
“LE CULTURE DELLA REPUBBLICA PER L’EUROPA” [1]
Le Fondazioni e gli istituti culturali proponenti
intendono con questo documento aprire un dibattito sui principali problemi
della crisi del nostro paese e dell’Europa, che necessitano di essere
affrontati in tutta la loro drammatica portata. Chi si riconosce nei valori
comuni delle culture fondatrici della Repubblica vede oggi messo a rischio di
oblio e di negazione lo spirito della Resistenza e della Costituzione, che ha
costituito la base per il contributo italiano alla costruzione dell’Unione
Europea. La nostra convinzione è che gli eredi di quelle culture non possano
ridursi al ruolo di testimoni del passato, ma debbano dimostrare capacità di
reazione e di progettualità nel presente.
Si tratta di discutere temi decisivi e tra loro interconnessi come la
delegittimazione delle classi dirigenti; le risposte nazionaliste alla
globalizzazione; l’impasse della democrazia rappresentativa; la sofferenza
dell’integrazione europea e del suo consenso popolare. Si tratta però anche di
reagire alla rassegnazione verso l’affermazione delle forze e delle idee che
alimentano queste tendenze. Partiamo dalla volontà di discutere e capire la
crisi della politica in Europa e in Italia in una chiave di ampio respiro e
svincolata dalla contingenza, nella convinzione che le tendenze nazionaliste e
“sovraniste” non rappresentino una soluzione, ma un problema ancora
peggiore.
La stessa vicenda politica recente rimanda a scelte strategiche sempre più
stringenti. La lunga trattativa tra Governo italiano e Commissione UE ha messo
in luce come un approccio meramente rivendicativo e una visione ristretta
dell’interesse nazionale non favoriscano, e anzi impediscano, una seria
discussione sulla riforma dell’Unione Europea, delle sue istituzioni,
dell’eurozona. Nello stesso tempo, l’Italia si è trovata isolata in Europa,
mentre una riforma autentica impone di stabilire alleanze attorno a progetti
credibili e consensuali, a partire dal rilancio di una crescita del reddito e
dell’occupazione sostenibile sul piano ambientale ed equa sul piano
sociale.
La retorica antieuropea che negli ultimi tempi ha invaso il discorso politico
italiano (ma anche di molti altri paesi) è infondata e autolesionista. L’Unione
Europea continua a essere una potenza economica globale, dotata di una moneta
forte. Le sue capacità di rispondere alla crisi globale del 2008 sono state
inizialmente limitate e criticabili, ma si sono rafforzate nel tempo. La
vicenda della Grecia ha mostrato che uscire dall’euro è visto come un salto nel
buio dalla maggioranza dei cittadini, la vicenda della Brexit sta mostrando
quanto sia oneroso e azzardato lasciare l’Unione. L’appartenenza all’Europa è
irrinunciabile sotto il profilo dei valori di progresso e civiltà politica che
affondano le radici nella ricostruzione democratica e repubblicana dell’Italia,
ma è altrettanto importante sotto il profilo degli interessi concreti e
materiali del nostro Paese.
L’Unione è quindi una realtà indispensabile per pensare il futuro stesso del
nostro Paese. Fare questa affermazione non significa occultare i suoi problemi
e le sue contraddizioni, ma inquadrarli nella loro giusta dimensione. Bassa
crescita e alta disoccupazione sono problemi cruciali da risolvere. Occorre che
i cittadini italiani ed europei si sentano coinvolti non semplicemente in un sistema
di vincoli, quanto in un progetto europeo dotato di una ampia legittimazione
politica e istituzionale, in grado di promuovere lo sviluppo, difendere il
welfare, rispondere in modo efficace alle crisi globali, a cominciare dalla
crisi dei flussi migratori. Diversamente il rischio di una disgregazione
dell’Unione potrebbe farsi reale, con conseguenze regressive e drammatiche per
tutti. Non vogliamo nasconderci quanto è avvenuto sul piano politico: nessun
governo della zona euro che abbia seguito le prescrizioni delle autorità
istituzionali europee è riuscito a sopravvivere ai confronti elettorali. La
Germania è naturalmente un caso a parte, ma la stessa coalizione che la guida
si trova in una situazione politica certamente non facile e non riesce ad esercitare
quel ruolo di aggregazione e di stimolo che le competerebbe.
Riteniamo che esista un nesso tra le difficoltà in cui si trova l’Europa e le
trasformazioni della globalizzazione nel contesto della crisi del 2008. Già
prima di essa, lo straordinario sviluppo dell’interdipendenza globale ha
prodotto forti resistenze identitarie, che attraversano in forma nuova e aspra
le sensibilità dei popoli. L’esplosione dei flussi migratori ha amplificato
enormemente questa tendenza, producendo la rinascita di sentimenti xenofobi e
di forze politiche pronte a sfruttarli. Lo spostamento della ricchezza mondiale
verso l’Asia ha prodotto la percezione di un impoverimento in Occidente, dove
le ineguaglianze della crescita mondiale si sono riverberate sulle classi medie
e sulle classi lavoratrici. Si è incrinato il nesso tra democrazia e
prosperità. Si è allentato il nesso transatlantico tra Europa e Stati
Uniti.
Siamo in presenza di una regressione visibile e pericolosa della democrazia
rappresentativa e liberale. Le idee e le pratiche delle “democrazie
illiberali” hanno attecchito in vari paesi europei, delineando una
risposta negativa alla mancata espansione della democrazia politica oltre i
confini dello Stato nazionale, che pure rappresenta la vera sfida e necessità della
nostra epoca. La questione cioè della democrazia nella dimensione
sovranazionale e della sovranità condivisa. È a questa che si deve dare
risposta. Costruire le passerelle giuste tra nazionale e sovranazionale, verso
l’alto e verso il basso, questo il problema culturale e politico che è dinanzi
all’Europa. Procedere decisamente alla riforma dell’eurozona, con gli Stati che
aderiscono all’Unione monetaria. Su questo si è aperta la discussione tra
Francia e Germania e su questo bisogna portare un contributo italiano. Può
essere l’inizio di una nuova Europa, più solidale, più sociale, più politica,
più globale e insieme più attenta alla cura dei propri spazi, dei propri
territori. È questa l’Europa per la quale vale la pena di battersi, di
impegnarsi.
Esiste un evidente rapporto tra crisi della democrazia europea e crisi della democrazia italiana. Molto più che altrove, è emersa da tempo in Italia un deficit di legittimazione delle classi dirigenti, anzitutto politiche, ma anche economiche, sociali e culturali. Le classi dirigenti del nostro Paese, salvo casi isolati, non hanno saputo prevedere o capire gli effetti “lunghi” della crisi globale del 2008. Si sono limitate a esorcizzare “il populismo” senza porsi il problema di come mantenere i rapporti col popolo.
Sul piano politico assistiamo, come conseguenza, allo stravolgimento di un corretto rapporto tra le istituzioni ed il sistema di pesi e di contrappesi tra i vari poteri propri di ogni autentica democrazia, alla crescente manipolazione della comunicazione politica e dell’opinione pubblica, a gravi forme di intolleranza verso la libera informazione.
Le Fondazioni che hanno espresso la loro adesione a questo documento[2] intendono promuovere una giornata di pubblico dibattito, coinvolgendo nella riflessione esponenti e soggetti della società civile, del mondo economico e della cultura italiana.
Fondazione Circolo
Fratelli Rosselli Valdo Spini
Fondazione Gramsci Silvio Pons
Istituto Luigi Sturzo Nicola
Antonetti
Fondazione Bruno Buozzi Giorgio
Benvenuto
Fondazione Socialismo Gennaro
Acquaviva
Fondazione Ugo La Malfa Giorgio La
Malfa
Fondazione Giulio Pastore Aldo
Carera
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Massimiliano Tarantino
Fondazione Giuseppe Di Vagno
(1889-1921) Gianvito Mastroleo
Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento
Operaio e Democratico Vincenzo Vita
Fondazione Pietro Nenni Carlo
Fiordaliso
Fondazione Giacomo Matteotti Angelo
Sabatini
Fondazione Giacomo Brodolini
Giuseppe Ciccarone
Fondazione Francesco Saverio Nitti
Stefano Rolando
Fondazione Luigi Einaudi Roma
Giuseppe Benedetto
Forum per i Problemi della Pace e della
Guerra, Firenze Anna Loretoni
Circolo Riccardo Lombardi di Ancona
Diego Franzoni
Circolo Giovanile “I Pettirossi”
Rosa Fioravante
[1] Testo integrale dopo la conferenza di presentazione all’Istituto Luigi Sturzo a Roma del 7 marzo 2019.
[2] Si ringraziano per il loro contributo alla stesura del documento – che rimane esclusiva responsabilità dei firmatari – Alessandro Barbano, Pier Luigi Ciocca, Biagio Di Giovanni, Ugo Intini.