Stefano Rolando
Versione audio: https://www.ilmondonuovo.club/eco-ansia-antagonismo-o-protagonismo/

Le lacrime per l’allarme ambientale di Giorgia Vasaperna (siciliana, 27 anni, scrittrice e attrice ) e del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin al Giffoni Film Festival il 28 luglio.
Anch’io soffro il caldo eccessivo, anch’io sono colpito dalla violenza rabbiosa del rapporto tra l’acqua e la nostra quotidianità, anch’io sento sulla pelle la combutta tra fuoco e alluvione nel disputarsi trofei distruttivi.
“Il tempo è impazzito”, è una frase sulla bocca di tutti. Ci sarebbero condizioni diffuse, popolari, globali per sostenere scelte di discontinuità.
Ma è proprio per questo nesso tra vox clamans (cioè, il grido di allarme degli ambientalisti) e vox populi (cioè, l’ampliamento della preoccupazione pubblica) che si vanno aprendo irrigidimenti, frenate, rinvii, negazionismi nei sistemi di governance. Per nulla intenzionati a lasciare i comandi del veliero “Mondo” nelle mani della cultura dell’allarme e dello spavento (questa la tesi illuministica del potere ragionante), ovvero nelle mani del populismo che non mastica la scienza (la tesi del rapporto motore della storia tra politica e governo degli interessi economico-produttivi).
Il quiz politologico potrebbe essere questo: pagherà di più la crescita dell’allarmismo (che è anche alimentata un po’ dalla fame dei media verso qualunque cosa favorisca l’opzione del cittadino a favore di un acquisto in edicola, di un click digitale e di implicite iniezioni di marketing digitale) o si troverà la strada del gradualismo riformatore?
Ora ne va anche dell’esito di uno scontro tra schieramenti politici che si disputano l’egemonia occidentale, molto all’angolo di fronte all’offensiva russa e cinese sull’Africa, al permanente idillio peronista dell’America latina e allo smarcamento nazionalista indiano di parte dell’Asia.
- L’ondata di eco-ansia favorisce un allineamento politico occidentale con ondate di scelte politicamente emotive e che contano sulle basi semi-analfabete di una parte rilevante dell’Occidente (noi in Italia tra i primi)?
- Oppure mette in movimento l’elaborazione di modelli di revisione dei sistemi di produzione e consumo che pianifichino la riduzione del rischio, motivino scelte di adattamento graduale in ordine alla preservazione della natura, alla revisione dei modelli energetici, all’orientamento dei consumi inquinanti?
Per questo dilemma la questione ambientale deve entrare da protagonista in agenda, non per l’opzione emotiva dell’eco-ansia, ma per l’opzione sociale della generazione di un dibattito pubblico centrato su una maggiore qualità di informazione scientifica, sul coinvolgimento molto orientato al public engagement dei sistemi di formazione e ricerca, sulla capacità dei sistemi istituzionali, amministrativi e socio-rappresentativi intermedi di contribuire a tenere in tensione testimoniale e progettuale territori e comunità.
Serve un patto tra élite e popolo come fu quello che difese le città dagli assedi e dai vandalismi dalla caduta dell’impero romano all’affermarsi del Rinascimento.
E questo patto politico richiede oggi anche il patto comunicativo tra organizzazioni scientifiche e ambiti mediatici, almeno quelli profondamente responsabili circa il mantenimento dei valori democratici.
Questo tema dovrebbe campeggiare nel contratto di servizio e nel rinnovo del canone tra lo Stato e i cittadini italiani a proposito della Rai, aprendo anche un fronte di contribuzione finanziaria a favore di soggetti privati sintonizzati su questa lunghezza d’onda dell’approccio alla coscienza ambientale pubblica.
Ma come si sa la discussione è tutta sul “controllo politico” e sulle passerelle dei professionisti e degli artisti cacciati, in fuga o in vetrina. Non si legge una riga che discenda dalle lezioni civili della pandemia e dal bisogno assoluto di arginare la crescita dell’analfabetismo funzionale degli italiani.
Non possiamo tifare per una scelta di metodo a strappo oppure gradualista, integrato oppure settorializzato, nazionale oppure europeo, sulla base della rappresentazione dell’eco-ansia di una generazione, di due generazioni, persino di tutte le generazioni noi compresi, ma quasi tutti privati dalla razionale rappresentazione del rapporto previsionale che un giorno viene raccontato a catastrofe avvenuta, l’altro giorno a catastrofe annunciata e un altro giorno ancora a catastrofe rinviabile aderendo non a tesi stra-condivise scientificamente ma al modo raffazzonato con cui il politico di turno le usa per stare “a la page” alle prossime elezioni.
Anch’io – come tutti – sono sensibile a singole argomentate minacce. Che il Bangladesh finisca tra pochi decenni totalmente sottacqua per il rialzo dei livelli del mare causa scongelamenti, l’ho letto anni fa in forma documentata e non me ne scordo mai un giorno, anche perché metterà in mobilità 150 milioni di persone. Che l’impoverimento dei ghiacciai non si limiti alla Groenlandia ma riguardi già ora le nostre Alpi rende costante il pensiero delle nostre meravigliose montagne alpine destinate a perdere il sistema venoso vitale fatto dall’acqua, cioè morte per inaridimento. È un pensiero non sopportabile. Ma si parla di “classe dirigente” quando questi temi sono allineati da una visione globale, da un metodo robusto e da una pianificazione finanziaria di medio-lungo periodo.
C’è chi dice che il modello tedesco oggi – basato su un patto per la riforma del sistema produttivo tra interessi sociali, ambientali e imprenditoriali – sia un possibile esempio. Parliamone più a fondo. Cerchiamo di capire se questo modello sta funzionando o sta scritto a sua volta solo in programmi elettorali.
E cerchiamo di capire se esso è al centro oppure no della prossima campagna elettorale. Non arriviamoci solo con le lacrime sacrosante di una ragazza eco-ansiosa che si rivolge a un ministro che per tutta risposta non offre nemmeno un briciolo di progetto ma replica, per dimostrare comprensione, con le sue di lacrime.