Articolo pubblicato sul giornale online L’Indro il 24.10.2022 [1]
Due tempi finora superati. 1. Le allusioni valoriali nelle nomine per le Camere. 2.Gli equilibri interni alla coalizione nell’assetto del governo. Si vedrà dal programma se ci sono idee concrete (che per ora non circolano) e qualità creativa e legislativa dei cantieri ministeriali (non tutti uguali) appurando se c’è benzina per durare. Non basta dire “Giorgia è una tosta”, bisogna anche che venga riconosciuto che “Giorgia è una testa”.
Stefano Rolando [2]
Vorrei limitare il commento sulla formazione del nuovo governo a due punti:
- il non dichiarato ma visibile schema logico delle scelte fatte nelle decisioni finali tra ministri, funzioni assegnate e fattori di equilibrio della coalizione;
- la distinzione nei tempi di formazione del governo, di insediamento e di programma in ordine a contenuti che siano chiari e valutabili circa l’azione e quindi la durata del Governo, che comporta competenze e capacità per affrontare le maggiori sfide.
Questi argomenti si riassumono così. Giorgia Meloni è arrivata in tempi brevi – ottenendo, pur in un laconico commento, la soddisfazione di Sergio Mattarella – a sminare tensioni, conflitti e veti soprattutto esistenti nel quadro della coalizione. Coalizione già reduce da difficoltà pregresse, da noti personalismi dei leader che sono stati ridimensionati dalle urne (Berlusconi e Salvini) e da rischi, visti nell’elezione del presidente del Senato, di colpi di mano sulla stessa tenuta della maggioranza. Per agire su un solo primario quadro di obiettivi (domare i conflitti e mantenere l’equilibrio nei rapporti interni della maggioranza) era necessario essere allusivi sugli orientamenti, senza far riferimento a concreti progetti e a priorità di proposte normative (fonti di altre liti). Argomento su cui i dilettanti allo sbaraglio della precedente legislatura hanno riempito le cronache nel periodo di formazione dei due governi guidati da Giuseppe Conte, essendo quello il format comunicativo populista, cioè l’annuncio a squarciagola di provvedimenti dal carattere “miracoloso”.
Tempo1 – Senato e Camera
La prima operazione di allusività ideologica ha riguardato l’assetto delle presidenze di Senato e Camera, in cui le finalità ideali di un governo che voleva assumere presto il carattere di destra (non di centro-destra) sono state composte nei due profili: quello postfascista di Ignazio La Russa (pur con esperienza parlamentare) e quello cattolico-vandeano di Lorenzo Fontana (accontentando la componente veneta leghista, che sparirà nelle assegnazioni di governo ai leghisti). Con stampelle organizzate fuori dalla maggioranza, per reggere il braccio di ferro astensionista di Silvio Berlusconi, l’esito è stato ottenuto sapendo che così si marcava lo spostamento di baricentro ideologico della coalizione (nata come centro-destra, poi diventata destra-centro, infine dai media considerata “di destra”). Ma dovendo necessariamente modificare questo baricentro prima nella profilazione degli incarichi ministeriali e poi, in tempo successivo, nella gerarchia dei provvedimenti in agenda. Fin qui l’aspetto tattico dell’ascesa di Giorgia Meloni rivela un certo carattere, controllo e determinazione. È passata nei media italiani la caratterizzazione che il suo entourage usa per definirla: “Giorgia è una tosta”. Ma da ora questo carattere sarà insufficiente a formare la componente di “statista” che un politico deve avere – anche con le sue rilevanti novità di genere e di età – per creare condizioni di durata. E a Giorgia Meloni manca in larga parte il dossier personale di percorso formativo, mancano interi ambiti di conoscenza della modernità, manca l’esperienza di un trattamento più approfondito e complesso dei concetti che usa per illustrare i suoi valori (identità, nazione, globalizzazione, transizioni, eccetera). Non basta dire “Giorgia è una tosta”, bisogna anche che venga riconosciuto che “Giorgia è una testa”.
Tempo 2 – Incarichi di Governo
Giorgia Meloni comunque ha disegnato con riconosciuta autonomia gli incarichi di governo concentrando il senso politico degli equilibri nella coalizione più che i contenuti delle politiche da svolgere con particolare riferimento alla gerarchia dei progetti (su cui il discorso di insediamento rivelerà primi spunti ma forse non subito un dettagliato programma). Ha puntato, in sostanza, ad articolare le linee delle politiche direttive del governo affidandole alle anime che compongono, con i noti conflitti, il grosso della coalizione.
- Da un lato per concedere una sorta di rassicurazione in ordine ai diversi ruoli strategici.
- Dall’altro lato cercando di far stare, tutto o quasi tutto, dentro il perimetro del suo stesso posizionamento come primo ministro.
A Forza Italia (che in Europa è Partito Popolare, dunque una costola essenziale della maggioranza Ursula) il compito, affidato principalmente ad Antonio Tajani, difeso dalla Meloni in quell’incarico anche a fronte di nuove perplessità interne, con il plus della vicepresidenza, di unire un europeismo moderato (non euroscettico, ma neanche federalista) ad un atlantismo consolidato. I riferimenti di questa linea nel team di FdI sono naturalmente il ministro della Difesa Guido Crosetto e il Ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. Alla Lega viene affidata la linea di resistenza rispetto a ogni estensione normativa dei diritti dei migranti, con l’intreccio tra il vicepremier Matteo Salvini e il ministro dell’Interno prefetto Matteo Piantadosi. Salvini ha in mano anche un quota importante del PNRR ma soprattutto un certo spazio per occuparsi di negoziato con regioni e territorio (in sinergia con Roberto Calderoli agli Affari regionali) per la concertazione. Appare fin troppa fatica, questa, per un politico puro che resta più interessato al partito che al negoziato altamente complesso tra investimenti, territori e tecnologie (rispetto a cui potrebbe anche fare brutte figure ministeriali). A FdI spetta il presidio della linea di “identità nazionale” – intesa come nazionalismo di tradizione – con il corposo e frammentato pacchetto cultura-istruzione-agricoltura-famiglia- società- natalità, eccetera. Giancarlo Giorgetti garantisce che il ministero più importante, l’Economia, faccia di lui il leghista più importante, obiettivo non dichiarato ma evidente. Ma garantisce anche alcune continuità con il governo Draghi. Adolfo Urso (strettamente Meloni) garantisce il controllo della messa a terra della progettazione dei fondi e quindi delle relazioni con il sistema di impresa. Carlo Nordio garantisce che sul terreno delicato della Giustizia il presidente della Repubblica (anche CSM) sia tutelato e che a Silvio Berlusconi siano impedite contaminazioni. Il resto assicura funzionalità con affidamenti sostanzialmente sminati da rischio politico, con la Sanità con la scelta del rettore di Tor Vergata Orazio Schillaci, che appare di livello, derubricata dalle appartenenze di partito per mantenere un presidio sostanzialmente tecnico in un ambito non uscito dalle crisi. Il rango di ministro che da tempo appartiene al ruolo di sottosegretario alla Presidenza è saggiamente affidato non al fedele collaboratore di tante battaglie di partito Giovanbattista Fazzolari, che seguirà l’attuazione del programma,ma all’esperto magistrato, già parlamentare e sottosegretario Alfredo Mantovano, in considerazione della tessitura tra ambiti politici e ambiti istituzionali.
Tempo 3 – Agenda, provvedimenti e rischi.
La ricerca svolta nei giorni scorsi nel corposo testo autobiografico di Giorgia Meloni (edito nel 2021) per rintracciare concrete idee per governare un paese di rilevanza medio-grande con aspetti nevralgici nel sistema euro-mediterraneo ed euroatlantico aveva dato l’inaspettato risultato che in quelle 300 pagine non c’era una sola proposta di governo in senso compiuto[3]. Molte ispirazioni, molte radici, molte storie di evoluzione del concetto di destra nazionale e di destra sociale, molti ambienti in cui si colloca il terreno di formazione di una classe dirigente – quella forgiata stando all’opposizione fino alla età abbastanza matura dei suoi protagonisti, di cui Giorgia Meloni è la più giovane – ma niente che un governo possa al giorno d’oggi considerare misure per dare corpo non allo sbandieramento astratto del “primatismo” ma alla declinazione di progetti di moderna competitività internazionale e di urgente difesa e coesione interna. Dunque, su questo terreno non c’è niente nell’inventario. Solo supposizioni. C’è un’agenda di continuità rappresentata dalle emergenze. E c’è (e traspare) un’agenda delle discontinuità, rappresentate dalle “ideologie”.
Il discorso programmatico fornirà un primo avvicinamento, che traspare nelle prime interviste ad alcuni ministri insediati. Poi saranno i cantieri realmente aperti a mostrare che il club di ministri e staff (con amministrazioni che, va detto, hanno qualità disuguale) si dividerà tra chi agirà solo galleggiando e chi invece disegnando strategie legislative. Qui si giocherà la tenuta del governo oltre ai 12-15 mesi che oggi sono garantiti dall’interesse della coalizione di procedere alla divisione del potere e al potere delle nomine ulteriori, tra cui le 170 apicali nel sistema dell’economia pubblica. Non dichiaro né pessimismo né ottimismo su questo salto di qualità. Considerando da sempre nefasta la bandiera massimalista “tanto peggio, tanto meglio”. Salvo esprimere che il “libro dei valori”, cioè il bagaglio di esperienza che connota oggi il tema che Giorgia Meloni chiama “la coerenza” ha certamente nerbo emotivo, ha dimostrato una certa forza elettorale (26% di voto espresso che corrisponde al 15% delle scelte di tutti gli italiani), ma poca forza strategico-politica secondo i parametri riconosciuti internazionalmente per durare, fare e contare. Ieri Maurizio Molinari, segnalava tre rischi sul cammino di Giorgia Meloni[4]:
- non riuscire ad affrontare i nodi sociali (“l’emergenza delle diseguaglianze”);
- non mantenere la giusta distanza rispetto al “pericolo delle autocrazie”;
- non riequilibrare adeguatamente i conti con la storia (“l’unificazione della memoria nazionale sul fascismo”).
Potremmo dire che se l’opposizione dimostrerà di saper fare questo mestiere di tallonamento anche rispetto a questi ambiti, essa avrebbe un ruolo da spendere strappando al governo l’esclusiva dell’interesse della Nazione.
[1] Pubblicato dal giornale L’Indro, 24.10.2022, h.12.00 – https://lindro.it/dal-centro-destra-alla-destra-i-tre-tempi-di-giorgia-meloni/
[2] Insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano. È stato per anni direttore generale e capo Dipartimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[3] Stefano Rolando – Cercando nell’autobiografia di Giorgia Meloni – I paradigmi di Giorgia Meloni per sostenere, da capo della maggioranza, che la cosa più importante è la sua coerenza – Testo scritto per la rivista Democrazia futura e anticipato il 18.10.2022 dal magazine online Key4biz.
[4] Maurizio Molinari, Le tre sfide cruciali, Repubblica, 23.10.2022