
Ho il ricordo di una persona che avendo lavorato all’estero (Europa allora non comunitaria) per undici anni direttamente per una istituzione italiana non ottenne la cittadinanza italiana dopo una lunga e meticolosa verifica di tutta la documentazione fatta dal Viminale. Cosa che fu molto dannosa per la sua vita e nel merito anche ingiusta. Niente da fare. Alla fine di quella lunga istruttoria qualcosa mancava per ottenere la validazione. Non faccio questo riferimento per lodare la lenta e spesso inesorabile burocrazia italiana. Dico solo che la pubblica amministrazione agisce con un plurale sistema di valutazioni che rendono alla fine possibili, perchè corrispondenti a norme, ricorsi in sede di giustizia amministrativa. Lungaggini, errori e qualche svarione sempre possibili. Ora – sia pure nel quadro di un evento da “prima pagina”, che ha messo i sentimenti dell’opinione pubblica allo scoperto – la decisione sulla cittadinanza italiana a un minorenne, meritevole di ogni elogio civile, avviene con la seguente procedura: il ministro di riferimento prima dice di no per non cedere in termini di principio sulla materia dello “ius soli”, poi ci pensa su una notte e vedendo l’andamento dell’opinione pubblica e dei media, cambia idea e dice di sì. L’altro partner di governo – che a sua volta ha visto l’onda demoscopica e mediatica – si affretta a dire che è lui che, alla buona, lo ha convinto. Ed è così che il ministro di riferimento svela allora la vera ragione “tecnica” della decisione: “è come mio figlio”. Non siamo favorevoli all’Italia burocratica, impersonale, priva di sentimenti civili. Ma non siamo nemmeno entusiasti per questo ritorno – con queste forme – alla procedura dei valvassori e valvassini, signorotti non dello “ius soli” ma dello “ius vitae ac necis” del diritto romano che da duecento anni è fuori legge dalle nostre leggi.