
Articolo pubblicato sulla rivista Mondoperaio n.3/2019 [1]
Le ceneri di Lussu
Il Partito Sardo d’Azione raggiunge il 10% che conferisce a Salvini in cambio del franchising comunicativo “Prima i sardi”
Stefano Rolando
Ho riflettuto qualche giorno prima di decidermi a prendere la penna per parlare di un evidente ossimoro politico: il Partito Sardo d’Azione – erede di Emilio Lussu, combattente di Giustizia e Libertà, azionista e socialista, costituente democratico e convinto autonomista pur fedele alla Nazione, coerente figura della sinistra italiana – diventato alleato decisivo per le sorti del centrodestra in Sardegna. Alleato che ha stretto un accordo di ferro con Salvini e la sua Lega ormai con gli ormeggi politici staccati dal “nord assoluto” (un po’ meno quelli antropologici e diciamo così culturali), dopo avere sperimentato già alle elezioni di marzo 2018 questa un tempo nemmeno immaginabile alleanza per conquistare, nel gruppo parlamentare di Salvini, un posto in Senato che aveva fruttato al suo leader Christian Solinas – oggi governatore sardo – il posto di vice-presidente della Commissione Bilancio.
Ho messo sotto “processo morale individuale” questo fatto, appunto come si fa con i “processi”: raccogliendo le carte, ascoltando esperti e testimoni, percependo lo sdegno ma anche il sostegno che Solinas ha ricevuto in Sardegna, cercando di comprendere il tema di un partito storico forse avviato a declino e cercando di valutare fino a che limite si può condurre una spigliata rigenerazione politico-elettorale ben inteso nella stagione post-ideologica in cui viviamo, per alcuni anche con cancellazione della separatezza tra destra e sinistra.
Ho concluso il mio breve “inventario”, che non è l’operato di un giudice imparziale ma da chi ha cercato di recente di rianimare in chiave post-azionista, pensiero e insegnamento civile dell’azionismo italiano. Prima di arrivare al mio giudizio di condanna e al mio dispositivo sdegnato, mi sforzo di raccogliere argomenti che spieghino anche le scelte del neo-presidente sardo Christian Solinas.
La trasformazione genetica
Parto dall’uscita imminente del mio libro Post-Azionismo [2], con prefazione di Emma Bonino, che contiene due pagine dedicate a Lussu. Anzi a Emilio Lussu e a Emile Chanoux (nome uguale per entrambi), grazie al libro di Gianmario Demuro e Robert Louvin[3] discusso poco tempo fa insieme a Roma e dedicato a questi due limpidi campioni dell’autonomismo sardo e valdostano. In quell’occasione Robert Louvin, professore universitario nel campo del diritto pubblico comparato e già presidente della Regione Valle d’Aosta, mi scrisse il suo immediato sì a presentare quel libro a Roma con queste parole: “Sarebbe bello se – anche a partire da questa iniziativa a Roma – ci fosse un tentativo di riscoperta culturale di Lussu, rimasto ingiustamente “schiacciato” tra le grandi figure politiche del dopoguerra. La sua biografia scritta da Giuseppe Fiori (Il Cavaliere dei Rossomori) mi ha impressionato, perché ne avevo un ricordo quasi esclusivamente letterario. Alessandro Galante Garrone nel 1975, dopo la scomparsa di Lussu, scrisse: “Un uomo di cui l’Italia oggi avrebbe disperatamente bisogno”. Insomma, penso che ci sia materia per fare qualcosa di serio su Lussu e so che anche tu non sei insensibile al richiamo dei vecchi galantuomini del Partito d’Azione”.
Come si vede per smuovermi dall’idea che si possano usare certe eredità in modo non solo disinvolto ma anche prescindendo da ogni principio di coerenza sarebbero necessarie bombe atomiche. E dico subito che non considero una bomba atomica l’idea di vendere l’anima al diavolo se il ciclo di vita di una storia politica e di una idea si è elettoralmente consumato. Le vicende dei socialisti italiani a partire dalla seconda metà degli anni ’90 hanno già prodotto un notevole quadro metodologico di questa discussione. E se si va ora a prendere la tardiva testimonianza di chi ha creduto possibile mettere al riparo una grande tradizione sotto l’ombrello sbagliato, si vede che per lo più (dico per lo più, non integralmente) c’è rammarico e resoconto di un errore. Meglio la penombra di qualche fondazione che custodisce le memorie, che il tentativo di tenere in partita una vecchia idea cambiandogli casa, arredi, corredi, linguaggi, suppellettili e decorazioni? Dovessi rispondere io propenderei naturalmente per il sì.
Christian Solinas è nato a Cagliari il 2 dicembre 1976, all’origine nella scia della dc cagliaritana (al seguito di Mario Floris, sindacalista della Cisl, poi anche presidente della Regione), diventando così presidente dell’Ersu, l’ente regionale per il diritto allo studio universitario, nel cui quadro firmava come “dottore” non essendo ancora laureato in legge (lo sarà il 12 dicembre del 2018 discutendo la sua tesi all’Università di Sassari) ma vantando un titolo di un “Leibniz Business Institute” non riconosciuto dal MIUR, poi eletto nel 2009 consigliere regionale nelle liste del Partito Sardo d’Azione e assessore dei Trasporti nella giunta di centrodestra guidata da Ugo Cappellacci, dal 2015 segretario del PSd’Az, negoziando negli ultimi tempi il posizionamento del partito tanto a sinistra quanto a destra (in Sardegna lo ricordano così tuttavia già al tempo del negoziato tra Renato Soru e il Psd’Az a guida di Giacomo Sanna) e alla fine optando per stabilizzare l’alleanza con il centrodestra grazie in particolare al rapporto con la Lega di Matteo Salvini.
Lo stesso Solinas ha dovuto rintuzzare molte critiche nel quadro di questo rapporto con la Lega che gli ha permesso prima di arrivare in Parlamento e poi di vincere le elezioni per guidare ora la regione sarda a statuto speciale. Ha detto: “In molti hanno polemicamente citato Lussu, affermando che si stava rivoltando nella tomba, in realtà ad Armungia, il suo paese natale, ho vinto e il Psd’Az in generale ha raddoppiato i suoi voti»[4]. E ora per smarcarsi dalle polemiche Solinas, se deve ricordare le origini dell’azionismo sardo, dice: “Siamo gli eredi dei reduci della gloriosa brigata Sassari e portiamo sempre nella testa e nel cuore i 13.602 nostri giovani che non sono tornati dalla Grande guerra”[5].
Dall’autonomismo al localismo
Quale è il contesto di cultura politica che rende oggi possibile questo trasformismo?
Ricorro alla testimonianza competente di uno storico del livello di Guido Melis che non data a ieri o a ieri l’altro fenomeni ora così diffusi. “La radicalizzazione del voto nel localismo è crescente in Sardegna, come altrove – osserva Melis – e tende a marginalizzare simboli, bandiere, tradizioni di culture politiche più nobili per limitarsi a ciò che i sardi chiamano “su connottu”, ovvero “il conosciuto” (da cui prendono il nome le rivolte popolari nel nuorese del 1868). In questa cornice la rete delle piccole clientele va assumendo rilievo generalizzato. La figura del geometra che confida nel condono per sistemare gli abusivismi suoi e dei suoi clienti è un caso ormai di scuola. L’ultimo contrasto a questa devastazione è avvenuto al tempo di Renato Soru. Ormai questo sistema ha soppiantato anche il notabilato degli “avvocatoni” e ha trasferito a una sorta di tribalismo articolato il controllo del voto. Un fenomeno ancora non molto studiato dalla sociologia politica, ma certo che facilita l’affermazione di politici carrieristi e senza progetto. Nel caso in questione una spalla preziosa per una Lega senza rappresentanti che voleva crescere anche nell’isola disposta a lasciare i comandi a esponenti più dediti al “posizionamento” che alla “cultura politica”. Povero Lussu, insomma, pare proprio che sia inevitabile che si rigiri nella tomba, per quanto lontana dagli echi della Sardegna, dato che l’insigne azionista e socialista, nato nel 1890 e morto a Roma nel 1975, riposa, con la moglie Joyce, al cimitero acattolico di Roma, poco lontano dalla tomba di Pasolini e di Labriola. “Già si scagliò con dure parole – dice ancora Guido Melis – quando il vecchio PSd’Az scivolò verso posizioni centriste, figuriamoci ora!”. E tuttavia sulla trasformazione ormai compiutasi del ramo sardo dell’azionismo italiano merita ancora di indagare un po’. E lo facciamo con chi, a diverso titolo, si è occupato della sua complessa figura (fu militare, politico, parlamentare, ministro, intellettuale e letterato).
Riprendendo intanto un’altra argomentazione di Christian Solinas che investe il diritto della politica ad “adattarsi ai tempi”: “Il Psd’Az nasce federalista in tempi non sospetti nel 1921, diviene autonomista nel secondo dopoguerra ed imprime una svolta indipendentista nei primi anni ’80 con i Congressi di Porto Torres e Carbonia. Siamo sempre stati un’avanguardia ed abbiamo saputo interpretare i tempi. Guardi il calendario, siamo nel 2019 e non è pensabile usare lo stesso linguaggio di trenta o quarant’anni fa. L’indipendentismo oggi ha ragioni e significati nuovi, pretende in primo luogo una declinazione in termini economici e culturali: senza l’indipendenza economica è difficile anche solo postulare maggiori spazi di autogoverno. Oggi occorre riaffermare i propri diritti, la propria cultura, la propria identità, avere riconosciuti e compensati gli svantaggi strutturali dell’insularità per aumentare il Pil della Sardegna e con esso il benessere e la ricchezza dei sardi. Da qui dobbiamo partire per una vertenza serrata con l’Italia e con l’Europa”[6].
E tra stampa critica e rete a supporto c’è anche chi il bilancio lo fa sui numeri e non sugli aggettivi. Scrive, per esempio, Massimiliano Lussana: “Mettendo uno dietro l’altro fatti, e non opinioni, Solinas segretario del partito di Emilio Lussu, ha: a) riportato un parlamentare del Psd’Az a Roma, cosa che non avveniva dal 1996, quando Franco Meloni venne eletto nelle liste dell’Ulivo; b) riportato il nome del Partito sardo d’azione negli atti parlamentari, cosa che non avveniva da ancora più tempo, e grazie al suo accordo con Salvini il gruppo del Carroccio al Senato ha aggiunto il nome sardista alla ragione sociale; c) eletto il secondo presidente sardista della Sardegna dopo Mario Melis, il primo con l’elezione diretta; d) fatto diventare il Partito sardo d’azione, che rischiava l’irrilevanza dopo una grandissima storia, la terza forza dell’isola con un 9,9 per cento che è il vero dato di queste elezioni, non lontano da Pd e Lega”[7].
Naturalmente la vecchia guardia azionista insorge. Maria Isabella Puggioni, figlia di Luigi Battista Puggioni, che fu dal 1943 al 1945 segretario del Psd’Az, segnala che una battaglia interna c’è stata ma con esito perdente: “Abbiamo contrastato con tutte le nostre forze la deriva antidemocratica, antiliberale, pronta a tradire lo Stato di diritto di questi ultimi decenni. Questo Solinas non ha esitato un momento a vendere il Partito Sardo d’Azione alla Lega, alla destra più becera, a Salvini. Nessuna sorpresa. Che cosa aspettarsi dopo governi della sinistra e della destra che hanno così mal governato. Saranno anni molto duri e ho poche speranze nella nascita in breve tempo di un’opposizione capace di proporre un’alternativa credibile democratica e liberale che possa coinvolgere la gente farci tornare a sperare in uno Stato di diritto e ad una vera democrazia”.
Mezza Sardegna in astensione
L’affluenza al voto segnala in Sardegna un’astensione che lambisce la soglia critica del 50%, pur con 24 liste in larga parte più espressione di dispersione che di partecipazione. La coalizione di centrodestra ha vinto con il 47,81% dei voti espressi; il centrosinistra (che candidava il sindaco di Cagliari Massimo Zedda) si è fermato al 32,93% pur collocando oggi il PD come primo partito nell’isola; M5S ha visto regredire precedenti consensi all’11,18%. Questo rapporto di forze è stato già ampiamente commentato, in coerenza con quello delle recenti regionali e nel quadro di una certa evoluzione rispetto alle tendenze delle politiche del marzo 2018. L’apporto del 9,9% del PSd’Az, un vero exploit, ha rappresentato per il centrodestra un fattore determinante. Questo è il tema che induce ad approfondire se ormai i ponti con il passato sono rotti per quel segmento elettorale un tempo orientato a sinistra, oppure se la spinta al “localismo” fa raccogliere consensi in cui l’alleanza tra Lega e sardoazionisti mobilita una ampia domanda di “sovranismo” a scala regionale. “In verità le due anime dell’intransigenza e della disponibilità al miglior accordo il PSd’Az se le porta appresso da sempre – dice il giurista Gianmario Demuro, ordinario di diritto costituzionale a Cagliari e studioso anche della figura di Emilio Lussu – con trasformazioni che hanno segnato i tempi: prima la scomparsa di quella che Lussu chiamava la “falange rurale”, poi in anni più recenti con la fuoriuscita della corrente di sinistra che ha preso il nome non casualmente di “Rossomori” e che è rimasta rappresentata fino all’ultimo in Consiglio regionale”. E sul tema del “localismo”, ancora Demuro: “Il Psd’Az riprende lo slogan di Salvini “Prima gli italiani” adattandolo alla Sardegna, “Prima i Sardi”, cercando di dare a ciò il significato della lotta all’impoverimento. Che a guardare bene tuttavia diventa l’esatto opposto dell’autonomismo, che comporta assunzione di grande responsabilità per governare meglio degli altri, mentre qui è una semplice declinazione regionale del nazionalismo velata di cultura assistenzialista”.
Nel simbolo dei “quattro mori” – ormai tutt’uno con la simbologia regionale – ma adottato politicamente dal PSd’Az nel 1921 all’atto della sua costituzione si celano ancora oggi ambiguità interpretative, attorno al simbolo dei “quattro giudicati” (ripartizione originale del territorio sardo) o attorno alle vittorie spagnole contro i saraceni (i quattro re saraceni uccisi in battaglia). Di fatto nell’età recente l’atto politico più autonomista non è stato compiuto dal Psd’Az ma da Francesco Cossiga che nel 2006 depositò in Senato un ddl costituzionale per “la costituzione della Comunità autonoma della Sardegna” e quindi per riscrivere lo Statuto speciale in chiave profondamente autonomista ma nel senso proprio di Lussu: “nazione sarda distinta ma nell’ambito della nazione italiana”[8]. Gianmario Demuro non riscontra più questa filigrana nell’evoluzione del Psd’Az: “Essa sta comunque fuori dai partiti e forse qualche traccia l’ha espressa Massimo Zedda, nel suo civismo segnale di buon governo della città di Cagliari, ma è ormai materia distante dai partiti tradizionali”.
Quale è allora il contesto da affrontare per una politica innovativa che non voglia misurarsi solo a chiacchere in dialettica con gli esiti di cambiamenti in Sardegna a loro modo in linea con l’imprevedibile quadro politico nazionale? Ancora Guido Melis ragiona sulla creazione di un nuovo tessuto della rappresentanza che questa trasformazione genetica del PSd’Az interpreta bene, grazie appunto all’adattamento ai tempi a cui si richiama Solinas: “Alla fine la stessa Lega in Sardegna è solo al 12%, il 12 sul 43 della coalizione. Il punto importante di queste elezioni è il dato modesto dei partiti (salvo il Psd’Az, che però non è un partito tradizionale) rispetto alle coalizioni. Vincono le liste aggregate, ognuna rappresentativa di filiere locali, familiari, spesso clientelari. Vince chi nasce nel territorio senza progetti generali. Chi interpreta evidentemente domande limitate e si raggruppa intorno a candidati “vicini” all’elettore. Vero che si tratta di regionali, che si è votato col proporzionale, che la legge elettorale prevede il voto disgiunto. Vero. Ma resta la novità di questi grappoli di liste lontanissime dal partito”.
Emilio Lussu [9]
Avvocato,
scrittore, leader politico e leggendario combattente, Emilio Lussu fu una
figura di grande rilievo della cultura sarda e italiana. Nacque ad Armungia nel
1890 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Partecipò alla prima
guerra mondiale come ufficiale della Brigata “Sassari”,
distinguendosi per lo straordinario coraggio, l’umanità e il grande carisma. Fu
tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione. Dal 1921 al 1924 fu deputato e si
schierò apertamente contro il fascismo. Venne confinato a Lipari nel novembre
del 1927. Durante il confino, ebbe modo di conoscere Fausto Nitti e Carlo
Rosselli, con i quali organizzò un’avventurosa fuga nel 1929 che lo portò esule
a Parigi. A questi anni risalgono le maggiori opere letterarie maggiori:
“La catena” (1929) e “Marcia su Roma e dintorni” (1933),
avvincente testimonianza autobiografica relativa alle vicende del decennio
1919-1929. Nel 1936, durante la convalescenza seguita ad un delicato intervento
chirurgico ai polmoni, scrisse “Teoria sull’insurrezione”, trattato
sulla guerra partigiana. Nel 1936-37 compose l’opera più famosa, “Un anno
sull’altipiano”, profondo e ironico diario del secondo anno di trincea
nella grande guerra. Terminato il conflitto, nel 1945, fu ministro del governo
Parri e del primo governo De Gasperi. Nel 1946 fu deputato dell’assemblea
costituente e, abbandonando il Partito Sardo d’Azione, confluì, con la corrente
di sinistra del suo partito, nel Partito Socialista Italiano. Si spense a Roma
il 5 marzo del 1975.
[1] Mondoperaio n.3/2019 (da pag. 61 a pag, 64 del fascicolo)
[2] Editoriale Scientifica, febbraio 2019.
[3] Gianmario Demuro, Roberto Louvin – Emilio Lussu-Emile Chanoux. La fondazione di un ordinamento federale per le democrazie regionali, Edizioni Le Chateau, Aosta, 2017.
[4] https://www.vistanet.it/cagliari/2019/02/25/cristian-solinas-e-il-neo-governatore-della-sardegna-da-domani-si-inizia-a-lavorare/#infinitescroll
[5] http://www.lanuovasardegna.it/regione/2019/02/28/news/solinas-con-me-la-sardegna-sara-di-nuovo-felice-1.17777527
[6] Ancora nella lunga intervista pubblicata da La Nuova Sardegna a firma di Umberto Aime (28.2.2019).
[7] Una nota d’opinione in rete su notizie.tiscali.it
[8] Emilio Lussu, Sardismo e federalismo (scritti 1932-38) in Per l’Italia dall’esilio (a cura di Manlio Brigaglia), Edizioni della torre, Cagliari, 1976.
[9] Dal sito della Regione Sardegna http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=20126&v=2&c=2475&c1=2734&visb=&t=1