
Versione audio:
Lettera da Melfi – Buongiorno sono Stefano Rolando.
Sto registrando questa audio-lettera nella piazza principale di Melfi, una bella e solitaria piazza con la Cattedrale da poco restaurata con a fianco la lunga pinacoteca del Vescovado. L’altro polo spettacolare rispetto al Castello federiciano che da mille anni è il simbolo stesso della città, la terza città della Basilicata, nel nord, a metà strada tra Napoli e Bari, città natale di Francesco Saverio Nitti (poco più di un secolo fa capo del governo italiano) che contende la popolarità con l’antenato svevo più famoso di tutto il Mezzogiorno italiano, Federico II, un tedesco che da qui – ma soprattutto da Palermo – governò per anni l’intera Europa. Ed è evidente che le scuole più importanti della città siano intestate a Nitti e a Federico II di Svevia.
Il Federico II è un Istituto omnicomprensivo, in cui il preside prof. Prospero Armentano ha accolto l’invito della Fondazione Nitti di svolgere un ciclo di conversazioni con gli studenti del quarto anno dei licei, dunque con i diciassettenni, classe diciamo 2006, che tra un anno conquisteranno la maggiore età, su quattro parole che apparentemente sono uguali per tutte le generazioni. Ma solo apparentemente. Perché ad avvicinarsi un po’ al confronto è facile scoprire che i significati sono spesso differenti.

Il ciclo si chiama “Il nostro tempo, il vostro futuro”.
Il tempo è questo, comune a tutti. Ma è il presente fuggevole.
Il futuro è il loro. E il nostro problema è riprovarci sempre e comunque a fare un patto, se non per convergere su tutto – generazionalmente cosa impossibile – almeno trovando rispetto reciproco su parole simboliche di questo nostro tempo. Perché comunque proiettata nel futuro.
La parola di oggi che mi è stata assegnata è la parola comunicazione.
Poi seguirà la parola legalità, discussa con un sacerdote lucano, don Marcello Cozzi, che si batte contro le mafie. Poi la parola democrazia – discussa da un giovane storico dell’Unibas Donato Verrastro – perché erosa ormai dalla parola astensione (arrivata al 60% dei votanti.
E infine la parola guerra – trattata da un giornalista televisivo che se ne intende Michele Mezza – che certamente parte dalla situazione da interpretare nel conflitto tra Russia e Ucraina ma che infila anche le altre tre parole nei suoi significati più complessi.
Il mio primo argomento è stato quello del perimetro della parola. Diventata la prima economia del mondo e quindi perimetro complesso con tante cose dentro. Tecnologie, mercati, regole, conflitti, molti profili professionali, continuo conflitto tra vero e falso, lotta tra poteri, dipendenza e indipendenza. Pongo la discussione sul loro perimetro della parola. Che appare essenzialmente quello delle relazioni interpersonali, regolate da un grande flusso di segni, messaggi contratti, scambi di chat sempre contenute nei pochi centimetri quadrati dello smartphone.
Una conquista e una libertà rispetto a precedenti generazioni. Ma anche un limite eccessivo che riduce una visione di opportunità e la consapevolezza della messa in guardia sui rischi.
Infatti, il secondo argomento è in che considerazione c’è la comprensione del passato per avere più strumenti di distinguere il vero dal falso. Accertato ormai che questo sia il punto più serio di una fruizione di massa, si tratta di recuperare la volontà di affrontare questa vera e propria ambiguità. Da dove partire? Con quali obiettivi? Con quali verifiche?
Il terzo argomento è intercettare i segni comunicativi del nostro tempo ovvero del loro tempo, della contemporaneità. Anche quelli complessi, come l’arte, la musica, la letteratura, la poesia. Se ci si compiace di sentire Mozart o Chopin, ma la modernità percepita non va oltre Sanremo vuol dire che i maggiori compositori di questa epoca restano dei misteri per i giovani. E lo stesso riguarda i pittori, gli scultori, i letterati. È difficile trovare chi guida a questa comprensione, quando spesso la scuola non arriva nemmeno al presente con la materia più facile, la storia. Ma questo fa la differenza tra chi è predisposto a capire la contemporaneità e chi è puramente trainato da forme comunicative del tutto superate. Cogliere il problema sarebbe già un passo avanti.
Infine, il quarto argomento è predisporsi alle scelte universitarie (tra poco più di un anno comincia a suonare la campana) avendo chiare almeno le inclinazioni personali. Se prevale la dimensione creativa oppure quella manageriale, oppure ancora quella tecnologica o quella della ricerca e dello studio o ancora quella regolatoria o quella legata alla scrittura. Oggi parliamo di comunicazione e gli esempi sono semplici e soprattutto evidenti. Ma grazie a queste inclinazioni chiare diventa più chiara la ragione di una scelta di indirizzo anche per altri settori: dalle scienze alle humanities, dai mestieri pratici a quelli teorici, dalla voglia di contemplare alla voglia di produrre. Solo questa simulazione mette in movimento molte cose che non si sanno o non si sono approfondite attorno a una parola di uso comune (la comunicazione) ma che appena la si maneggia un poco si scopre che non è affatto di uso comune, che pochi la affrontano criticamente, che i giovani limitano attorno a un paio di funzioni e non di più.
Insomma, il grande tema tra scuola e lavoro, tra apprendimento di base e orientamenti di settore che riguarda il “saper fare”. Su cui mancano luoghi e maestri davvero in grado di aiutare a fare le scelte giuste e corrispondenti a inclinazioni verificate.
Ma anche ad essere cittadini migliori, che scoprono che accanto al “saper fare” è anche necessaria una soglia minima di “saper giudicare” il tempo in cui vivi. Le lotte di potere che si sviluppano. Le disuguaglianze che si creano.
Credo di avere avuto una forte attenzione. Anche un fragoroso applauso alla fine. Che naturalmente non mi basta e non mi dice molto di quale venticello si è davvero mosso nella relazione di quelle due ore. Alla fine del ciclo aspetto il tema che verrà dato perché ciascuno scelga la parola che lo ha più colpito e svolga le sue considerazioni di ritorno.
Solo lì si chiuderà il ciclo di un primo, primissimo dialogo. Se sarà veritiero. Se sarà onesto nell’ammettere o nel dichiarare disponibilità.

Per le parole scambiate con alcuni di loro ho una certa fiducia. Ma la logica di branco è ancora forte. Se ci sarà una forma di traino, un esempio interno, un segnale di sfida raccolta, avremo risposte non di circostanza. Sapendo che in generale la vera creatività sincera è più forte alle elementari che al liceo. Ma pensando al liceo dei miei tempi mi viene da dire che la “creatività sincera” è ancora possibile e sperimentata a condizione che la società attorno sia sfidante su questo punto e non addormentata.
Tra poco tempo vi sarà un riscontro dei risultati.
In ogni caso se qualcuno fosse interessato alle cose materialmente dette nell’incontro trova il testo originario sul sito stefanorolando.it, come prima notizia.
E se arriveranno, lì pubblicherò anche i riscontri degli studenti.