Federazione civici europei – Roma 17.6.2023 – Presentazione del documento di proposta politico-valoriale.

L’intero meeting è videoregistrato e a disposizione al link

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Da 5.37.35 del video – nella parte finale – si svolge la presentazione della proposta politico-valoriale della federazione, espressa da un documento ampiamente argomentato (3 mila battute) e dalla sua riduzione sintetica (3 mila battute).

Stefano Rolando ha presentato e accompagnato con brevi commenti il documento. Che al termine dell’esposizione è statoi posto ai voti e approvato dall’unanimità dei partecipanti.

Federazione dei civici europei

Sintesi della proposta politico-valoriale

Roma, 17.6.2023

“Lo Stato siamo noi”.

Piero Calamandrei (26 gennaio 1955)

“Il sistema politico istituzionale è oggi out of joints, senza cardini, tanto che oscilla tra tentazioni estreme, di totale verticalizzazione o di passiva sommersione nell’astensionismo di massa”.

Giuseppe De RitaRidiamo spazio ai livelli intermedi, 2022

1. La garanzia civica per una proposta politica originale e innovativa.

  • E’ maturata nel prolungamento della crisi dei partiti politici organizzati nazionalmente ed esprime una storica modalità civica del “far politica” che privilegia i modi dell’intermediazione sociale, non in forme occasionali o ancillari.
  • Intreccia impegni e responsabilità con i cittadini, creando condizioni per generare legami trans-territoriali che vanno ora verso un’intesa federativa nazionale.
  • Il proposito di mantenere vivo il confronto con il sistema politico rappresentato resta attivo alla ricerca di soluzioni adeguate al bisogno sociale e istituzionale ma considerando prioritario il tema del recupero dell’astensionismo elettorale.

2. Porsi in politica il tema: a cosa serve oggi l’unità d’Italia.

  • L’Italia dal basso legge con più evidenza e chiarezza le ragioni della nuova complementarità dei territori, grazie al principio di non credere minimamente che l’idea di Nazione debba tradursi in un antistorico nazionalismo. Ma anzi puntando sull’ampliamento del perimetro di scambio culturale ed economico che apra le porte all’Europa dei territori e metta l’intera Italia al centro di un rilancio strategico della visione euro-mediterranea.

3. Il perimetro europeo ed euromediterraneo

  • Di fronte al rischio della disunità europea, provocata dalle impennate nazionaliste e sovraniste di alcuni Stati, Italia compresa, che sommata all’evidente trascinamento della disunità italiana, provocherebbe un sistema istituzionale alienato rispetto alle identità sociali di profondità, il civismo progressista federato si allinea in via di principio alla visione federalista dell’Europa con il forte concorso (da costruire agendo sulla miriade di diversi progetti giacenti) del coinvolgimento del sistema delle regioni e delle città.

4. Doveri, diritti e patto generazionale

  • La “democrazia paritaria” deve avere posto in agenda per ripristinare intanto le sue precondizioni di basilare civiltà.
  • Sono priorità non rinviabili quelle di politiche sociali che contengano e combattano il vuoto di prospettiva della gioventù e il pieno di solitudini degli anziani. Fa cornice a questa architettura di solidarietà sociale circolare una reintroduzione della cultura dei doveri, verso la persona, verso la comunità, verso l’etica del lavoro e verso gli interessi generali

5. Le riforme istituzionali che ci interessano

  • Il ciclico ritorno del lancio del “potere forte” – una volta è il presidenzialismo, un’altra volta è il premierato tra loro conflittuali – fa parte della tensione ai temi istituzionali che poco ci interessa e poco ci appassiona.
  • Anchilosati aspetti del sistema frenano invece ulteriormente la divaricazione tra la velocità economica e la lentezza istituzionale. Larga è la maggioranza d’opinione oggi contro la prevista riforma delle autonomie e a questa linea di opinione il civismo federato si sente di aderire, mentre nel dibattito interno si ricava una valutazione di priorità riguardante la riforma della legge elettorale.

6. Il nesso ineludibile tra sviluppo ed equità

  • La cultura dello sviluppo (che contiene la crescita, ma non solo) è tanto più forte, anche nel pragmatismo competitivo, quanto comprenda equilibri con la garanzia dei diritti sociali e con il rafforzamento della coesione. Sviluppo ed equità non sono politiche separate e la visione delle politiche per l’welfare centrate sulla completa riorganizzazione del sistema del lavoro e’ il punto di equilibrio.
  • Ulteriori punti strategici sono sotto analisi per l’importanza e al tempo stesso per una certa trascuratezza delle politiche invalse:
  • la dimensione delle medie imprese (nel rispetto delle piccole e delle grandi) intese come vero ambito di stabilizzazione e promozione di sviluppo di sistema;
  • l’importanza di concepire una rete di governo delle reti, proprio nella dimensione extra-locale che parte dal principio che nessuna rete fa tutto da sé e che le interdipendenze vanno progettata e governate;
  • l’urgente rivendicazione della manutenzione del Paese, gravemente dismessa dalla politica perché essa dà risultati nel tempo e non in corrispondenza delle elezioni.

7. La priorità educativa

  • La riflessione attivata negli ambiti professionali dell’istruzione con cui il confronto è permanente, porta in questa fase ad una ricognizione che prenda le distanze dai propositi retorici e spinga a tenere attiva l’indagine tra domanda e offerta di educazione nell’ascolto parallelo di gestori, fruitori e contesti strategici.
  • Il convincimento di portare più al centro dell’agenda politica generale il tema della scuola e dell’educazione ha bisogno di una rifondazione motivazionale che convinca operatori, fruitori e famiglie.

8. L’interdipendenza strategica delle transizioni glocali

  • Le principali “transizioni” che sono collocate nella sfera globale dell’agenda (ambiente, trasformazione digitale, nuove soglie della copertura informativa e cognitiva, endemie e irrisolti sanitari, processi migratori globali, diritti umani e contrasto alla violenza e altro) hanno interlocutori diversi e scadenze sgranate ma nell’urgenza comune, nella pari cifra della complessità interpretativa e nella necessità di una gestione attenta alla praticabilità delle soluzioni ma anche al coinvolgimento informato delle popolazioni.

9. Migrazioni e accoglienza, cultura e regole

  • L’ Europa ha perso fin qui l’opportunità di concepire un autorevole progetto comune di gestione della mobilità internazionale (dalla metà dello scorso decennio capace di riguardare nel pianeta fino a 300 milioni di persone all’anno). Una mobilità che non ha “invaso” nessun paese europeo ma ha messo tutti di fronte a nuove necessità.
  • Connettere processi che la demografia considera incessanti per tutto questo secolo con la regolamentazione e l’integrazione nei processi di turnover dei mercati occupazionali. Disporre, al tempo stesso, di una visione di convivenze possibili solo se governate.

10. La visione futura per la quale il civismo vuole incidere negli orientamenti dell’Italia e del ruolo dell’Italia in Europa e nel sistema euromediterraneo si colloca nel riequilibrio tra società e istituzioni, tra comunità e transizioni nazionali, tra locale e globale. 

  • Questo è il punto di partenza del “programma” da scrivere nella fase di acquisita responsabilità nazionale di ciò che oggi per l’ultima volta chiamiamo “liste civiche”, avendo chiaro che la forma partito di ciò che prende forza proprio per la debolezza dei partiti avrà un destino narrativo necessariamente complesso e non pregiudicato.  

Argomenti per la redazione di una proposta politica in vista dell’evento di “federazione”.

Documento più ampio

“Lo Stato siamo noi”.

Piero Calamandrei (26 gennaio 1955)

“Il sistema politico istituzionale è oggi out of joints, senza cardini, tanto che oscilla tra tentazioni estreme, di totale verticalizzazione o di passiva sommersione nell’astensionismo di massa”.

Giuseppe De Rita, Ridiamo spazio ai livelli intermedi, 2022

Arriviamo a delineare un percorso progettuale concreto e pragmatico dopo due anni di cantiere. Dopo una fitta evoluzione convegnistica, sia tematica che di perseguimento di scopi.Dopo un dialogo esterno continuo e ampio con soggetti attivi della politica rappresentata e dell’associazionismo di mediazione.Dopo alcuni impegni elettorali nel territorio. Dopo avere ricomposto alcune distanze tra le esperienze limitate alle forme delle “liste civiche” con l’ampia rete di di associazionismo e organizzazioni orientate allo scopo sociale, al ritorno importante della cittadinanza attiva, all’assunzione di valori e responsabilità nella rappresentanza professionale. Dopo l’ attivazione di alcuni studi che danno profondità a temi strutturali di contesto per l’obiettivo di “federazione nazionale del civismo italiano”, tra cui un continuo aggiornamento sui dati e le interpretazioni del fenomeno dell’astensionismo. Arriviamo anche dopo l’ultimo impegno assunto prima dell’evento federativo, cioè la giornata seminariale di fine maggio a Milano per una programmata discussione su “valori e identità del civismo verso la federazione nazionale”. Tutto ciò costituisce l’ampia premessa che le tre associazioni promotrici (Alleanza civica del Nord, Alleanza civica del Centro, Mezzogiorno federato), con agende nutrite anche di autonomi percorsi di approfondimento, relazionati alla domanda e alle scadenze dei rispettivi territori, hanno considerato soglia sufficiente anche per l’adozione di unapiattaforma argomentativa che fissi, in occasione dell’assemblea federativa, punti essenziali qualificanti e un percorso successivo di predisposizione del vero e proprio “programma”.   Questi gli argomenti che emergono.

La garanzia civica per una proposta politica originale e innovativa.

  • La crisi dei partiti politici organizzati nazionalmente (crisi di rappresentanza sociale, di inaudeguata accoglienza del pluralismo cultutrale e civile della società italiana, di eccesso di verticalizzazione, di autoreferenzialità, di cedimenti populisti, di inefficace riduzione delle disuguaglianze, di dequalificazione del ceto dirigente, in sintesi di perdita comprovata di fiducia dei cittadini) ha avuto ufficializzazione emergenziale e ripetuti riscontri demoscopici.
  • Di fronte a ciò l’insieme dei soggetti che esprimono da molto tempo in chiave civica, cioè con una storica modalità del “far politica” che privilegia i modi dell’intermediazione sociale, non in forme occasionali o ancillari, ma con lunghi legami sociali e amministrativi con i territori, hanno lavorato nel quadro di queste crisi
  • Hanno mantenuto dappertutto impegni e responsabilità con i cittadini, ma creando condizioni per generare legami trans-territoriali che vanno ora verso un’intesa federativa nazionale tesa ad assumere ad ogni livello responsabilità di iniziativa e di proposta nell’interesse generale.
  • Hanno altresì  considerato sempre non rincunciabile il proposito di mantere vivo il confronto con il sistema politico rappresentato alla ricerca di soluzioni adeguate al bisogno sociale e istituzionale e nel rispetto della visione etica e civile che il constituendo programma esprimerà e che questo memorandum indica in via preliminare.
  • Infine hanno dichiarato e dichiarano il fervido auspicio – proprio di un principio di “utopia” –  di concorrere alla qualità della democrazia italiana, agendo per il recupero strategico di una parte significativa della disaffezione elettorale.

A cosa serve oggi l’unità d’Italia.

  • Il confronto spesso alimentato da politiche vacue  tra “questione meridionale” e “questione settentrionale”, intersecato da insufficienti attenzioni verso le politiche per le aree interne, ha segnalato una progressiva crisi di sintesi politica, lasciando le attese e le lamentazioni in preda ad un eccesso di disunità rispetto alle condizioni di sviluppo economico, sociale, tecnologico e di mobilità su cui (con tutte le implementazioni necessarie) avrebbero dovuto poggiare le strategie di convergenza e di coesione.
  • L’Italia dal basso legge con più evidenza e chiarezza le ragioni della nuova complementarità dei territori, grazie al principio di non credere minimamente che l’idea di Nazione debba tradursi in un antistorico nazionalismo. Ma anzi puntando sull’ampliamenteo del perimetro di scambio culturale ed economico che apra le porte all’Europa dei territori e metta l’intera Italia al centro di un rilancio strategico della visione euro-mediterranea.
  • La società post-industriale accelera oggi l’integrazione e la complementarietà creativa e produttiva del sistema territoriale italiano e offre una mobilità interna da gestire con adeguate agevolazioni. La riforma funzionale dei rapporti interistituzionali deve essere messa al servizio di questa grande causa di riavvicinamento delle comunuità interne con lo sguardo puntato sulle economie moderne per le quali la piena integrazione e cooperazione interna è condizione di alta competitività internazionale.

Il perimetro europeo ed euromediterraneo

  • Di fronte al rischio della disunità europea, provocata dalle impennate nazionaliste e sovraniste di alcuni Stati, Italia compresa,  che sommata all’evidente trascinamento della disunità italiana, provocherebbe un sistema istituzionale alienato rispetto alle identità sociali di profondità, il civismo progressista federato si allinea in via di principio alla visione federalista dell’Europa con il forte concorso (da costruire agendo sulla miriade di diversi progetti giacenti) del coinvolgimento del sistema delle regioni e delle città.
  • Ma al tempo stesso deplora l’incapacità maturata e consolidata in Italia di rinunciare ad un protagonismo di allargamento della cooperazione nord-sud che abbracci al tempo stesso valori e interessi europei e mediterranei (nelle coordinate verticali e orizzontali) con visione cooperante rinnovata con il continente africano.
  • Senza rinunciare a favorire – agendo nel campo della cultura e dell’educazione – a un consolidamento di un progetto ormai frenato e raffredato, quello dell’aggiornamento della compresenza di identità locale e nazionale con l’identità europea ed euromediterranea.
  • La priorità del progetto di rinnovamento infrastrutturale – appeso ora alla fragilità di gestione progettuale del PNRR – dovrebbe costituire il “manifesto” del protagonismo italiano in questa bilaterale visione.

Doveri, diritti e patto generazionale

  • Si riconosce che la fatica della condizione gestionale dei processi di vita e lavoro è, per un dato naturale, nelle mani delle generazioni di mezzo, che tuttavia non sono esenti dal subire  maggiore fragilità dell’istituto familiare, sia pure con il beneficio di un certo progresso tecnologico-sanitario, ma anche con molteplici insicurezze riguardanti tutele e garanzie sui caratteri fondamentali della condizione dei nuclei sociali fondanti.
  • L’esplosione della violenza nei rapporti familiari o pre-familiari, che colloca le donne e i figli a rischio ormai in tutte le forme di socialità e urbanizzazione, va assumendo un carattere simbolico epocale che misura la centralità del tema. La “democrazia paritaria” deve avere posto in agenda per ripristinare intanto le sue precondizioni di basilare civiltà.
  • Diventano quindi ora priorità non rinviabili quelle di politiche sociali che contengano e combattano il vuoto di prospettiva della gioventù e il pieno di solitudini degli anziani. Riportando una quota importante di giovani e anche di anziani (nelle diverse tipologie anagrafiche, che comportano diverse dominanti) ad una decorosa condizione produttiva. Rigenerando patti per le responsabilità di cura delle famiglie, per le dinamiche formative e le forme di trasferimento delle competenze e anche per una convivenza innovativa nei modelli di alcuni sistemi di produzione e lavoro.
  • E in ordine alle “generazioni di mezzo”  attenzione focale va rivolta a quella cruciale e poco ragionevolmente derubricata dalle criticità che è la generazione dei quarantenni (almeno parte)  e dei cinquantenni che autorevoli analisi oggi considerano  “la più compromessa”, perché carica di responsabilità e al tempo stesso  investita dalla velocità dei mutamenti lavorativi, di relazioni interpersonali, di linguaggio e d’interessi;  spesso priva di quei principali strumenti “adattogeni” che sono invece nella disponibilità di giovani e giovanissimi.
  • Fa cornice a questa architettura di solidarietà sociale circolare una reintroduzione della cultura dei doveri, verso la persona, verso la comunità, verso l’etica del lavoro e verso gli interessi generali che è credibile solo e unicamente se le classi dirigenti dimostrano in tutti i loro comportamenti il “buon esempio”.

Le riforme istituzionali che ci interessano

  • Il ciclico ritorno del lancio del “potere forte” – una volta è il presidenzialismo, un’altra volta è il premierato tra loro conflittuali – è la dimostrazione della perdita di progettualità del sistema  attorno a riforme istituzionali che allarghino e qualifichino le condizioni di accessibilità e accoglienza della domanda sociale nelle sfere decisionali del potere legislativo ed esecutivo, preferendo cominciare (e ogni volta lasciando cadere dopo un po’ i propositi) dalle presunte debolezze dei vertici. Questo clima fa parte della tensione ai temi istituzionali che poco ci interessa e poco ci appassiona.
  • La corretta demoscopia sostiuisce in questa fase la scarsa propensione ad utilizzare strumenti di democrazia partecipativa per orientare lo sblocco di decisioni sulle riforme istituzionali fin qui materia di “boatos e silenzi”, annunci e retromarce, rischiando così che aspetti anchilosati del sistema frenino ulteriormente la divaricazione tra la velocità economica e la lentezza istituzionale. Larga è la maggioranza d’opinione oggi contro la prevista riforma delle autonomie e a questa linea di opinione il civismo federato si sente di aderire, mentre nel dibattito interno si ricava una valutazione di priorità riguardante la riforma della legge elettorale. L’alta conflittualità che divide abitualmente l’opinione pubblica in questi ambiti, induce oggi a privilegiare  l’ancoraggio delle riforme alla  qualità della democrazia e dei servizi per la cittadinanza
  • E al tempo stesso fa considerare argomenti ineludibili l’approccio organico e non più puntiforme  alle dinamiche interistituzionali (enti locali, regioni, amministrazione centrale);  e interventi indispensabili quelli  in materia di giustizia, contro le invasioni di campo, per le garanzie di imparizialità, per la drastica riduzione dei tempi dei procedimenti e per il rigoros rispetto della presunzione di innocenza.

Il nesso ineludibile tra sviluppo ed equità

  • La progettazione dello sviluppo economico oggi corrisponde al pensiero che è dominante in ogni comunità in cui imprenditori, lavoratori, soggetti a carico e più deboli, costituiscono una rete reale di conoscenza, rispetto e tendenziale solidarietà. Dunque un terreno di definizione di obiettivi per propria natura non unilaterale, non tecnico, non dominato dal paradigma asettico della crescita fine a se stessa. La cultura dello sviluppo (che contiene la crescita, ma non solo) è tanto più forte, anche nel pragmatismo competitivo, quanto essa comprenda equilibri con la garanzia dei diritti sociali e con il rafforzamento della coesione. Sviluppo ed equità non sono politiche separate. La vastita dei temi applicativi sollecita qui emblematicamente solo riferimenti generali: le ineludibilità economiche e quelle relative al welfare.
  • Circa le prime  si lavorerà nel breve per uno spettro più allargato di obiettivi. Ma fin da ora tre punti strategici sono sotto analisi per l’importanza e al tempo stesso per una certa trascuratezza delle politiche invalse.
    • Innanzi tutta la dimensione delle medie imprese (nel rispetto delle piccole e delle grandi) intese come vero ambito di stabilizzazione e promozione di sviluppo di sistema, sia nel campo industriale che distributivo, decisive per la tenuta dell’export, già adeguatamente managerializzate e garanzia occupazionale per la situazione italiana.
    • In secondo luogo l’importanza di concepire una rete di governo delle reti, proprio nella dimensione extra-locale che parte dal principio che nessuna rete fa tutto da sé e che le interdipendenze vanno progettata e governate.
    • In terzo luogo la rivendicazione della manutenzione del Paese, largamente dismessa dalla politica perché essa dà risultati nel tempo, ma senza la quale gli assetti idro-geologici, le infrastrutture dei trasporti, la gestione occasionale del “costruito” producono immensi rischi.
  • Circa le politiche di Welfare, lavorativo e sociale, la tensione concreta è di mettere davvero al centro la persona e la totalità delle esigenze, a cominciare dall’esigenza di riorganizzazione del tempo (valore  prezioso e  bene infungibile) alla luce di un rapporto nuovo e diverso con l’organizzazione del lavoro (da quello pubblico a quello privato, senza esclusione delle professioni e delle attività di esercizio d’impresa) che a sua volta pone le questioni del deep working, di un adeguamento dei salari e della redditività, della diffusione delle tecnologie, della certezza ed adeguatezza d’intervento del sistema previdenziale, etc., che a loro volta determinano un impatto considerevole sulla organizzazione degli assetti sociali e familiari e conseguentemente sulle scelte individuali.

La priorità educativa

  • La riflessione attivata negli ambiti professionali dell’istruzione con cui il confronto è permanente, porta in questa fase ad una ricognizione che prenda le distanze dai propositi retorici e spinga a tenere attiva l’indagine tra domanda e offerta di educazione nell’ascolto parallelo di gestori, fruitori e contesti strategici. Il convincimento di portare più al centro dell’agenda politica generale il tema della scuola e dell’educazione ha bisogno di una rifondazione motivazionale che convinca operatori, fruitori e famiglie.
  • I nodi dell’analisi sono, in sintesi, legati ad alcune domande. Di quale educazione abbiamo bisogno nel XXI° secolo? Quale consapevolezza si percepisce circa i  punti di forza e dei punti di debolezza  dei giovani a cui l’educazione è necessariamente rivolta? Come  l’organizzazione sociale che contestualizza l’istruzione  sa convivere con gli algoritmi e soprattutto con gli  algoritmi umanizzanti?  Il nodo più urgente appare quello di portare in emersione e in discussione tra gli  operatori (insegnanti, dirigenti scolastici, educatori) il tema della loro stessa identità ben contestualizzata nelle sfide del nostro tempo e al tempo stesso creare condizioni di ascolto della domanda che studenti di ogni età (in sintonia o in apatia rispetto alla domanda delle famiglie) riescono ad esprimere in ordine alle condizioni dell’apprendimento.
  • La permeazione dei territori di sfida del nostro tempo (scoperte e conflitti, modelli e diversità, integrazioni e disuguaglianze, suture e rotture) costituirebbe l’immenso banco di prova della politica per ridisegnare ruoli e funzioni là dove va il mondo, non con gli occhi al passato e all’irrealtà del tempo in cui l’educazione d’élite non era entrata nel governo di una ineludibile difficoltà: la scuola di massa. Oggi condizionata dalla sconfinata, irriverente, anarchica, rivoluzionaria, autoritaria, velocità dei processi digitali, che sono divenuti lingua generazionale.

L’interdipendenza strategica delle transizioni glocali

  • Non casualmente il precedente “governo di emergenza”  ha creato condizioni più uniformi e sinergiche per presidiare almeno alcune delle principali “transizioni” che sono collocate nella sfera globale dell’agenda (ambiente, trasformazione digitale, nuove soglie della copertura i[SR1] nformativa e cognitiva, endemie e irrisolti sanitari, processi migratori globali, diritti umani e contrasto alla violenza e altro) che hanno interlocutori diversi e scadenze sgranate ma nell’urgenza comune, nella pari cifra della complessità interpretativa e nella necessità di una gestione attenta alla praticabilità delle soluzioni ma anche al coinvolgimento informato delle popolazioni. Perchè trasversalmente la diffusa condizione di analfabetismo funzionale riverbera sui ritardi, gli ostacoli, le riluttanze, i negazionismi. Attorno a questa “interdipendenza strategica” si colloca il piano relazionale tra ricerca scientifica, responsabilità istituzionali, progettualità di impresa e raccordo sociale a cui è bene riferirsi per evitare inutili guerre di priorità e per compiere razionalizzazioni circa le risorse necessarie per trasformare passività in previsioni.
  • L’approccio più convincente oggi è quello di chi parte dall’aggiornamento concettuale della condizione di sostenibilità, declinandola come l’inedubile integrazione di una visione ambientale, economica, sociale e istituzionale. Sia l’Agenda 2030, sia i documenti internazionali metodologicamente più realistici prodotti in materia (come il contributo OCSE sulla “Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile”) aiutano a immaginare un terreno di visione ma non di retorica declamatoria e come dice il presidente dell’ASvis Enrico Giovannini – che mostra vivo interesse per il ruolo dell’associazionismo intermedio per radicare anche culturalmente questa rivoluzione – si tratta di condividere a fondo la definizione di sostenibilità (dai tempi della Commissione Brundtland a oggi spesso accantonata perché scomoda);  si tratta di agire nel quadro di una modellistica corrett; si tratta ancora di tenere in pari dignità le politiche pubbliche e i comportamenti individuali e collettivi.
  • Questo intreccio rappresenta visibilmente la carreggiata principale del sistema di transizioni con cui si confrontano gli equilibri naturali e artificiali del pianeta, carreggiata segnata con millimetrico presidio dalla transizione digitale che, non costituendo un obiettivo fine a se stesso ma un’immensa dimensione strumentale, oggi è la cerniera di politiche regolatorie tese a far prevalere i benefici generali rispetto alle distorsioni di potere e di utilizzo in cui – dagli intrecci con le situazioni di guerra, dalle immense pressioni esercitate dai soggetti dominanti il mercato sugli stessi ambiti istituzionali normativi, dallo sconfinamento senza precedenti in materia di diritti personali e di privacy – come per tutte le economie dominanti nell’età moderna rischi e opportunità si fronteggiano.

Migrazioni e accoglienza, cultura e regole

  • Con isole di buon senso e pochi momenti di razionalità e capacità di previsioi documenti piùne, ma con un tessuto avvilente di rincorse ai peggiori sentimenti umani e all’uso strumentale dei processi di cambiamento per generare allarmi e facile fatturato elettorale, l’Europa ha perso fin qui l’opportunità di concepire un autorevole progetto comune di gestione della mobilità internazionale (dalla metà dello scorso decennio capace di riguardare nel pianeta fino a 300 milioni di persone all’anno). Una mobilità che non ha “invaso” nessun paese europeo ma ha messo tutti di fronte a nuove necessità.
    • Quella  di connettere processi che la demografia considera incessanti per tutto questo secolo con la regolamentazione e l’integrazione nei processi di turnover dei mercati occupazionali.
    • Quella di disporre, al tempo stesso,  di una visione di convivenze possibili solo se governate.
  • Respingendo – perché l’Italia è storia di ampia ibridazione e storia di grande emigrazione – la manipolazione statistica, l’autarchia a-storica degli invocati “ceppi italici” e la disorganizzazione, causata dall’opportunismo politico, che in altre nazioni ha dimostrato l’efficienza possibile anche in presenza di emergenze largamente superiori.

La visione futura del riequilibrio tra società e istituzioni, tra comunità e transizioni nazionali, tra locale e globale.

  • La restituzione al tessuto connettivo della politica nazionale ed europea (i due livelli di legislazione ampia che coprono la parte sostanziale delle condizioni generali di sviluppo di comunità che pur dipendono anche largamente dalla qualità dei servizi messi in campo dalle istituzioni territoriali) di soggetti che mantengono radici, relazioni e ascolto con quei territori e quelle forme di organizzazione differenziata da tradizioni e convenzioni sociali, assume nelle crisi e nei conflitti che ci riguardano e ci circondano un elemento di oggettiva garanzia.
  • La società che non arriva a formulare fiducia per i tre quarti delle istituzioni che la riguardano, a dimensione sia nazionale che locale; la cultura di comunità che rischia in questa separatezza di non essere mai o per lo meno molto poco accompagnata a comprendere e qui[SR2] ndi integrare i fattori di cambiamento che le transizioni incarnano ma che vengono riferite a teatri astratti (quando si tratta di decidere) e a terribile e vago destino (quando si tratta di subire le disgrazie naturali o altri fenomeni punitivi), sono oggi il racconto della disunità tra locale e globale, cioè di due fattori forti della vita planetaria, mentre i poteri tendono a stare concentrati nel fattore debole, cioè sempre più debole, della dimensione nazionale.
  • Una voce importante nel confronto politico nazionale ed europeo diventa per questo auspicabilmente quello  di chi – compiuto il percorso di raccordo e superamento del localismo – non tralascia mai di cogliere il carattere orrizontale dei processi sociali, il carattere intermedio della diffusione dell’informazione e della conoscenza, il carattere interattivo tra i livelli di governo dal più piccolo al più grande.
  • Questa è, con tenace umiltà,  la modernizzazione della cultura che ha ispirato settanta anni fa in Italia l’ordine politico delle comunità, di olivettiana memoria,                                                                                                  0per considerare la rete territoriale umana come il luogo più importante della sperimentazione e della reinvenzione della democrazia.
  • Questo è il punto di partenza del “programma” da scrivere nella fase di acquisita responsabilità nazionale di ciò che oggi per l’ultima volta chiamiamo “liste civiche”, avendo chiaro che la forma partito di ciò che prende forza proprio per la debolezza dei partiti avrà un destino narrativo necessariamente complesso e non pregiudicato. 

 

 


 

 

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