Su FB 25.9.2018 h. 18.09
Vorrei estrapolare dal quadro di più di 15.000 persone che hanno accolto la lettura della mia opinione sul “caso Casalino”, ovviamente non centinaia di casi di consenso, ma un caso tra coloro che pongono il loro dissenso non nella più coraggiosa resistenza ad oltranza del professionismo dell’ìnsulto (come mi pare voglia dire Di Battista) ma con “elzeviri di sinistra” in cui il mio linguaggio corrisponderebbe all’ermetismo burocratico della non spiegazione, della non chiarezza e quindi del “muro sociale”. Ecco l’opinione che la rete mi riporta. Ed ecco la mia replica.
Antonio Belloni ha condiviso una nota.
23 settembre alle ore 18:38 •
Notare come scrive chi “è stato per dieci anni a capo di…bla bla bla”.
Leggere fino in fondo. Un microscopico esempio di come il linguaggio possa diventare un ponte oppure un muro tra chi scrive e chi legge.
Come possa aiutare a connettere élites e persone comuni o essere usato come un’arma per marcare la differenza tra me e te, l’alto e il basso.
Come rimpiangere Edmondo Berselli…in questo caso il suo “Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia”.
Un caso da insegnare a scuola. Dove purtroppo finiscono spesso persone che hanno un sacco di risposte, e non aiutano a farsi domande, e quindi non considerano la lingua e la cultura come elementi che semplifichino la realtà, per comprenderla.
Stefano Rolando
25 settembre alle ore 18.09
“Marcare la differenza tra me e te, l’alto e il basso” ?
“Persone che hanno un sacco di risposte, e non aiutano a farsi domande” ?
Scusi, Belloni, lei è uno di noi, un umano del nostro tempo, laureato nella mia stessa università, eccetera.
Ma cosa scrive? Non le pare più semplice dissentire politicamente, come altri (in larghissima minoranza nel quadro di 15 mila persone che con mia sorpresa hanno accolto quella comunicazione) hanno fatto raccontando che io parlerei difficile mentre il portavoce in questione parla semplice e chiaro e così la gente come me capirà una buona volta il perché del “successo dell’antipolitica”.
No, lei fa credere al linguaggio riluttante e di classe, al muro tra me e te, alla saccenteria burocratica che non spiega, eccetera.
Guardi, lei può fare social-letteratura come vuole. Io le dico solo che trattandosi di una vicenda cruciale per un’alta istituzione,e quindi per tutti noi, il linguaggio non può essere quello del mercato all’angolo. Che quasi tutti hanno capito benissimo di che si trattava e la spiegazione connessa. Che per essere ancora più chiaro ho fatto pure il copioncino teatrale di ciò che – ricordo io bene quelle forme – un’istituzione direbbe applicando una ovvia procedura per ottenere le dimissioni volontarie prima di una ovvia sanzione.
Lei evita di prendere posizione sulla vicenda in sé. Questo è il punto. E se la vuol cavare con questa sterzata anti-burocratica? Si accomodi. Ma allora una domanda gliela pongo, come sono abituato a porle a me stesso, ai miei studenti e in generale al mio contesto sociale e professionale: cosa crede, che nella sciatteria di un paese diventato per metà analfabeta di ritorno, si raddrizza la barca abbassando il livello delle risposte agli “insulti vaganti”? E cosa crede, che un cittadino di buona volontà anche se magari poco istruito, attorno a una cosa che avverte come un’indecenza di etica pubblica, capisce meglio la banalizzazione o il coraggio della forma? Glielo dico perché io mi espongo, laddove purtroppo i dirigenti pubblici sono stati in questa vicenda finora nascosti sotto un tavolo e crede di trovare il suo “angolo visuale” andandosela a prendere con il “muro tra me e te”. Lei, che mette la mia storia personale in tre stizzose paroline (“bla,bla,bla”) quando per caso si trova davanti a un conflitto così evidente, pensa di cavarsela con la citazione berselliana dei “venerati maestri”?