Podcast n. 29 – Il Mondo Nuovo, Lunedì 30 gennaio 2023 – Da un letto d’ospedale – La salute, crucialità sistemica.

Nella rubrica “Il biglietto da visita

Pubblicato dal magazine online Il Mondo Nuovo il 30.1.2023

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Versione scritta:https://stefanorolando.it/?p=7238

Buongiorno a tutti sono Stefano Rolando,

oggi vi parlo da un ospedale di grande rilevanza territoriale, con caratteristiche scientifiche e tecnologiche moderne. Qui il modello di servizio appare adeguato alle complessità attuali della medicina e in generale della salute probabilmente perché pensato come un continuo punto di equilibrio possibile tra bisogni e prestazioni, tra le cose che vede e giudica il singolo paziente e le cose che dovrebbe vedere e valutare il sistema decisionale. Io non sono qui per una radiografia. Vi parlo da ricoverato, chirurgizzato, ora accudito verso il dimissionamento dalla degenza. In particolare come un italiano che deve ringraziare il Paese in cui vive per avere creato – quando alla parola “riforma” era attaccato profondo adeguamento tecnico e sostanziale miglioramento sociale delle cose riformate – il Servizio Sanitario Nazionale (legge 833 del 1978). Personalmente sono in miglioramento, posso pensare, fare appunti e parlare. Parlare qui è un modo anche di rassicurare amici e me stesso. Non metterò in discussione né questo ospedale, né tanto meno una patologia.

In questa rubrica, come sapete, ci occupiamo di “rappresentazione”. Attraverso cui, di fatto, ogni cosa ha il suo teatro. E se c’è un sistema di eventi in cui la rappresentazione è pressoché totale, beh questo è proprio il campo di gioco di qualcosa di più importante del sistema degli eventi, cioè il sistema della salute. Un teatro frequentato non dagli habitué, ma da tutti.  Dove va in scena ogni minuto tanto il piccolissimo spettacolo di un frammento di prevenzione efficace, quanto il fatale evento della relazione tra la vita e la morte. Comunque tra il benessere e il dolore, tra i conti con la realtà e quelli con la speranza.

Vorrei dire, in tutta umiltà, nel senso di esprimere opinioni criticabili, non analisi apodittiche, quello che mi è venuto in mente sollecitato in queste ore appunto sul nostro sistema della salute.

Verso un sistema policrisi

Non è a caso che le imminenti elezioni regionali – in Lombardia e nel Lazio – giocano il risultato finale e la partita più rilevante del bilancio regionale (cioè più dell’80%), proprio sul tema della Sanità.  Nella testa degli elettori che si rifiutano di astenersi, un punto generalmente importante della ponderazione decisiva nel voto, soprattutto a valle di una pandemia diventata policrisi e quindi nel pieno di una problematica della salute in cui la transizione significa incertezze, il giudizio sociale sul sistema sanitario entra appunto nelle incertezze di caratteri noti e ignoti, tra cui l’apparire delle endemie.   Bisognerebbe candidarsi con piani chiari e seri su cosa fare per questo futuro. Non dire cose generiche rimestate da anni – pubblico-privato, prossimità-ospedalità, gratuità-costi – temi che esistono naturalmente, ma messi a prova da vecchi e ora da nuovi eventi che vanno prima di tutto studiati.

Qui è un’intera filiera a metterci la faccia: sistema tecnico-professionale, centri di formazione, istituzioni, società e famiglie. Policrisi significa quadro di eventi per trenta, quarant’anni. O si è preparati a questa svolta o la soglia di equilibrio diventa nuovamente irraggiungibile. Oggi gli italiani, in termini di percezione di assistenza globale in materia di salute, appaiono divisi in due (dati Demos, fine 2022). Per un Paese che concede a pochi soggetti pubblici (cioè che fanno cose di interesse pubblico e generale) fiducia piena (da noi la Forze dell’Ordine, il Capo dello Stato e la Scuola), la Sanità è un punto cruciale. Divisi in due vuol dire fiducia a metà. Qui si gioca la partita di sistema di essere parte del mondo – parlo del pianeta – che regge le trasformazioni portandosi dietro tutta una società o che accetta che disuguaglianze e iniquità salvino solo una parte degli esseri umani e lascino soccombere l’altra più rilevante parte. E’ questo il grande tema del primo secolo del terzo millennio. Con una demografia che annuncia esplosioni urbane esponenziali e un quadro geo-politico che ancora mette al centro i conflitti armati e non la cooperazione competitiva, il modo di affrontare questo salto cruciale un paese come l’Italia dovrebbe vederlo con la sicurezza dei “grandi”.  Ma in realtà lo vede come una posta in bilico, su cui le scelte delle classi dirigenti con visione di questo genere di sfide risulta cosa più complessa della politica quando essa è fatta per sbarcare il lunario e non per raggiungere il punto più alto delle competenze.

Ma perché il giudizio della gente è ancora così in faticoso equilibrio?

So di dare una risposta grossolana, ma qui la vedo così. È evidente che conta qualità scientifica, tecnologica e diagnostica. Ma il fattore “tempo”, cioè la velocità di sevizio del sistema, è molto rilevante. E conta universalmente il fattore umanità, relazione, assistenza. Tutti e tre dipendono dalla ricerca, dai bilanci finanziari e dalla cultura di base. Perché la qualità è formazione implementata. Sul fronteggiamento clinico è evidente che un sistema-paese che lancia segnali di mancanza di medici deve rivedere qualcosa sulla gerarchia della spesa. Sul fattore tempo si sta giocando l’equilibrio tra pubblico e privato. Sulla qualità relazionale è culturalmente indecente metterla in capo ai servizi a pagamento.

Nel mio reparto prevalgono anziani e incombono parole che nella vita di tutti producono paure.  C’è chi ha una quiete antica fatta di mitezze e coraggi. C’è chi perde il raziocinio con derive allucinatorie. Sulla resistenza al dolore fisico pesano molte questioni su cui spesso si sorvola. C’è una questione di genere (le donne infinitamente più attrezzate), una questione in un certo senso antropologica (c’è chi è abituato per formazione a sottacere e chi a gridare), c’è un evidente dato culturale (chi riferisce il dolore a un dato correggibile e chi alla punizione di Dio, come l’umanità ha fatto per secoli, credo fino alla Spagnola).

Ieri ho visto un anziano lottare per una notte intera con le sue imprecazioni e le sue pessime condizioni (che facevano comprendere a lui stesso di essersi troppo trascurato per anni), mettere in difficoltà un’intera squadra di infermiere e infermieri, i cui compiti negli ospedali sono molto parcellizzati. Non puoi aspettarti dai medici che ti tengano le mani. Ma nemmeno da chi pulisce i pavimenti o ritira i residui che ti dia qualcosa per attutire il dolore. Il rapporto tra cura e lenimento è decisivo. È fatto di organizzazione e di cultura generale. Ma deve avere il suo posto nelle procedure. E il rapporto tra domanda e offerta di priorità – reparti pieni, pulsanti rossi premuti a flusso continuo – spesso schiaccia ogni teoria.

Una rivoluzione valutativa

Credo che in generale la sanità abbia bisogno di vivere una rivoluzione valutativa, che non sia né una mera funzione organizzativa (a volte per dimostrare pubblicitariamente l’apprezzamento degli utenti, a volte no, come nell’ospedale in cui sono in cui la traccia è dettagliata e le critiche sono formulabili) né un ambito di verifiche di cose non decisive.  È un tema complesso che coinvolge tutte le prestazioni pubbliche. Me ne occupai molti anni fa insieme al mio compianto amico e collega Giampaolo Fabris, picchiando contro la difficoltà dei settori di questa citizen satisfaction di fare cose vere e serie e non di facciata. Non sono sicuro che si siano fatti moltissimi passi avanti. Questo sia rispetto ai problemi di sistema (valutazione dall’alto) – ma non ho elementi precisi di giudizio a riguardo – sia rispetto ai problemi di servizio (valutazione dal basso). Bisogna essere lontani dalla demagogia e sapere bene come comportarsi sui dati rilevati, sapendo naturalmente dello slalom necessario di fronte al rispetto della privacy. Il punto è come fare entrare nel quadro dei riscontri anche elementi veri di corrispondenza alla domanda di servizi e prestazioni, per non lasciare solo – la dico sbrigativamente – al sistema degli interessi (finanziari, politici, industriali, professionali) che naturalmente deve occuparsene il compito di mettere in campo le condizioni riorganizzative. E qui torniamo ancora una volta alla qualità delle classi dirigenti per cui sapere e sensibilità devono sempre fondersi.

Ho pensato di parlare di questo tema sollecitato da una condizione che mi spinge a cercare qualche coerenza con la mia situazione momentanea.

Ma, concludendo con un cenno che amplia un po’ il tema valutativo, penso che sia necessario – come per la scuola, l’educazione, l’ambiente, il lavoro – non ammettere che vi sia dibattito solo nei contesti chiusi in cui si svolgono i problemi. Quello degli addetti ai lavori. Insomma, il tema di rendere partecipi i più alla crucialità di questioni da cui dipende la dignità collettiva, ma da cui dipende anche il posto di un paese e di un popolo nella classifica che nessuno davvero compila scientemente circa la qualità della vita come sintesi sistemica.

E anche qui un’altra volta il pensiero va all’insufficienza politica nel generalizzare  il dibattito pubblico. Ma anche all’immenso lavoro che resta da fare oggi per il ruolo dei media che, piaccia o non piaccia, mantiene un aspetto ineludibile. Se si pensa solo all’importanza della corretta e permanente comunicazione scientifica per alzare la soglia di interazione e partecipazione sociale, si coglie subito un tema grosso dell’eredità dell’esperienza pandemica. Se il fenomeno sarà alla fine stato quello di fare per due o tre anni la passerella di virologi e epidemiologi a turno (pur singolarmente utili, ovviamente) fino alla presentazione del loro immancabile libro e poi vederli sparire perché – si dice – che “il tema non tira più” si sarà persa l’occasione di riposizionare programmi da Paese che vuole stare in serie A nella salute. E la comunicazione scientifica, tesa a diminuire la soglia di analfabetismo nella domanda e di demagogia nell’offerta, non avrà trovato il suo posto centrale nella nostra comunicazione di massa.

Vi ringrazio molto per l’attenzione prestata e conto di risentirci tra una settimana.

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