Con questa pagina che tocca l’anno della promulgazione della legge 150/2000 – la legge di settore la cui elaborazione era cominciata negli uffici del Dipartimento Informazione della PCM nel 1994 – si conclude l’Album delle figurine, inteso come frammenti di immagini con citazioni tratte dalla parte centrale del libro-intervista “Il dilemma del re dell’Epiro“. Quel libro prosegue poi una narrativa sull’evoluzione recente, dal 2000 al 2018, centrata sia sull’esperienza universitaria che su quella istituzionale e civile. Qui – in questa stessa pagina – limitata ad una ventina di immagini che riproducono le copertine dei libri (23 per l’esattezza) dedicati in questi 18 anni all’evoluzione della materia, la comunicazione pubblica (in senso disciplinare, professionale e etico-civile)
A pagina pagina 169 del libro-intervista è scritto:
Cinque argomenti sulla legge 150 del 2000
- “Anche se tardiva, anche se un po’ corporativa, anche se non pensata con il futuribile tecnologico già avvertibile a metà degli anni ’80, quella legge resta una vittoria circa la legittimazione di una professione, di un settore della formazione, di un riequilibrio tra nuove forme della funzione pubblica rispetto alla missione burocratica di controllo. Nel 2005 coordinando il dossier di ricerca promosso dal ministro della F.P. Luigi Mazzella sul primo lustro di applicazione della legge, si percepì che l’esatta metà della PA italiana non l’applicava. Aggiungendo così ritardi a ritardi. Ma è chiaro che questo è il crinale dei percorsi lunghi non fulminei. Che ormai ha preso strade del tutto nuove connesse a temi che la 150 sfiora e in alcuni casi neppure prevede. Mi riferisco al rapporto tra semplificazione, accesso alle banche dati, interazione, implementazione dei servizi, eccetera, che sono ambiti non si sa esattamente se di estensione della comunicazione pubblica o di trasformazione qualitativa del lavoro delle burocrazie nel solco del consolidamento dell’idea che lo stesso pc che arreda ogni stanza di lavoro, anche la più sperduta, non è più uno strumento di lavoro ma un ambiente di lavoro. Poi c’è la questione del socialmedia, oggi ambito iper-investito con approcci superficiali, sia di rendimento, sia di corrispondenza ai criteri di accompagnamento e spiegabilità che è stato alla base di una cultura riformistica sulle funzioni di fondo della comunicazione pubblica”
- “Quella legge 150 è stata varata, alla fine, nel percorso bipartisan parlamentare, anche per accogliere la pressione dei giornalisti a legittimare posizioni di lavoro stabili occupate da iscritti all’Ordine. Un aiuto tra l’altro alle casse previdenziali e di assistenza della professione giornalistica che collassavano. Non un male assoluto. Perché la presenza di figure professionali con cultura giornalistica nelle amministrazioni introduce un irrobustimento del principio della “spiegabilità”, proprio per i caratteri di quella professione. Anche se ciò ha comportato due negatività: un eccesso di giornalistizzazione delle funzioni complessive (scelte spesso dal decisore politico, per propria personale convenienza, come la funzione principale) e una trama a volte equivoca nella dialettica tra amministrazioni e media.
- “Si parla qualche volta di 150 bis, ovvero di un aggiornamento complessivo di quella normativa che va verso il ventennio di vita. Molti dicono che – nel contesto attuale – si potrebbero ottenere risultati peggiori di ciò che quel contesto malgrado tutto esprime. Io ritengo che un’esercitazione istruttoria andrebbe fatta (se mi toccasse qualche ruolo connesso a questo ambito proverei dunque a proporre qualcosa di simile), con la prudenza e le sensibilità critica di chi ha visto e vissuto tutto l’iter precedente. E anche con lo sguardo ben fisso all’Europa e al quadro di evoluzione della materia sia in sede disciplinare che in sede professionale”
- “Circa la domanda sulle “modifiche” insisto ancora una volta sulla gravità di avere omesso i due articoli che prevedevano l’obbligo di istituire forme di “valutazione specifica” dell’efficacia della spesa comunicativa a favore dei cittadini, che sarebbe stato il fattore di riequilibrio permanente circa le molte involuzioni incontrate nell’attuazione della stessa legge 150. Ricordo diverse sensibilità negli organi che hanno influito sulla normativa generale e successiva. Mi confrontai con Franco Bassanini mentre era ministro della Funzione pubblica che riteneva impraticabile una funzione valutativa “ad hoc” rispetto alla regolazione del tema per tutte le funzioni sorrette da normative. Mentre Antonio Catricalà – al tempo in cui era segretario generale a Palazzo Chigi – avrebbe visto con favore uno sdoppiamento della autorità di valutazione insediata in materia di accesso per accogliere l’istanza di misurare costantemente l’andamento attuativo della legge sulla comunicazione. Di fatto nulla è stato portato a compimento e in assenza di contrasto è prevalso un certo afflosciamento delle aspettative attorno alle potenzialità di questa legge, anche in presenza della nota tenaglia: meno risorse, meno assunzioni”.
- “Ci sono poi spunti iniziali rispetto a cui la norma – diventata altro rispetto all’idea di “legge-quadro” – non è riuscita a dare forma. Ne dico uno che costituiva una consapevolezza forte maturata nel quadro di collaborazione con l’Istat che è iniziato negli anni ’90. L’idea di un legame forte tra la comunicazione pubblica e la statistica, ovvero l’opzione per nutrire i messaggi pubblici di “dati di realtà” e non di “percezioni dei cittadini”, privilegiando i sondaggi, come fanno quasi tutti i media. In tempi più recenti l’Istat – soprattutto con la presidenza di Enrico Giovannini – ha fatto balzi anche dal punto di vista delle tecniche comunicative, così da mitigare la critica alla noiosità e alla pesantezza del trattamento comunicativo dei dati dell’Istat. Ma questa cosa non ha trovato modo di essere regolata e così le istituzioni non hanno riequilibrato un processo mediatico tutto centrato sulle percezioni a danno evidente della qualità e della verità dell’informazione tra istituzioni e cittadini”.
Lo scaffale
Da quella legge quasi venti anni di trasformazioni, attorno a cui chi qui scrive ha operato soprattutto con lo stimolo della ricerca e della didattica universitaria, ma anche attraverso un concreto rapporto attuativo esercitato con varie responsabilità istituzionali, tra cui avere svolto per tre volte incarico di consigliere per la comunicazione di diversi ministri, Luigi Berlinguer all’Istruzione (1999-2000, Luigi Mazzella alla Funzione Pubblica (2004-2005) e Francesco Rutelli ai Beni Culturali (2007-2008). E altre esperienze nazionali (membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni) e internazionali (membro del Consiglio scientifico Unesco-Bresce). Qui oltre venti snodi della ricerca e della scrittura per seguire e spronare l’evoluzione disciplinare dal varo della legge a oggi.
1996 1998 1999
1999 1999 1999
2000 2001 2001
2003 2004 2004
2006 2009 2010
2011 2014 2015
2017 2018
(1998) – Fonda e dirige a Roma Rivista italiana di comunicazione pubblica trimestrale per l’università e le professioni, edita da Franco Angeli, Giuseppe De Rita presidente del Comitato scientifico. Margherita Drago caporedattore.
- La presentazione il 3 febbraio 1999 al Cnel con Giuseppe De Rita, Roberto Zaccaria, Paolo Gentiloni, Franco Pizzetti e altri.
- Il primo e l’ultimo fascicolo (dei 41 pubblicati trimestralmente su carta) della rivista che continua in rete (pagina su FB) con altri intermedi.