Podcast n. 18 – lunedì 14 novembre 2022. Lettera dal Marocco – Migrazioni, tema biblico.

Versione audio :

https://ilmondonuovo.club/lettera-dal-marocco-sulle-migrazioni/

Rubrica “Il biglietto da visita”

Buongiorno, sono Stefano Rolando, sto registrando la mia voce nel belvedere dell’Hotel Tour Hassan Palace di Rabat, la capitale del Marocco, una terrazza che guarda un po’ da lontano sulla Medina e dunque sulla città di vecchie memorie.

Vi parlo a margine della seconda conferenza euromediterranea dedicata – virgolette – “al governo della rappresentazione della vicenda migratoria nel sistema delle due sponde del Mediterraneo”.

Ho avuto l’onore di aprire ieri i lavori di fronte a operatori seri e responsabili di molti paesi europei e del nord-Africa con cui abbiamo incrociato giudizi, esperienze, delusioni e speranze[1].

Ora proprio sotto i miei occhi vedo le tracce di alcune migliaia di anni.

Foto 1 – Le mura della Medina (Rabat, Museo di arte moderna e contemporanea)

Tracce berbere, romane, islamiche (nel senso della presenza in Marocco di Maometto).

Poi le dinastie marocchine: gli Idrissidi, gli Almoravidi, gli Almohaidi, i Merenidi, i Saaditi, gli Alawiti. Nomi di cui so poco perché di loro si parla pochissimo nei nostri libri di storia.

E poi le occupazioni europee, tra Francia e Spagna, con tante storie e vicende tra cui la più nota è forse quella della presenza delle basi militari americane a Casablanca nell’ultima guerra mondiale (ma anche allora nel quadro di migrazioni drammatiche), vicenda resa celebre dal film realizzato tra il 1942 e il 1943 con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Riconoscerete subito le note.

Inserimento sonoro, trailer di Casablanca

https://www.youtube.com/watch?v=ZT4T_H1Gf9Y da 0.03 a 0.45

Cosa ne ha viste il nostro Mediterraneo, il “Mare Interno” come lo chiamavano i romani!

Sponde di un immenso lago in cui tanti luoghi possono rivendicare di essere stati culla di civiltà. Ma – diciamolo – tanti altri luoghi hanno anche scritto pagine nere nella storia della civiltà.

La prima cosa che viene in mente, parlando di migrazioni (né più né meno quelle che, circa gli stessi luoghi, la Bibbia ha raccontato come ordinaria realtà) è che questa partita ha a che fare con la nostra autodeterminazione e relativamente poco con la volontà dei grandi global player del pianeta.

Questa storia insomma non è tanto un affare dell’America, della Cina e della Russia, anche se questi attori primari entrano alla fine un po’ su tutta l’agenda contemporanea.

Qui siamo all’ennesimo capitolo di una storia lontanissima che ci riguarda ancora. Pur nella prospettiva di un rovesciamento demografico tra noi e l’Africa (proprio oggi Le Monde annuncia in prima pagina che il 15 novembre il pianeta avrà 8 miliardi di passeggeri, destinati a diventare 10 miliardi tra sessant’anni in cui Africa e Asia sono determinanti).

La seconda cosa che viene in mente è la mancanza – così appare – di una regia politica (voglio dire autorevolezza e visione) del nostro tempo nel regolare a fondo i rapporti tra Europa e sponda meridionale del Mediterraneo su questa materia. Ormai è tutto un intrico di interessi conflittuali. Spagna e Francia, ancora qui in Marocco; Francia e Italia sulla Libia e sulla Tunisia; Francia e Gran Bretagna sull’ Egitto e su Suez; ma dappertutto il crescente ruolo della Turchia e il vincolo ormai diffuso nel continente africano del ruolo cinese.

Nessuno viene a capo di un nuovo ordine su mobilità e sviluppo che in apparenza parrebbe più facile da fare oggi rispetto a una volta. Naturalmente sappiamo bene che il nodo del Medioriente (cioè il tema Israele-Palestina) ha complicato enormemente lo scacchiere. Ma esso – prigioniero dei rispettivi falchi (in Israele e nel mondo arabo) che tenendo in piedi il conflitto tengono in piedi le rispettive rissose politiche interne, dovrebbe ormai consentire di liberare (come la diplomazia tenta di fare e i servizi segreti tentano di disfare) come diversa e distinta la questione degli intrecci della parte ovest del Mediterraneo.  Per vari “perché”:

  • perché si tratta di paesi ormai tutti indipendenti, fuori dalle dinamiche coloniali;
  • perché’ si tratta di economie compatibili e necessarie una con l’altra;
  • perché’ pur nel conflitto storico tra fascia cristiana e fascia islamica nessuno – salvo i terroristi – avrebbe interesse a rinverdire guerre religiose:
  • azzardo ad aggiungere anche perché la crisi energetica avrebbe una sola grande risposta nel sistema euromediterraneo, quella immaginata da Enrico Mattei (e altri visionari) di assicurare nella cooperazione una mobilità razionale premiata dall’indipendenza energetica per tutti ( lasciatemi dimenticare qui tutti i rovesci della medaglia).

La terza cosa che viene in mente è che nessuna politica di destra o di sinistra si è finora da noi davvero liberata dal vincolo elettorale per il quale parlare di migrazioni non conviene molto, anche se per alcuni si dovrebbe dire che conviene troppo:

  • alla sinistra perché evoca che si vuole barattare i “nostri” posti di lavoro con altri lavoratori più a buon mercato;
  • alla destra perché la regolamentazione evoca la fine della speculazione su allarmismo e stravolgimenti identitari, eccetera, quindi la fine di un facile quanto cinico sfruttamento del consenso elettorale.

La quarta cosa che viene in mente è che in termini di comunicazione (qui in questa conferenza si chiama “ gouvernance des recits des migrations “, cioè come venire a capo di una più razionale rappresentazione dei processi), le migrazioni , lette nei millenni hanno una logica perfetta, lette giorno per giorno sono  l’oggetto più divisivo del nostro tempo. Infatti:

  • la statistica (che dovrebbe essere il pilastro di ogni comunicazione pubblica e quindi il fattore di maggiore convergenza) esce quasi sempre di scena per lasciare il posto alla regina della percezione, cioè la sondaggistica;
  • così che ogni giorno c’è chi chiama “invasione” ciò che le statistiche ufficiali (in questo caso quelle dell’Unione Europea (dati 2021) pesano come una mobilità pari al 4,3% della popolazione residente;
  •  in aggiunta, ugualmente in ombra appare il dato che più volte spunta nelle analisi delle associazioni imprenditoriali europee, cioè quello della necessità fisiologica dei nostri sistemi socio-economici di rimpiazzare un turnover del 20% del mercato del lavoro in molti settori, dall’agricoltura a talune produzioni, ai servizi.

I due dati vanno letti pur con prudenza insieme. Perché dimostrano la potenzialità di una narrativa ancora confusa e poco percepita.

La quinta cosa che viene in mente è che nella rappresentazione molti guardano il proprio ombelico più che un razionale raffronto di situazioni che vanno viste con realismo.  E’ imbarazzante che  i numeri reali di accoglienza sia di migranti che invocano diritto d’ asilo (perché scappano da guerre e violenze) sia di migranti che con ipocrisia chiamiamo “economici” quando in realtà scappano quasi sempre da povertà e miseria, ce li sentiamo spiattellare in questi giorni dai tedeschi quando le nostre giuste pretese di riequilibrio sono spiegate però con eccesso di vittimismo e con dati di fantasia.

Ma anche qui – va detto – la storia corre. Noi continuiamo a proiettare il film delle rotte sud-nord. Ma proprio in questo genere di conferenze ci si rende conto di come si sia parallelamente sviluppato il sistema delle rotte sud-sud. L’Europa è una grande cosa. Ma pensare che sia davvero il centro del mondo è antistorico.

Recente è il provvedimento del governo marocchino di una responsabile regolarizzazione di 25 mila immigrati da altri paesi con un effetto sociale e politico sorprendente in tutti gli stati africani.

La sesta cosa che viene in mente è che in molti ambienti di rappresentanza imprenditoriale questo argomenti sono noti e valutati. Ma nella loro narrativa pubblica le riflessioni escono in forma spesso timida, come se perdurassero problemi di non turbare la suscettibilità della politica che non ha molte volte interesse a rimettere il dibattito pubblico sulle cifre e non sui proclami emozionali.

La settima cosa che viene in mente è che in questo genere di conferenze non c’è l’impronta del razzismo che abita nelle culture di paesi e popoli, così come non c’è il traino prevalente dei sentimenti di buonismo diciamo così missionario che pure appartiene ad altre culture di paesi e popoli. Si percepisce insomma un tessuto internazionale ormai abbastanza formato laicamente in cui analisi e proposte si appoggiano a riscontri seri e trasparenti, in cui la ricerca applicata è sempre sottostante.  È questo il genere di un realistico contesto in cui si spera che le giovani generazioni di funzionari ed operatori – generazione bilingue, trilingue, quadrilingue – possano sempre più collocarsi realmente al servizio degli interessi generali.

Si vede anche che alcuni paesi beneficiano di più di questi contesti, altri meno. Ci sono anche numerosi brillanti giovani italiani in questo contesto più perché hanno i titoli per utilizzare bandi di lavoro che grazie a mirate strategie di internazionalizzazione delle nostre istituzioni. Insomma, sono qui all’insaputa dei loro paesi. La dico in forma lieve, ma è una cosa seria su cui chi può dovrebbe agire meglio.

Questi sono i centri di formazione sperimentale di chi apprende dai “cantieri del disordine” che piega potrebbe prendere il nuovo ordine mondiale.

Il tessuto che porta alla revisione di norme superate o di vincoli punitivi per un paese (come è il caso degli accordi di Dublino, rispetto alla situazione italiana) non è fatto solo di show down tra i governi, ma anche di lunghe istruttorie negli organismi composti da esperti, ambiti in cui gli anglosassoni ci surclassano per come, appunto, prendono queste opportunità sul serio.

Infine, un’ottava cosa viene in mente, trattata qui attorno al tema del diritto di rappresentare se stesse che hanno le comunità immigrate nell’ambito dei contesti urbani e territoriali.

Essa riguarda il grande spazio creativo che va ancora abbastanza esplorato, estendendo quel che già si fa alla complessità degli ambiti nelle amministrazioni (cultura, educazione, spettacolo, musealità, sport, eccetera).  Per agire in modo più motivato i nostri amministratori, i nostri assessori, dovrebbero tutti ripassarsi un po’ di storia. La  storia cioè dei percorsi sofferenti e difficili delle comunità italiane formatesi nel mondo soprattutto a cavallo tra l’800 e il ‘900 ( metà paese emigrato in quaranta anni!). Rispetto ai problemi di oggi ciò sarebbe illuminante. Le possibilità di condivisioni identitarie che hanno espresso in paesi in cui poi sono diventate classe dirigente, ha fatto sì che la possibilità di una corretta rappresentazione culturale di sé si è rivelata l’arma migliore contro stereotipi e delegittimazioni (tipo quella secondo cui gli italiani erano tutti briganti e mafiosi).

Davanti a me, adesso, si è creato un tramonto rossastro trapuntato di palme divenute scure.

Ho condiviso con voi brevi cose appuntate questo pomeriggio a Rabat. Dunque, certo con molte manchevolezze rispetto al possibile trattamento complessivo di questa difficile materia.

Ma spero almeno di aver rafforzato l’idea (anche in relazione al dibattito di questi giorni in Italia) che – a proposito di patria e di identità nazionale – il paese che ha sparso per i continenti forse la più grande diaspora migratoria del mondo (si calcola 250 milioni di persone di origine italiana) debba trattare questi argomenti sfuggendo alle dialettiche primitive che ancora imperversano da noi (pro o contro, accogliere o respingere, condividere o sottomettere). Per partire piuttosto dalla propria stessa nostra storia per dare finalmente buoni consigli ai propri pari, cioè agli europei.

Poco fa il regista marocchino Reda Benjelloun ha mostrato una carta dell’Africa che – come fece internet anni fa, facendo saltare i confini amministrativi tra i paesi – ridisegna un continente. La connessione delle opportunità surclassa in modo epocale “i sacri confini della patria”. È infatti la carta dei piani migratori che possiedono i giovani che decidono qui, come abbiamo fatto noi in massa un secolo fa, di sfidare la convinzione che li vorrebbe senza futuro, cioè morti.

Foto 2 – Carte_des_routes_d’immigration_africaine_vers_l’Europe


[1] https://stefanorolando.it/?p=6779

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