Podcast n. 55 – Il  Mondo Nuovo – 13.8.2023 Michela Murgia, influencer civica disobbediente

Versione audio: https://www.ilmondonuovo.club/michela-murgia-influencer-civica-disobbediente

Stefano Rolando

Pagine e pagine dei nostri quotidiani e una trasversale emozione per la scomparsa.

Primo perché 51 anni non è l’età per morire. Secondo perché una rottura del conformismo non è cosa di tutti i giorni.

E se percepito – soprattutto tra le donne – diventa emozione virale.

Mi riferisco a Michela Murgia.

Di cui – in verità – si è scritto “lapidata in vita, onorata da morta”.

Ma ciò è già successo, per uomini e donne.

Qui c’è di mezzo un popolo dei social che noi credevamo soprattutto avvezzo allo scartavetrarsi l’uno con l’altro nella sarabanda di giudizi lapidari.

Mentre l’evoluzione della specie mediatica ci mostra che il sistema cova anche sentimenti di profondità, cerca leader e – quel che è più importate – riconosce caratteri indipendenti.

Dovevamo capirlo prima che il tipo era si potrebbe dire come gli intellettuali della nouvelle vague post-bellica, che dai tavolini di un caffè degli Champs-Elysèes non si inchinavano ai nuovi protagonisti del potere, ma inventavano un altro potere, aprendo brecce sui temi sottotraccia: l’etica, il conflitto sociale, l’incomunicabilità, le solitudini.

E mescolando nuova estetica e nuove libertà, ciò apriva varchi dove i partiti politici europei – tutti ancora segnati dal paradigma ideologico – pensavano di essere l’unica forma di rappresentanza. Infiammando i loro militanti, certo, ma creando onde anche in territori liberi.

Fenomeno anch’esso virale.

Che si ripercuoteva Paese per Paese. Ma anche territorio per territorio. Mezzogiorno (nostro e altrui) non escluso.

Sembravano finiti un po’ in soffitta, questi intellettuali, insieme ai quotidiani letti solo dagli ottuagenari, masticati e sputati dai talk-show ingolositi solo dalla voglia di mandare tutti a quel paese, con qualche insulto antico ed egocentrico.

Invece le nuove generazioni ne inventavano di nuovi.

E per come appare dal disegno complesso che sta circondando la sua morte, Michela Murgia viene consacrata in questo bisogno, senza tempo, di individuare voci non di fumoso dissenso creato dal marketing editoriale – tantomeno dal marketing politico – ma da una nuova interpretazione, in ordine ai conflitti generazionalmente in atto, non tutti in superfice, non tutti in agenda.

Rispetto alla politica si direbbe oggi una vera “civica”.

Non a caso segnalata anni fa come leader di una lista regionale per l’indipendenza della Sardegna capace di raccogliere, non attraverso forme proto-grilline ma su rimeditazioni di qualche profondità sui nostri irrisolti (basta leggere il suo Viaggio in Sardegna), il 10% del voto di un territorio.

Con la sua morte, Michela Murgia ha anche dissolto la patina di odio che la sua persistenza ha creato, al di là del collante di fiducia e percezione di nuovo.

Questo succede non per buonismo, perché Michela è morta, ma quando appunto questa “percezione di nuovo” prende il sopravvento.

È stato anche scritto che “il Corpo della Nazione, sebbene sia maschile, prova costantemente ad abortire tutte le sue donne più disobbedienti” (il braccio di ferro delle donne iraniane è ancora lì a dircelo). Ma qui – anche complice la malattia e la morte – è come se una tra le più disubbidienti abbia saputo ribaltare lo schema della ferocia.

Credo che non possiamo non prenderne atto. E rifletterci.

In questa riflessione – continuo ad allungare lo sguardo sul dibattito, copioso, che ha circondato l’evento annunciato e dunque con qualcuno che la riflessione non l’ha improvvisata – sta anche ciò che viene definito come una “nuova forza”.

Mi riferisco alla forza della disintermediazione della comunicazione contemporanea.

Appare davvero una discontinuità che, nel caso di Michela Murgia, questa rivoluzione dei linguaggi avvenga come poteva avvenire con una studiosa di profondità in varie direzioni. Cioè, senza populismo.

Il suo “civismo politico” va letto proprio a questo proposito.

Indirizzare questo impegno soprattutto là dove in apparenza ci sarebbe più lontananza, più disaffezione, più disinteresse dei giovani: il commento politico.

Adeguando a questo profilo la tendenza a dare rilievo agli influencer.

Il fenomeno mi interessa più che essere poi d’accordo con tutte le cose che Michela Murgia ha sostenuto. C’è chi, come Marco Damilano, difendendola complessivamente, ha segnalato che sembrava forte ma “allo stesso tempo era anche fragile nelle sue meravigliose contraddizioni”.

In ogni caso basterebbe l’intervista alla madre di Michela Murgia, sabato sul Corriere, per cogliere se non la forza personale certo la forza di un retroterra di studio, intuizione e applicazione, a cui si aggiunge il suo rapporto con la religione, che non l’apparenta ai finti disubbidienti della seconda Repubblica.

Perché, rispetto a tanti che ci hanno provato e ci provano a casaccio, la qualità delle sue analisi apre le porte a un progetto contro-tendenziale. Che detto con semplicità avrebbe prima o poi probabilmente saputo aggredire il fenomeno della crescente astensione.

E che, anche per questo, andrebbe ora, in suo onore, anche meglio studiato.

 Perché l’onda non deperisca con questa sua dolorosa e prematura scomparsa.

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