Le linee guida per la comunicazione degli uffici giudiziari italiani

In Rivista italiana di comunicazione pubblica (25.6.2018)

Posted by Rivista italiana di comunicazione pubblica on Monday, 25 June 2018

 

Presentazione a Roma in una conferenza promossa dal CSM

 

 

Il 21 e il 22 giugno 2018 il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiamato a raccolta i ranghi della giustizia italiana in un’ampia kermesse dedicata a presentare e discutere il complesso lavoro istruttorio e di proposta, compiuto in primissima istanza della Settima Commissione dello stesso CSM (che ha competenza in materia di organizzazione degli uffici giudiziari), proprio attorno al nuovo Codice dell’organizzazione degli uffici giudiziari italiani. Insieme a provvedimenti di implementazione dell’efficienza e di razionalizzazione di profili di interdipendenza, ha fatto spicco nel programma delle otto tavole rotonde (che hanno impegnato una cinquantina di relatori) la presentazione del documento “Linee guida per la comunicazione istituzionale degli Uffici giudiziari” che il Vice-presidente del CSM Giovanni Legnini ha chiosato come “fatto storico”, per l’intendimento che esso esprime di riportare la giustizia italiana all’interno di una regolamentazione uniformata in materia di informazione e comunicazione, dopo che la legge, applicata in tutto l’ordinamento pubblico italiano, n. 150 del 7 giugno 2000, che disciplinava le attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni italiane, ottenne una determinazione di inapplicabilità per il settore della giustizia.
Le Linee guida sono state discusse ed elaborate, nel corso dei primi mesi del 2018 da un gruppo di lavoro costituito ufficialmente dal CSM, presieduto dal primo presidente emerito della Corte di Cassazione Giovanni Canzio, composto dai magistrati Giovanni Melillo e Antonio Mura; dall’ ex-magistrato oggi scrittore Gianrico Carofiglio, dal giornalista Francesco Giorgino (erano previsti nella costituzione del team anche i giornalisti Fabrizio Feo e Giovanni Minoli) e dal professore universitario in materia di comunicazione pubblica (già direttore generale alla PCM) Stefano Rolando. La “bozza di delibera” sulla materia, ricavata dal documento sulle Linee guida e di prossima presentazione al Plenum del CSM (previsto nella prima parte del prossimo mese di luglio 1 ) ha avuto poi come relatori i consiglieri Nicola Clivio, Claudio Galoppi e Renato Balduzzi.

 

Un fatto “storico” che fatica a far notizia

Stefano Rolando 2

La “notizia” l’ha data nel suo breve intervento alla conferenza promossa dal CSM “Verso il Codice dell’organizzazione degli uffici giudiziari italiani il vicepresidente dello stesso CSM Giovanni Legnini, quando ha esordito dicendo: “Per la verità la nostra bozza di documento l’abbiamo nei giorni scorsi proposta agli organi di informazione, ricevendo uniformi giudizi: grazie, ma non vediamo dove sia la notizia. Ed è questa la ragione per cui spesso le istituzioni promuovono atti che considerano storici nella piena oscurità della opinione pubblica che deve fare i conti con la regola del ‘far notizia’ che ha argomenti diversi dal comportamento comunicativo delle istituzioni stesse“.
Il tema non è nuovo, appartiene a tutta l’età moderna in cui le istituzioni occidentali – in particolare quelle europee – hanno superato la logica della propaganda ma non sempre hanno superato la remora della notiziabilità. Aprendo così la strada ad una impostazione dei rapporti diretti con i media che ha regole e forme che non risolvono tutta l’azione comunicativa che può e deve altresì esprimersi (così come la legge 150 del 2000 ha pienamente legittimato) anche con regole e forme di relazione diretta con i cittadini.
Il passaggio della “bozza” dal testo del gruppo di lavoro istruttorio al testo dei consiglieri relatori al Plenum del CSM ha avuto qualche revisione, nella sostanza rispettosa dell’impianto motivazionale e regolatorio immaginato dagli “esperti” con qualche elemento più esplicativo e con la decisione di limare passaggi apparsi ai relatori “pleonastici”. Tra di essi il passaggio, nella parte preliminare del documento, in cui le linee guida, per “definire prassi applicative tendenzialmente uniformi su tutto il territorio nazionale“, si orientavano naturalmente verso gli ambiti organizzativi degli uffici della giustizia, aggiungendo “senza alcun pregiudizio, è appena il caso di precisarlo, della autonoma attività giornalistica di ricerca di fonti e informazioni”.
La limatura di quest’ultima riga ha provocato in alcuni ambiti giornalistici nel giorno precedente la conferenza il dubbio attorno ad un proposito immaginato latente e non espresso di “legge bavaglio” (così si è letto per esempio nel resoconto pubblicato da Primaonline 3), interpretazione che davvero appare ingiustificata e che tuttavia ha fatto da contorno alla apertura della Conferenza stessa rendendo obbligatorio da parte degli intervenuti – nella tavola rotonda moderata da Claudio Galoppi – chiarire come prima cosa questo elemento. Insomma un ennesimo caso di comunicazione imprecisa che ha rischiato di mettere più in evidenza inesistenti trame motivazionali rispetto agli esistenti e ben articolati propositi istitutivi di una riforma utile, importante, moderna e necessaria.
A questi caratteri si è riferito Giovanni Canzio nella sua introduzione. Nella sua premessa la sintesi – definita tra virgolette “ideologica” – del progetto condotto in porto: “Viviamo in uno stato di diritto – ha detto – e ciò prevede il principio fondamentale dell’indipendenza e della autonomia della magistratura. Ma ciò al tempo stesso comporta anche l’evidenza dell’efficacia e l’obbligo a rispondere responsabilmente dell’operato svolto. Da qui l’assunzione di doveri nei confronti dei cittadini – da cui dipendono le imprescindibili condizioni di fiducia – attorno alla necessaria trasparenza dei comportamenti e delle decisioni prese”.
Il procuratore generale di Venezia Antonello Mura ha svolto – sia nel gruppo di lavoro che nel corso della conferenza – l’importante ricognizione del contesto internazionale e quindi sul quadro comparativo delle prestazioni comunicative normate in altre paesi ovvero sull’andamento degli orientamenti degli organismi internazionali che si occupano della materia. A questi aspetti fa infatti riferimento lo stesso incipit delle Linee guida. Antonello Mura ha infatti affermato che “con questo provvedimento l’Italia è più vicina all’ Europa, nel cui ambito la doverosità di rendere socialmente comprensibile la giustizia è una cultura progressivamente condivisa, anche se il cammino regolamentativo per l’Italia dovrà compiere ancora alcuni passi a cominciare dal tema dell’operatività nell’ambito dei social media“.

Il punto di vista dei magistrati impegnati nel gruppo di lavoro è stato completato dal contributo del procuratore della Repubblica di Napoli Giovanni Melillo, che ha preso le mosse dalla “eterna lotta tra pubblicità e segreto” – tema che connette la vicenda specifica della giustizia alla storia stessa del costume di tutta la pubblica amministrazione italiana – ricordando tuttavia, per l’ambito della giustizia, l’ineludibile convincimento del Beccaria “secondo cui il segreto è il più forte scudo della tirannia” 4.
Ecco dunque che l’esposizione sulle Linee guida entra, grazie a questo argomento, nella necessità di orientamenti al tempo stesso pragmatici e flessibili ma esplicitamente tesi (Melillo) “sia alla pubblicabilità garantita per tutto ciò che non è normativamente reso segreto e al tempo stesso per assicurare la libertà di stampa rispetto a attitudini invasive ormai intollerabili“.
Il sostegno della cultura giornalistica al progetto delle linee guida (al di là delle convergenze fatte registrare dalle audizioni durante i lavori del gruppo di esperti sia dei rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti che dei rappresentanti della Federazione nazionale della Stampa 5 ) è stato espresso da Francesco Giorgino, conduttore del TG1 e docente di Sociologia delle comunicazioni, che ha parlato di “un impulso che le Linee guida assicurano attorno a culture e comportamenti di tipo proattivo da parte della magistratura in un ecosistema della comunicazione in grande attuale cambiamento“. Mentre Gianrico Carofiglio ha ricondotto la legittimità civile e culturale del progetto di riforma alla “necessità di comprendere il pieno superamento della non comprensibilità delle lingue del potere, che da sempre radicano l’oscurità nella pigrizia del gergo, nella narcisismo corporativo e nella funzione del potere non di includere ma di escludere”.

Queste pur non esaustive citazioni, rispetto alla più ampia argomentazione svolta attorno al documento presentato, costituiscono riferimenti inequivoci attorno alle intenzioni che hanno ispirato la redazione delle Linee guida. Esse riceveranno la valutazione del Plenum del CSM e dovranno poi trovare la strada, ancora da percorrere, della profilazione di una normativa secondaria applicativa che le renderà funzionali all’impatto organizzativo.
Chi qui scrive non condivise, anni fa, la determinazione di non applicabilità della legge 150 al sistema della giustizia italiana – al di là di aspetti tecnici che pure trovarono problemi poi risolti in amministrazioni delicate, come quelle degli Interni, della Difesa o degli Esteri – soprattutto per avere tolto a quel sistema, quindi a una ampia comunità di operatori pubblici, il naturale compenetrarsi nel dibattito applicativo che in questi quasi venti anni ha fatto maturare in molte amministrazioni italiane modelli organizzativi, culture professionali specifiche, un rapporto difficile ma necessario con le risorse finanziarie possibili e un rapporto di apprendimento con l’ evoluzione tecnologica della comunicazione.
Sta in questo aspetto l’apprezzamento che il vice-presidente del CSM Giovanni Legnini attribuisce ora al “senso storico” del provvedimento, che neutralizza una “legittimità” che finora ha coperto la non appartenenza a quella evoluzione e a quel dibattito. Pur con sperimentazioni, ambiti applicativi non uniformi, alcuni spunti di discussione. Lo stesso documento in questione descrive che, almeno dal 2010 6 , si sono ripetute occasioni di analisi e di maturazione di una “proattività” istituzionale di questo settore che ha preso ora un indirizzo progettuale più compiuto, da considerare come una notizia di rilievo proprio in un periodo di chiaroscuri delle dinamiche di modernizzazione delle istituzioni italiane.
Preme ancora segnalare l’importante accoglienza che le Linee guida esprimono circa la doppia valenza dell’approccio chiamato appunto “proattivo”: sia le prestazioni informative, sia le prestazioni comunicative. Chiarendo che “le prime riguardano i rapporti con i mezzi di informazione e devono essere caratterizzate da oggettività e trasparenza; le seconde i rapporti con avvocati, utenti e cittadini e devono semplificare le relazioni e favorire la piena comprensione di fatti e documenti”.

 

Note

[1] In occasione della presentazione del documento al prossimo Plenum del CSM esso sarà pubblicato anche in versione definitiva da Rivista italiana di comunicazione pubblica on line.
[2] Professore di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica (IULM, Milano), direttore di Rivista italiana della comunicazione pubblica.
[3] 21 giugno 2018.
[4] “Chi può difendersi dalla calunnia quand’ella è armata dal più forte scudo della tirannia, il segreto?” (Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, cap. XV).
[5] Le stesse rappresentanze dei giornalisti hanno dato notizia delle audizioni (ANSA, 27 aprile 2018).
[6] La prima risoluzione sulle modalità di comunicazione e sui rapporti con il pubblico venne approvata dal CSM il 26 luglio 2010. Tra il 2015 e il 2017 il documento delle Linee guida richiama eventi convegnistici che hanno visto la collaborazione del CSM e della Scuola superiore della Magistratura, anche in relazione al trattamento della questione dell’informazione e della comunicazione contenuto nella più ampia indagine su “identità, ruolo e immagine sociale dei magistrati italiani” promossa dalla SSM (a cura di N. Delai e S. Rolando) pubblicata da Franco Angeli nel 2016 con il titolo Magistrati e cittadini.

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