Il carteggio Turati-Silvestri su Mussolini, Matteotti, Aventino.

Maurizio Punzo : “In difesa della libertà, Mimes edizioni (2022)

Rivista Mondoperaio, n. 6/2023

Stefano Rolando

Maurizio Punzo ha curato la selezione del carteggio Filippo Turati-Carlo Silvestri (custodito dalla Fondazione Craxi) che, con ampia introduzione contestualizzante, è stato pubblicato da Mimesis di recente (“In difesa della libertà” – Turati, il delitto Matteotti e l’Aventino nelle carte di Carlo Silvestri”, Mimesis edizioni, 2022).

La pubblicazione si colloca, in questo periodo, in un incrocio di attenzioni storiche e politiche per gli eventi in questione.  Ed è questa una coincidenza che rende più complessi i pensieri circolanti, appunto, attorno a un clamoroso risultato politico di una forza che fa parte della genetica post-fascista; mentre siamo per altro anche nel contesto del centenario della marcia su Roma.  

Un riscontro viene anche dalla fortuna, in generale, di una saggistica che, riprendendo alcuni temi del centenario e percependo una ripresa di sensibilità attorno alla storia ma anche alle allusioni della storia, vede in testa alla classifiche di libreria, proprio libri su questo argomento.

Pur nel rigore di trattamento del saggio sul carteggio Turati-Silvestri, contenuti e riferimenti si prestano a molte letture e sono parte di discussioni che i media italiani stanno sollevando.

Vengono infatti a galla temi più sottili e approfonditi rispetto a una certa semplificazione che su una materia così pesante per il ‘900 italiano è naturalmente presente.  

Il “cambio di casacca” di Mussolini da socialista massimalista a interventista nazionalista si limita a volte alla classificazione di un voltagabbana. Che certamente Mussolini è anche stato. Ma evidentemente con nessi tra l’antifascismo e il fascismo che non potevano essere tagliati con la scure. Qui– accanto a storie perfettamente separate (Mussolini e Matteotti, Turati e i comunisti, monarchici e repubblicani, l’apparato di polizia e le organizzazioni sindacali e cooperative) – ci sono storie che fluttuano nella relazione viscerale appunto tra i massimalisti e i riformisti e, dunque, tra vicende che hanno a che fare con l’insorgenza del regime che mette i dirigenti socialisti nelle liste di proscrizione. Ma con un certo tiraemolla.

Si sono, per esempio, dette cose sui silenziosi rapporti nel tempo tra Mussolini e Nenni, con origini territoriali e sociali così prossime. E poi altri casi di rapporti che non esistevano più sul piano politico ma camminavano sulle gambe e le memorie umane. Qui la questione riguarda alcuni nessi tra Mussolini ex-socialista e figure che dopo il ‘22 restano certamente dall’altra parte della barricata ma conservando alcune trame.

Un tessuto che si lacera e si ricompone

Questo tessuto connettivo – che si lacera e a volte si ricompone – trova una interessante casistica in una figura per certi versi di secondo piano ma degna di attenzioni, abbastanza discussa, meritevole di approfondimenti.

La figura è quella di Carlo Silvestri che fu amico e nemico di Mussolini, accusatore e poi difensore di Mussolini rispetto al ruolo di mandante dell’assassinio di Matteotti, giornalista sovrastato dalla passione politica e da una propensione per le relazioni pubbliche (per usare una parola allora non di moda) che lo rende capace di generosità umane, ma anche di alcune complesse complicità. Così come Silvestri (entrato al Corriere della sera a 17 anni nella redazione sportiva e presto transitato in quella politica) fu amico del maggiore leader socialista italiano, Filippo Turati, fino alla sua morte che avvenne l’anno dopo il delitto Matteotti.

Alla fine, Silvestri viene riconosciuto da fascisti e antifascisti per un certo coraggio e onestà.

Ma comunque, viene discusso e ad un tempo dai fascisti anche confinato. Tanto che in un lungo articolo di soli due anni fa Paolo Mieli, sul Corriere della Sera, lo racconta come una figura “strana”, per la quale non mostra particolare simpatia, ma che regge un’intera paginata del Corriere.

Politicamente – e non poteva che essere così per le passioni storiografiche dell’autore – il protagonista del libro è Filippo Turati. E il ruolo del carteggio nell’economia del libro (a metà con la introduzione interpretativa) arricchisce molto il volume, lo umanizza, lo porta alla realtà quotidiana, alle incombenze e alle preoccupazioni di tempi difficili. E dunque mette in grande rilievo, oltre a Turati, la magnifica figura di Anna Kuliscioff, pur con scarne sue  parole riportate dalle lettere, ma di grande padronanza del contesto.

Alcune focalizzazioni.

La lente di ingrandimento del trattamento dei fatti e delle carte mette in rilievo tre punti essenziali:

  • il nesso quotidiano della macrostoria del triennio che trasforma il fascismo – per dirla con De Felice – da movimento a regime, con la microstoria della quotidianità soprattutto riferita alla coppia Turati-Kuliscioff;
  • la trama agitata, passionale, incarnata da figure con tratti comuni e diversità che investe i socialisti nel periodo storico in cui sono squassati da grandi conflitti (la guerra tra neutralismo e interventismo; la Rivoluzione russa tra il faremo e il non faremo come in Russia; l’avvento del fascismo che in quei tre anni mantiene un filo di coinvolgimento negli ambienti liberali, popolari e persino riformisti);
  • l’agenda di governo che porta al delitto Matteotti, all’Aventino e alla netta svolta totalitaria e di polizia, chiudendo ogni forma di sopravvivenza delle istituzioni democratiche e cacciando l’Italia nel lunghissimo tunnel che porterà alla guerra e alla catastrofe.

Il trattamento delle figure politicamente rilevanti che compaiono in questo libro è centrato sul rapporto tra i socialisti e la trasformazione dell’Italia, facendo emergere diverse tipologie:

  • una certa miopia su fondamentali della svolta fascista (che riguarderà ambiti liberali e popolari – Giovanni Gronchi raccontato come parte attiva delle connessioni ad esempio – ma poco i socialisti e comunque per i tentativi provati di Mussolini di imbarcarli nel governo, esplicitamente con Buozzi al Lavoro e – l’avevo raccontato in un libro-intervista con la figlia di Nullo Baldini e nuora di Nitti  (Maria Luigia Baldini Nitti) – con Nullo Baldini ai Lavori pubblici, ricevendo due netti rifiuti);
  • una rete di opportunismo, che riguarda soprattutto figure del sistema di potere giolittiano;
  • una minoranza di sagace realismo che ha in questo libro il tratto prevalente dei giudizi e delle parole di Filippo Turati.

Lo sguardo lungo e realistico di Turati

Ecco, Filippo Turati – con l’evidenza nell’epistolario che il libro contiene – stabilizza una linea interpretativa e narrativa (oltre a capire di politica, ha grande senso della storia e una retorica molto comunicativa) che lo rende al tempo stesso, nel socialismo italiano a quel tempo già con un ventennio di storia alle spalle, il “padre” del processo di formazione di questa nuova cultura politica (così senza tentennamenti lo chiama padre del Partito Socialista, nel colloquio che ha appena pubblicato Mondoperaio, Simona Colarizi, dedicato ai 130 anni dalla nascita del PSI).

La prosa delle sue lettere è un piacere di spirito e tessitura umana. Chiama Silvestri con il cognome, come facevano tra di loro i politici di una volta, pur con grande consuetudine tra di loro. Poi gli scappa però un “Silvestrino” e anche un “Carletto”. E di Menè Modigliani (Giuseppe Emanuele, padre del riformismo toscano e insieme a Treves e a Turati nella leadership del socialismo anti-massimalista) così scrive: “Modigliani – finalmente – deve essere tornato. Ma non aveva l’aria di essersi reso conto dello scandalo della sua assenza materiale e morale”. Stesso umorismo di scrittura in Anna Kuliscioff, che chiama Turati “Filippotto”.

Questa focalizzazione caratterizza il cuore della materia trattata nel libro.

Ad aspetti confusivi, in particolare nel biennio “movimentista” del fascismo, con alcuni intrecci dello stesso Mussolini in ambiti che costituivano i suoi trascorsi, per non parlare delle conflittualità nell’opposizione stessa generata dall’Aventino, corrispondono la percezione, l’analisi, lo sguardo lungo di Turati che restano lucidi, realistici e per certi versi anche pessimistici.  

Certo Turati e i riformisti restano consapevoli al tempo stesso di una condizione minoritaria rispetto alla tendenza massimalista, che in quasi tutta la storia dei socialisti (fino a metà degli anni ’70) sarà dominante.

La citazione di Carlo Rosselli che parla di Turati come l’indefesso capo della crociata per la libertà e la democrazia (ancorché “vecchio e stanco”, parliamo di un sessantacinquenne, eh…attenzione alle parole…) è la cifra che dà il titolo stesso al libro.

Se mi è permessa una chiosa che faccio come presidente della Fondazione Nitti, non trovo cenni nel carteggio e nel libro per recuperare il giudizio storico su Nitti, troppo breve la sua coraggiosa esperienza di governo, ma anche molto a ridosso degli avvenimenti qui trattati. Nitti che persino Nenni nelle sue memorie sul 1919, con una certa miopia, finisce per apparentare al giolittismo percependo poco le novità sostanziali introdotte nel trattamento della cultura di governo, del rapporto con l’unità d’Italia, nell’idea di sviluppo connesso all’equità e all’idea di fondo della qualità della democrazia. Mentre invece lo stesso Turati – Maurizio Punzo lo ha ricordato – colse poi l’occasione per rimpiangere l’insufficienza della difesa da parte dei socialisti del governi Nitti (di cui la componente riformista era parte) che cadde per spinte di destra ma anche per pari conflittualità generata dai massimalisti,

La fine del ciclo post-risorgimentale.

Ma c’è certamente nelle pagine del libro il senso della fine di un ciclo della classe dirigente post-risorgimentale che presentava un’Italia a molte vie d’uscita (quella turatiana anche legata alla trama con la capacità di progetto tecnico e culturale per “rifare l’Italia” che partiva dallo slancio di Milano, politica, amministrazione e Politecnico ) in cui prevale – come sta avvenendo nell’Italia di questo ultimo ventennio – la domanda rancorosa e populista del Paese rispetto alla possibilità di affermare un’offerta moderna, europea, socialmente equa.

Su Carlo Silvestri, come si è accennato, c’è qualcosa di non occasionale nella saggistica contemporaneista. Una biografia di una allora ricercatrice, Gloria Gabrielli, edita da Franco Angeli negli anni ‘90. Se ne è occupato Mauro Canali in una voce interessante sul Dizionario biografico degli italiani Treccani. E c’è ancora qualcosa degli anni ’50 che tiene conto del suo ruolo nel sistema dell’informazione.

Metterei qui a confronto conclusivo due spunti, perimetrando questi cenni lo spettro di un giudizio che è certamente parte della trasformazione sociale e politica che le condizioni drammatiche della prima guerra mondiale generano in tutta Europa e quindi anche in Italia.

Mauro Canali dà un certo rilievo al convincimento di Silvestri secondo cui – cito le sue parole – Mussolini (nei cinquanta colloqui di fine 1943 con Silvestri) “fornì la propria versione del delitto, compiuto, a suo avviso, allo scopo di sbarrare la strada all’iniziativa da lui avviata nel 1923 per far entrare i socialisti riformisti nel governo. Tale iniziativa avrebbe allarmato un ambiente «di finanza equivoca, di capitalismo corrotto e corruttore, privo di ogni scrupolo, di torbido affarismo», in cui sarebbe maturata la decisione di uccidere Matteotti, decisione che sarebbe stata rafforzata dalle voci, che avevano preso a circolare, di un imminente discorso parlamentare del deputato del PSU, nel corso del quale questi «avrebbe prodotto tali documenti da portare alla rovina certi uomini che erano pervenuti a infiltrarsi profondamente tra le gerarchie fasciste”.

Paolo Mieli – riprende queste storie di difesa e di attacco, modificatesi nel tempo tra Mussolini e Silvestri – e conclude profilando alcune ombre sulla figura del giornalista, socialista ondivago e passionale: “I rapporti tra Silvestri e il suo mondo di provenienza vanno comunque in frantumi. Nel dopoguerra il giornalista continuerà a difendere il Mussolini della Rsi e prenderà addirittura in considerazione l’ipotesi di candidarsi con il partito neofascista, il Movimento sociale italiano, alle elezioni del 18 aprile 1948. Negli anni successivi, prima di morire nel 1955, sorprendentemente Silvestri riuscirà a conquistare l’amicizia di don Primo Mazzolari e di Alcide De Gasperi”.

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