Fondazione Nitti e Associazione Nitti ricordano la figura di Giorgio Napolitano
Melfi, 22 settembre 2023

Roma, Quirinale, 29.11.2009 – Il presidente Giorgio Napolitano, affiancato dal segretario generale Ugo Zampetti riceve in udienza il presidente della Fondazione Nitti Stefano Rolando, la presidente della Associazione Nitti Patrizia Nitti e il direttore generale del Ministero del Tesoro Fabrizio Barca nella sua qualità di membro del cda e del cs della Fondazione Nitti.
La Fondazione “Francesco Saverio Nitti” insieme all’Associazione Nitti di Melfi, ricordano la figura di Giorgio Napolitano nel giorno della sua scomparsa, a 98 anni, dopo una vita intensa e rigorosa che ne ha fatto un protagonista originale di una visione europeista e riformatrice rappresentando un’anima moderna della cultura politica italiana e al tempo stesso un esponente riconosciuto della connessione tra politica e cultura e delle istanze innovative del meridionalismo italiano.
Giorgio Napolitano si era laureato in Giurisprudenza nel 1947 alla Federico II di Napoli con una tesi di economia politica dal titolo “Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’Unità e la legge speciale per Napoli del 1904”. Legge della quale, come ha ricordato in uno studio recente Donato Verrastro, Nitti fu ispiratore ed estensore di fatto e soprattutto animatore dei “laboratori speciali” che ne seguirono.
A fianco di Giorgio Amendola, Napolitano fu amico fin dalla gioventù con la famiglia Nitti, in sodalizio personale con Giampaolo Nitti e seguì con favore e attenzione la costituzione della Fondazione intitolata a Nitti e i suoi sviluppi.
La fotografia qui acclusa ricorda l’udienza in Quirinale del 29 novembre 2009 con Stefano Rolando presidente della Fondazione, Patrizia Nitti presidente dell’Associazione e Fabrizio Barca, al tempo membro del cda e del comitato scientifico (in rappresentanza del Ministero del Tesoro di cui era direttore generale), per la presentazione dei programmi soprattutto di alta formazione che erano stati immaginati e poi avviati presso Villa Nitti ad Acquafredda di Maratea.
Ebbe parole di incoraggiamento per le iniziative della Fondazione e dell’Associazione partecipando da presidente della Repubblica al convegno “Mezzogiorno e unità nazionale – verso il 150° dell’Unità d’Italia” promosso dalla Fondazione Giustino Fortunato a Rionero in Vulture il 3 ottobre del 2009 ricordando, tra l’altro, come spesso fece in allocuzioni pubbliche, il ruolo dei maggiori meridionalisti italiani. Nell’occasione disse:
“Certo l’unificazione politica che si era conseguita nel 1860-61 si era trovata a dover fare i conti con “uno strano dualismo”, diceva Fortunato, con “una fatale divisione che si era andata via via accentuando tra il Settentrione e il Mezzogiorno”, e di cui Galasso ha colto le origini in secoli lontani, dandoci ora una felice sintesi di un lungo percorso storico. E venendo al dopo 1860, Galasso ci ha ricordato come Fortunato pose l’accento sulle cause obbiettive di quel divario, sfatando la leggenda di una presunta ricchezza naturale del Mezzogiorno, e nello stesso tempo denunciò il peso che su di esso fece gravare, dopo l’Unità, il giovane Stato unitario attraverso “la doppia soma di un carico tributario enorme e di un regime doganale proibitivo”. Questo filone di denuncia fu poi portato avanti, in particolare, da Francesco Saverio Nitti”.
E nel maggio del 2012 rivolse dal Quirinale un importante messaggio alla Fondazione impegnata “a far accadere le cose” che aveva programmato:
“Esprimo un vivo apprezzamento per l’attività della Fondazione che, intitolata a Francesco Saverio Nitti, onora l’eredità del grande studioso e illustre uomo politico, contribuendo alla formazione di una nuova classe dirigente di giovani laureati meridionali di particolare talento. Come ho sottolineato in più occasioni, l’innalzamento degli standard formativi nel Mezzogiorno e la valorizzazione del capitale umano di cui esso è ricco sono condizione imprescindibile per lo sviluppo dell’intera Italia. Solo investendo sulle migliori risorse ed energie del Paese, e in particolare su quelle del Sud, finora lungamente sottoutilizzate, sarà possibile superare le attuali difficoltà di ordine economico e sociale e offrire una prospettiva di rilancio e di crescita sul piano nazionale. È pertanto con vivo compiacimento che formulo un caloroso augurio ai giovani che oggi si apprestano a proseguire il loro percorso lavorativo con un bagaglio culturale e professionale significativamente arricchito“.
Come ha detto il presidente Mattarella alla notizia della scomparsa del suo predecessore:
“nella vita di Giorgio Napolitano si specchia larga parte della storia della seconda metà del Novecento, con i suoi drammi, la sua complessità, i suoi traguardi, le sue speranze”.
Una sintesi sulla coincidenza dei sentimenti civili che riguarda le grandi figure della nostra rappresentanza collettiva e al tempo stesso la vasta filiera – dalle istituzioni nazionali e territoriali alle piccole comunità di impegno nei territori – che ci porta a riconoscere e distinguere, senza giudizi sommari, chi ha operato nell’interesse comune e per una difficile ma progressiva evoluzione dei valori costituzionali.
Post-scriptum personale
Roma, Lunedi 25 settembre 2023
Arriva il giorno dell’ultimo saluto, con la memoria del primo saluto, trent’anni fa. Con la percezione che non molte ma neanche poche siano state le figure che in un rispettato pluralismo hanno avuto un primario pensiero per il bene comune e ci hanno insegnato a credere nelle istituzioni a condizione, anche per un millimetro, di migliorarle. Per questo non ho mai capito perché Giorgio Napolitano avesse avesse un po’ di insofferenza per la dicitura “migliorista”, forse perché l’aveva inventata un dichiarato avversario come Pietro Ingrao. Ma realtà, e con merito, lo era profondamente.


A margine delle esequie solenni a Montecitorio del presidente Napolitano
Annotazione personale – SR
Roma, 26 settembre 2023
Sembrava inevitabile. E infatti la rappresentazione ha separato e diviso il teleschermo.
Mi riferisco al fronte antropologico rappresentato da una parte dagli interpreti di una vita (quella di Giorgio Napolitano) e di un’epoca (il nostro Novecento) e dall’altra parte dal fronte del quadro di governo silente per regola di cerimoniale. Silente ma, per la logistica parlamentare, seduto in posizione preminente.
Malgrado il discorso di Gianni Letta – con i suoi toni non inediti di una prosa di ricamo – oggi, tuttavia, quasi necessario e comunque condotto bene all’interno di una filosofia di far convivere almeno le memorie.
Ottimi i familiari, meravigliosa Anna Finocchiaro, calibrati ed elevati Paolo Gentiloni (il ruolo dell’Europa) e Giuliano Amato (punto nodale: l’identità della sinistra in rapporto all’identità italiana), e nel rispetto di una legittima indagine spirituale e culturale, quello dell’alta aneddotica del cardinale Ravasi.
A parte i cenni di circostanza di Fontana e La Russa, al quadro di governo non toccava la parola.
Per questo il tema qui è forzatamente antropologico. Ma visibile, a tratti persino un po’ inquietante.
Un altro spartito, un diaframma non colmato neppure dai frequenti cenni alla superiorità della visione istituzionale.
L’avere optato per questa forma solenne e altamente istituzionale ha forzato un po’ questo confronto, la cui percezione resta comunque inevitabilmente soggettiva.
Ho memoria del raduno di figure tutte acculturate che ascoltarono il senatore Leo Valiani, passionale e stentoreo, nell’angolo di una piazza vicina al Senato (comunque in una piazza), celebrare il congedo laico da Ugo La Malfa. Come ho il ricordo di una lunga coda di popolo che accompagnò nel centro di Roma i funerali di Pietro Nenni. Per non parlare della marea rossa che il Partito Comunista in auge scelse come cornice per i funerali di Togliatti e di Berlinguer.
Queste immagini ci ricordano che comunque è finita un’epoca. E che in questo caso il percorso, i caratteri personali, il ruolo inedito al Quirinale (per la storia politica di Napolitano) e l’opzione che appartiene al suo pensiero circa le “istituzioni” più forti delle “parti”, hanno indotto a questa forma funeraria.
E questa forma funeraria ha mostrato questa lacerazione simbolica. Non è volata una parola di troppo, nessuno ha detto qualcosa di inadeguato. Ma c’è il linguaggio delle parole ma c’è anche quello dei segni, quello dei volti, quello dei piccoli indizi, quello dei silenzi.
Se ne prende atto senza astio e senza polemica.
Ma con ragionevole preoccupazione per i tempi e i modi in cui sarà possibile ricomporre una qualità non solo formale della nostra democrazia.






