Ieri sera alla Fondazione “Riccardo Catella” – un grumo antico tra le torri moderne dell’Isola nell’ex- Centro direzionale di Milano – Alida Catella ha animato la presentazione del libro di 57 ricordi personali di amici di Riccardo a 18 anni dalla sua scomparsa. Questo che segue è il mio ricordo, ora pubblicato, con nitida e intatta amicizia per una persona speciale con la quale – entrambi immersi in lavori di una certa importanza – non abbiamo mai parlato di lavoro.

Stefano Rolando
Un giorno capitò per caso, forse mentre esibivamo i documenti per un noleggio o per un acquisto, non ricordo, che Riccardo ed io facemmo un’osservazione reciproca sulle nostre date di nascita.
Un’osservazione divertita. Ma anche un po’ emozionata.
Come ravvedendo un’allusione che – entrambi, diciamo, nella vita di mezzo – cominciava ad essere un po’ simbolica.
Gli dissi: “Che bella cosa! Sei stato tra i primi regali dopo la Liberazione”.
Già, perché era nato il 29 aprile del 1945. Quattro giorni dopo.
Fece uno di quei suoi sorrisi larghi, prolungati.
“E te, ti sei accorto – perché aveva anche qualche toscanismo – che sei stato tra i quasi gemelli della Costituzione?”.
Perché ero nato il 20 febbraio del 1948, cinquanta giorni dopo la Proclamazione.
Finita lì. Ma mai dimenticata.
Nelle serate tra amici, cene rilassanti, quasi mai mondanità, occasioni che Riccardo conduceva con leggerezza, di rimessa, senza clamori, non sentivamo l’esigenza di spiegarci, di insistere su qualche impresa, di mettere al centro cose di lavoro. Lui credo ancora meno di me.
Il pregio di quelle occasioni stava in un dettaglio, sempre di qualche qualità. Una musica, un libro fotografico, un vino speciale. Non ricordo più, appunto, i dettagli. Ma ricordo bene lo stile.
Per quella affinità estetica, in cui combaciavano le vite del tempo, gli amici, le persone care, fu possibile, facilmente, decidere insieme di fare una di quelle cose che, se per caso le persone si rivelano diverse dalle apparenze, possono diventare delle tragedie. Dedicare i giorni cruciali dell’agosto ad una vacanza insieme – non un “piccolo insieme” – in barca. In barca, al suo comando.
Skipper comprovato, misurato, senza gradassate, senza eccessi, senza marinerie retoriche.
Vero il mare, vere le vele, vera la misura del movimento quotidiano, vero il posto scovato per scendere.
Una spontaneità meditata, non fino al punto da apparire quella degli ingegneri (ne ricordo uno, tra le mie prime esperienze di lavoro, nei Paesi Baschi, che amava raccontare le barzellette e siccome non le teneva a memoria le aveva segnate tutte in una rubrichetta: terribile).
Già, perché Riccardo aveva, invece, studiato Architettura.
Una volta parlammo fitto dell’alluvione del ’66. Io, diciottenne, ero stato spedito il giorno dopo la catastrofe dai miei a soccorrere (con alimenti) una famiglia tagliata via da ogni rifornimento. Le cose non stavano poi proprio così. Ma liberatomi delle due valigie di generi misti finii alla Biblioteca Nazionale, apprendendo anni dopo che quelli come me, lì per caso, per amore, per rabbia, per solidarietà, erano stati chiamati “angelidelfango”. Lui ne visse risvolti drammatici, una violenza che snaturò anche la sua vita, interrompendone gli studi. Il grumo di quei ricordi non era poesia. Ma una sorta di silenzio, di chi comprendeva lo strapotere della natura e teneva sottotraccia alcune ferite.
L’agosto del 1998 arrivò presto.
Ecco. La vicenda dei documenti poteva essere stata nel noleggio dell’auto – ricordo ancora la piccola monovolume Mercedes – per trasferirci da un aeroporto al porto per prendere in consegna l’imbarcazione. Non ricordo più se la barca fosse italiana (per la cui qualità armatoriale batteva il cuore di Riccardo) o non italiana, se fosse di 14 o di 16 metri. Ricordo solo che consentiva l’alloggio, in piccole cabine, di una notevole quantità di persone (marinaio compreso) e ricordo che le sue attenzioni andavano a tutto lo spettro dei dettagli. Dalla precisione del linguaggio a me ignoto (drizza, trozza, strallo, randa, boma, poppa, stick…) al mezzo punto di refrigerazione del frigorifero per ottenere da un certo vino bianco le sue doti migliori. La scuola del Collegio Navale “Niccolò Tommaseo” di Brindisi era stata probabilmente la sua vera appartenenza.
La vacanza riguardava la Corsica. Con mete “storiche” che abbiamo trattato con onore: l’isola di Caprera nel nord-est della Sardegna e la dimora di vecchiaia del generale Garibaldi; così come la palazzina altoborghese di nascita di Napoleone, in rue Saint Charles, dalle parti della Place Letitia ad Ajaccio (ricordo ancora la lapide lapidaria che ci accolse: “Napoléon est né dans cette maison”).
Ad Ajaccio arrivammo all’alba. Le vie deserte. Un bar aperto e il cameriere a spazzare nel largo marciapiede prospiciente. Riccardo e io avanzammo verso un possibile caffè all’italiana chiedendo cosa fosse quel palazzone imponente a lato del bar stesso (che poi era la Prefettura). “Eh beh, cari signori, quella è l’Ambassade de France!”. Risata. E poi caffè all’italiana. Tutto tornava.
E tornò anche l’estate del ’99. Con qualche variazione di equipaggio, l’impresa estiva fu ripetuta nelle isole Eolie. Che dalle sorprendenti foto (riviste solo ora), mi mostra con strane divise per la sobria marineria di Riccardo, per esempio con la maglietta del Manifesto “La rivoluzione non russa”.
Magnifico viaggio, le coppie tennero fino alla fine. Ma verso la fine credo che qualche crepa si formò. Senza qui indagare. Questa volta avevo al seguito anche il mio adolescente e caro primo nipote, figlio di mia sorella, Marcello. Adorava Riccardo, lui orgogliosetto e con forte indipendenza, per Riccardo si sarebbe buttato anche in mare. Imparava gli ordini di vela, di sbarco, la presa del largo, il timore del mar mosso. La foto lo ritrae pacificato tra Riccardo e Alida.

Nel viaggio tra Corsica e Sardegna del 1998 nelle Bocche di Bonifacio avevamo la pancia in gola. Riccardo era serafico ma non ridanciano. Come a dire, qui niente scherzi. Nelle ore allegre io leggevo per tutti il Don Quixote de la Mancha, il mio romanzo da sempre preferito. Due paginette al giorno. Con il favore soprattutto di Alida. E poi componevo rime baciate per accompagnare le fotografie. Ne sono rimaste tracce, in album ampiamente commentati, che un giorno finiranno in Wikipedia. In quei giorni tuttavia non si poteva immaginare di uscire dalla magnifica aia che circonda il Pino Clelia nella sua storica e artritica ramificazione, senza qualche rima di devozione; che, non raggiungendo le rime solenni del Carducci (“Ma non pensammo forma più nobile d’Eroe”), avevano il piccolo pregio di metterci in contatto scherzosamente con la sua Memoria.
Ad Ajaccio scolpii nella carta che avvolgeva le brioches: “Dispersi in città /per correrie via / non c’è altra pietà / che una pasticceria”. A Caprera il trasporto era più lirico: “Con la luna siam venuti /patrio ardore ci ha sospinti(/ il cinghial ci ha ricevuti / il guardiano ci ha respinti. / Tra le pietre scarpinando / senza farci troppo male, alla barca stiam rientrando / col pensiero al Generale”.
Riccardo conservava le sue fotografie di noi tutti, dedicando – secondo le pose di ciascuno – brevi e icastiche diciture. “Stefano da manager pubblico”, scritta sotto il mio prolungato uso del telefono a bordo. Un’altra volta “Il pirata dei mari del sud” per avere osato prendere in mano, per una manciata di secondi, il timone. E grazie a un berrettino rosso da baseball a larga visiera eccomi targato “Il pescatore di Marlin a New Port”.
Sbarcammo un giorno in una insenatura sarda, forse Olbia, per raggiungere per pranzo – tutta la nostra comitiva – Ottaviano Del Turco, che al tempo credo fosse presidente dell’antimafia parlamentare.
E sperimentammo (in un certo senso anche allegramente) che si può mangiare una buona frittura di pesce guardati a vista da un nugolo di carabinieri con i mitra spianati.
Ci sentivamo tutti abbastanza giovani, abbastanza resistenti a tutto, abbastanza fortunati, abbastanza vivi.
Riccardo non c’è più da troppi anni, Adelia se l’è acchiappata senza un suo lamento una tenebra cocciuta, Ottaviano ha subìto molto e ora leggerebbe a fatica, molto a fatica, questo ricordo.
Ma per Marcello – e così per tutti noi – Riccardo era e sarà per sempre il nostro Comandante.
Roma, 19 maggio 2021
