A pagina 136 del libro-intervista è scritto:
“L’agenda internazionale del nostro lavoro al Dipartimento era in un certo senso perfettamente parallela a quella degli impegni nazionali ma, in quel tempo, era anche profondamente contaminante. Anche prima di internet si percepiva (grazie alla televisione, in particolare) la dinamica globale del sistema cultura-media-comunicazione. Ma qui, parlandone, è impossibile ripercorrere quell’agenda in modo sintetico. L’unica possibilità è scegliere qualche spunto, soprattutto nelle direttrici più caratterizzanti gli impegni del tempo”.
Questa seconda parte è dedicata agli Stati Uniti d’America. C’erano materiali riguardanti tante esperienze compiute in diverse parti del mondo in quegli anni (Cina, India, Giappone, molti paesi nord-africani, quasi tutta l’Europa). Ma una selezione è inevitabile per contenere queste proposte entro la dimensione convenuta. Per comprensibili ragioni – soprattutto comprensibili in quegli anni – gli spunti sono qui limitati agli USA.
A pag. 137 del libro-intervista è scritto:
“Fu condotto in quegli anni un ampio lavoro di modernizzazione della rete informativa in lingua italiana che “nutriva” sentimenti e identità della nostra massiccia rete emigrata. Occasione personale – attraverso due ampie conferenze svolte a New York – anche per consolidare al tempo l’amicizia e la collaborazione con Piero Bassetti, allora presidente della rete delle camere di commercio italiane nel mondo, propugnatore di un nuovo rapporto con il mondo degli “italici”. Negli Stati Uniti d’America uno degli scopi era anche quello di tenere aperta la porta di molteplici apprendimenti con un paese che gestiva in modo esemplare la concorrenza e l’antitrust e che si apprestava a promuovere una rivoluzione tecnologica destinata a cambiare imprese, prodotti e consumi. Ma c’erano anche relazioni importanti con il Sud America ambito di vastissime e sviluppate realtà migratorie italiane. Tornai tra l’altro nel 1989 in Brasile progettando e coordinando a San Paolo un palinsesto di eventi sul tema “Va pensiero – Mezzi, processi, sistemi di comunicazione in Italia”, nel quadro del più ampio evento “Italia viva” promosso da Ministero Esteri e Commercio Estero per impulso di Renato Ruggiero (che era ministro Commercio estero) con il quale aprii una speciale manifestazione dedicata anche alla collaborazione nel campo mediatico tra Brasile e Italia. Nel 1991, insieme a Nadio Delai, battevo le università di Buenos Aires con un ciclo di conferenze sui cambiamenti dell’identità italiana e già allora usavo l’espressione “brand Italia”.
Foto
- Con Piero Bassetti (immagine di anni successivi, qui al Centro culturale “Francesco Saverio Nitti” di Melfi)
- Copertina del catalogo “Va pensiero – Mezzi, processi e sistemi di comunicazione in Italia “ (San Paolo del Brasile 1989)
- Con Nadio Delai (immagine di anni successivi, qui al Maxxi Museo di Roma)
A pagina 140 è scritto:
“C’era stata, da parte nostra, una coordinata e programmata attività contro la pirateria audiovisiva e informatica che stava dando concreti risultati. Così da riprendere finalmente il negoziato con gli USA per le procedure di infrazione contro l’Italia e ottenendo alla fine la recessione dalla “zona rossa”. Con queste premesse il governo americano mi aveva invitato a svolgere un viaggio di “scoperta” delle nuove frontiere della comunicazione in USA. Certo l’arrivo di internet fu una rivoluzione planetaria. E questa grande novità fu al centro di quel viaggio. Ma i nostri interlocutori istituzionali conoscevano il nostro lavoro attento che anche negli anni precedenti aveva riguardato le relazioni atlantiche. Sarei potuto stare in America almeno un mese sulla base delle opportunità del programma, ma avevo neppure dieci giorni a disposizione. Così quel viaggio (dall’1 al 9 aprile del 1995) fu molto interessante ma senza requie, con agenda strapiena, coast to coast, in larga parte in ambito di imprese, ma alla fine anche alla Federal Commission che regolava tutto il sistema delle comunicazioni. E alla Casa Bianca, ammesso al desk di chi lavorava sull’esposizione in rete del presidente Clinton e alla discussione con il capo del desk Italia che era il figlio dell’ex ambasciatore USA a Roma Gardner (…). Decisi di tenere un diario per la settimana e mezza di quell’esperienza. Dieci pagine al giorno. Arrivato a Roma la mostrai ad un amico ed ex collega della Rai, Giampiero Gamaleri, che era passato alla carriera universitaria e dirigeva una collana di comunicazione e media della casa editrice Armando. Uscì a spron battuto e fu presentato in aula magna alla Sapienza da Enrico Manca e Mario Morcellini. La notizia che conteneva era questa: ho visto internet in funzione reale e commerciale, voi in Italia ve ne accorgerete l’anno prossimo. In realtà vidi un sistema in evoluzione impressionante. La cosa più impressionante era la trasformazione radicale del diritto d’autore in base alla rivoluzione della rete. Lo dedicai “a tutti gli italiani che, dal 1492 in poi, hanno continuamente scoperto e riscoperto l’America”. E’ vero che avrebbe potuto sollecitare una voglia emulativa mantenendo la posizione in Italia, ma bastava ragionare un po’ a freddo per capire che il quadro non era nemmeno confrontabile”.
Foto
- La copertina del libro-diario sul viaggio in USA del 1995.
- Con Enrico Manca (foto precedente) di cui dal 1996 fui per alcuni anni vice-presidente dell’Isimm (Istituto di studi sull’audiovisivo e la multimedialità) da lui fondato.
- Alcune delle realizzazioni editoriali del Dipartimento tra gli anni ’80 e ’90 riguardanti le relazioni Italia-USA.
- Con il presidente del Consiglio Lamberto Dini (e signora) all’apertura a Villa Madama a Roma (settembre 2015) del Forum del Council of Radio&Television Museum di New York, presieduto da Henry Kissinger (cenni a pagina 141 del libro-intervista)
In molte parti del libro-intervista la vicenda internazionale si incrocia con le attività di comunicazione istituzionale del Dipartimento prioritariamente orientate verso i temi nazionali.
Per esempio a pagina 124 è scritto:
“Ci sono stati passaggi della complessità internazionale su cui Palazzo Chigi esercitava costante attenzione che, con una certa fierezza, abbiamo potuto decifrare con un forte avvicinamento alla verità (credo per esempio i fatti di Sigonella, per altro bene raccontati nel 2010 (Marsilio) da Gennaro Acquaviva e Antonio Badini nel recente La pagina saltata della Storia, e ci sono stati passaggi che malgrado ogni sforzo non sono andati al di là di ipotesi (penso per esempio alla vicenda giudiziaria che si sviluppò anni dopo l’abbattimento del DC9 Itavia da parte di un missile a Ustica). E ci furono anche delle vicende (come la guerra del Golfo, in particolare nell’estate del ‘90) in cui tentammo un coordinamento tra istituzioni (Presidenza, Esteri, Difesa) e TG Rai per tentare di “interpretare insieme” se la spina mai staccata da quella specie di videogioco che era la guerra missilistica andava se non staccata ma almeno mitigata accertando la natura del materiale che girava nell’etere del mondo. È vero che ogni redazione di un TG, per esempio della Rai, aveva come tuttora ha la medesima soglia di difficoltà e di responsabilità, in più con tempi limitatissimi nel far chiarezza per decidere il trattamento comunicativo. Noi avevamo più tempo, grazie ai tempi non quotidiani delle pubblicazioni. Ma sapere che la copertina era firmata con lo stemma della Repubblica allungava e appesantiva la tensione al comprendere. Quanto al controllo delle notizie, il passaggio delle bozze arrivava fino al mio tavolo. E dunque aveva molteplici letture che spesso miglioravano la compatibilità editoriale. Ma il punto che ci teneva lontano dalle “fake news” – che non è materia solo dei nostri giorni – era la predilezione dei “documenti”, dei testi di fonte istituzionale, dei discorsi pubblici, rispetto a pastoni interpretativi e commenti intrecciati che costituiscono preferenzialmente la materia dell’informazione “di mercato”. Il grosso delle funzioni è passato, nel tempo, dalla carta stampata alla rete. La delicatezza del trattamento della materia informativa da parte degli operatori istituzionali resta della stessa natura, oggi con gli appesantimenti che la natura stessa delle contaminazioni che agiscono nel web rende possibili ma che non devono diventare alibi per nuove forme di autocensura. Cioè per ritorni alla cultura del silenzio”.