oltre a non concedere diritti civili e a predicare un cristianesimo vandeano – forse non riuscirà a restituire un dignitoso equilibrio ad una società lacerata. Qui naturalmente dovendoci noi augurare il contrario (e questa resa dei conti con la storia è la seconda sfida cruciale che ieri indicava appunto Molinari nel suo editoriale).

  • I miei spunti dicono che il meteo non è al meglio. L’ipotesi di andare indietro, vista così in laboratorio prevale. Avrei altre tematiche per ampliare questo gioco analitico dell’avanti e indietro.  Che avrebbe entusiasmato il mio compianto amico Guido Martinotti.  Lascio solo questi spunti a chi mi ascolta, sfidando chi ha qualche argomento per pensare che evocando quei tratti valoriali di radici “nazionaliste” la marcia in avanti sia al contrario innescabile.  Non mi considero irricevibile per principio ad un’altra analisi.  Ma così almeno imposteremo un dibattito adeguato alle poste vere. Non quello tutto al passato, che va di moda in questi giorni, senza nulla che suoni modernità, attualità, padroneggiamento di nuove risorse.  
  • Vengono in mente anche altri pensieri. L’attendente di mio padre in guerra (la terribile guerra di Grecia testardamente e assurdamente voluta da Mussolini) ci raccontava che tra le direttive “romane” ai militari di prima linea c’era anche quella di mettere in evidenza finti cannoni di legno per i binocoli del nemico.     Anche questi pensieri – che oggi stringono il cuore – segnalano il rischio che  il “primato italiano” venga spesso sbandierato senza coscienza.  
  • Da qui a breve capiremo meglio i pro e i contro di un conflitto latente e da governare. C’è un’agenda di continuità rappresentata dalle emergenze. E c’è (e traspare) un’agenda delle discontinuità, rappresentate dalle “ideologie”.

Ringrazio per avermi ascoltato. A risentirci presto.

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