Versione audio:
Versione scritta (per Democrazia Futura, anticipata da Key4biz):
Buongiorno a tutti, sono Stefano Rolando.
Quando sono entrato domenica, a fine mattina, nel mio seggio di via Ariberto a Milano per votare, sulla lavagna era scritto: “Votanti fino alle ore 12: 10%”.
Ho fatto un piccolo commento di proeccupazione civica e un ragazzo ottimista che era parte della commissione di seggio mi ha detto: “Ma no, la situazione è cambiata. Siamo al 13%”.
Alla preoccupazione è subentrato un brividino.
Eppure la stampa di Milano e di Roma – le due capitali ieri e oggi al voto con le loro regioni – ha abbondantemente segnalato che sarebbe stato molto difficile tenere le percentuali di voto del 2019: il 64% alle ultime regionali in Lombardia e il 53,3% nel Lazio, percentuali tuttavia diventate alle politiche dell’anno scorso il 70,1% in Lombardia e il 63,5% nel Lazio.
Una campagna elettorale schiacciata nell’ombra da molte notizie: la recrudescenza della guerra in Ucraina, le migliaia di morti al confine di Turchia e Siria per il terremoto, il festival di Sanremo tra nostalgie e futurologie ma soprattutto il braccio di ferro tra governo e opposizione per condire le canzonette, chi con orazioni civili chi con propaganda. E molto altro. Soprattutto in assenza di notizie reali dai fronti elettorali. Il PD alleato a Cinquestelle in Lombardia e al contrario alleato al Terzopolo nel Lazio, il Centrodestra con il partito della Meloni che morde la Lega al nord (alle politiche ha preso il 27,6% mentre la Lega è piombata al 13,9% dopo aver preso alle europee del 2019 il 43,4%) e che spadroneggia nel Lazio (al 26% alle politiche contro l’8,8% della Lega caduta dal 5° piano, cioè dal 40,7% delle europee del ’19) tutte queste sono ex-notizie, poi la campagna ha prodotto brusii.
E dunque i media ripagano quei brusii con ombre.
Queste le premesse di una vicenda che avrebbe potuto anche essere al centro di una narrativa molto interessante: la Meloni iper-nazionale guida un governo che dà e darà filo da torcere ai territori, vediamo come le rispondono i due territori politicamente più significativi d’Italia.
Non è stato questo il copione imbastito dai partiti, pur essendo potenzialmente in campo la bellezza di 13 milioni di cittadini elettori. Un bel campione per qualunque test.
A Roma o stai con la Sanità uscente o stai con la Croce Rossa entrante.
A Milano la spericolata operazione destruens di Calenda, Renzi, Moratti ha indotto il PD a rimettere i panni potenziali dell’eterna sconfitta (ovvero senza nemmeno raggiungere la soglia della contendibilità, che è attorno ai 5 punti) e la coalizione del centrodestra a rigonfiare le gomme dell’auto esausta del governatore uscente Fontana.
Quanto agli esiti delle forze politiche ecco questa sera il quadro nel raffronto tra le due regioni.
FDI è al 34,00% nel Lazio e al 25,86% in Lombardia.
Il PD è al 20,89% nel Lazio e al 21,17% in Lombardia.
La Lega è al 6,09% nel Lazio e al 17,06% in Lombardia.
FI è al 6,49% nel Lazio e al 7,48% in Lombardia.
Azione e IV (Terzopolo) sono al 3,70% nel Lazio e al 3,9% in Lombardia.
Liste minori nel Lazio sono sotto il 2,5%. In Lombardia sono al 4% i Cinquestelle, al 3,54% i Civici progressisti con Majorino. La lista che fa riferimento al presidente Fontana è al 6,22% in Lombardia. I Verdi sono al 3,2% nel Lazio e al 3,01% in Lombardia.
Annoto questi dati alle 19.30 di lunedi.
Non si è ancora a metà dello spoglio, il margine di errore non supera ora l’1%.
Quindi a Roma vince il Centrodestra (Rocca), con margine non travolgente, cioè con il 50,74%.
Ma anche se fossero stati uniti gli elettorati di Centrosinistra (D’Amato, 35,61%) e di Cinquestelle (Bianchi, 11, 69%), non avrebbero conseguito il successo.
A Milano vince il Centrodestra (Fontana) con il 56,26 %. Anche qui se fossero stati uniti gli elettorati di Centrosinistra (Majorino, 32,78%) e del Terzo Polo (Moratti, 9,43%), non avrebbero conseguito il successo.
Ma a sottodimensionare questi esiti – che erano più o meno nelle previsioni di tutti – il protagonismo del turno elettorale lo prendono gli assenti. Quelli che si sono astenuti.
- L’astensionismo del Lazio si[SR1] segnala al 62,78%. I votanti sono, dunque, il 37,12% degli aventi diritto.
- Quello della Lombardia si segnala al 58,40%. I votanti sono il 41,60% degli aventi diritto.
Insomma – mettiamola così – Giorgia Meloni non voleva fastidi da queste regionali (anche connessi a spine impreviste nei rapporti di governo), mentre il PD è dentro un’altra partita rispetto al mettere in campo una nuova strategia unitaria e alternativa.
Entrambi portano a casa l’accento dell’irrilevanza che colora il cielo della Lombardia dove nulla cambia. E l’accento della naturale evoluzione delle cose per un Lazio che strappa la regione al centrosinistra, senza veri meriti e senza un vero programma di cambiamento, salvo la ridondanza del grande successo del 25 settembre.
Non sarà irrilevanza elettorale, d’accordo, non si può nemmeno dire che sia irrilevanza politica. Ma ci sono cambiamenti che appartengono al camaleontismo di sistema, che riscaldano poco i cuori e che appaiono cose ineluttabili.
Tre domande avevo in mente prima di apprendere i risultati.
- Questo risultato come accentua il rapporto di forza tra la Meloni e i suoi partner di governo?
- Questo risultato come entra nelle scelte post-primarie del PD in ordine alla strategia delle alleanze nel centro-sinistra?
- Questo risultato come rilancia un tema che interessa poco i partiti politici che si occupano di chi vota non di chi non vota, ma che interessa la qualità della democrazia italiana, cioè l’astensionismo?
Provo a dare qualche sommaria risposta.
- Il rapporto di forza tra Meloni e i due partiti alleati al governo non subisce sostanziali alterazioni, per la primaria ragione che uniti vincono e si distribuiscono posti e responsabilità che sfiorano l’importanza dei posti dello stesso governo. Che FDI sia sulla cresta dell’onda almeno per l’anno della svolta è cosa confermata. Ma in Lombardia la Lega può vantare una certa tenuta e senza i numeri di FI il Centrodestra non sarebbe in maggioranza. Punto.
- Il PD – questi i commenti più diffusi in giornata – esce dalla morsa dell’Opa contrapposta nei suoi confronti esercitata da Cinquestelle e Terzo Polo, che esistono, resistono ma non brillano anche quando avevano ipotizzato esiti persino doppi di quelli in realtà ottenuti. Il dato è affidato ora all’esito delle Primarie. Cinquestelle meglio del Terzopolo che a Roma aveva avuto un exploit non ripetuto nel Lazio e a Milano ha giocato una carta che considerava strategica (per altro con la lista Moratti che ha doppiato quella dei due piccoli partiti di Azione e Italiaviva). Nel PD oggi non si sa se i concorrenti alla Segreteria saranno il paradigma di nuove correnti o i pionieri di un post-correntismo. Se si vorrà ragionare in termini di forza perno di un’alleanza ampia e competitiva anche a partire dalle prossime elezioni europee, si dovrà tornare all’idea (all’origine di Letta) di un vero federatore che se fosse un esponente del PD non darebbe i risultati possibili ma se, al contrario, fosse una personalità credibile (anche per una parte dell’astensionismo che prevale nel centrosinistra) potrebbe fare ciò che non riesce più a nessuno dai tempi di Romano Prodi (che per quell’equidistanza ha pagato poi prezzi elevati).
- L’astensionismo è interpretato dai partiti politici con minimalismo. “La democrazia è chi c’è”. Finché si parlava di 40% di astensione – cioè dell’esistenza comunque di una maggioranza degli italiani votanti – questa interpretazione passava anche sui media. Ora l’esito si è ribaltato: il 40% sono i votanti, il resto non c’è, non ci sta. Non porsi il problema del significato partecipativo e rappresentativo del non voto è già un gradino disceso nella scala della qualità democratica. Il civismo che si va organizzando punta a lavorare su questo dato con priorità. Ma la rete che va formata per tenere la questione in agenda non è scontata. Ma se non si forma la discesa avviata nessuno sa dove potrà concludersi.
Concludo intanto io con una battuta. Se mi è consentito. Dicono i commentatori di destra che il paese vota per i problemi reali non per quelli messi in scena artificiosamente al festival di Sanremo. Se in vista del 2024 non sarà messa in atto la rigenerazione politica mancata anno dopo anno da molto tempo, questa semplificazione – che oggi può sembrare fastidiosa – diventerà come si dice a Bruxelles, un aquis. Una cosa acquisita. Pensarci su.