
Stefano Rolando [1]
Parto da un dato di ricerca empirica sul distacco generalizzato dei giovani dall’idea di una “identità europea”. Ho reiteratamente constatato – sul campione di alcune centinaia di studenti universitari in aula – che quasi nessuno segnala una “prevalente” identità europea e che un’esigua minoranza comprende l’identità europea nella personale compresenza di identità/appartenenza. Questo riscontro, che nega o comunque minimizza i caratteri affettivi e valoriali dell’appartenenza, è un indizio di una generalizzazione che emerge da indagini e da fatti concreti (anche la Brexit, con i giovani inglesi per lo più contrari ma incapaci di mobilitarsi per un voto massiccio a favore del “Remain”).
E’ dunque necessario riconquistare i giovani (e non solo loro) in termini ideali e valoriali all’idea di Europa.
Sapendo che la netta divisione tra governi e popoli (insieme) che hanno concepito gli uni l’identità europea solo come “il mercato” e gli altri come “identità politica” ha polarizzato in forma così conflittuale l’offerta di comunicazione sull’Europa da renderla quasi pari a zero. A ciò si è aggiunta la stagione più recente con parte dei soggetti nazionali membri della UE ancora capaci di una narrativa “europeista” e l’altra parte con orientamenti nazional-populisti-sovranisti. Anche qui l’antagonismo interno ha pesato sul rifugio della comunicazione nelle forme tecnico-procedurali.
Un’Europa senza racconto ha così accentuato per i giovani un’idea scontata dei suoi “valori” (pace, progetti, libertà, mobilità, eccetera). Valori scontati significa identità marginale. Per i giovani e non solo per loro. Anzi questa marginalità può essere letta in modo più articolato quanto a motivazioni. Nella gerarchia delle motivazioni infatti (che implicano il vissuto sostanziale di diritti e doveri) dei cittadini europei l’Europa appare marginale a causa di tre invisibilità:
- la citata dimensione “scontata” (non solo la lontana pace, ormai anche la conquista recente della moneta);
- la dimensione “tecnocratica” (ovvero riguardante solo gli “addetti ai lavori” cioè la centralità delle procedure negli equilibri intergovernativi e comunitari della UE, procedure necessarie ma estranee dalla comprensione della gente);
- la dimensione “falsificata” (cioè il peso ancora degli stereotipi delle differenze che in realtà non appartengono più in quella forma ai dati di realtà; a cui si aggiunge il “trasferimento di colpa” sull’Europa per difficoltà e crisi interne a molti paesi).
Senza ricostituire una base di sentimento civile, ogni idea di migliorabilità dell’Europa è destinata solo agli addetti ai lavori. Da qui lo spunto di considerare la battaglia per promuovere un rinnovato “patto identitario” sul ruolo e sul destino dell’Europa come un’opportunità per ricollocare in questo cantiere l’ampliamento di quel sentimento. Ben inteso non si tratta solo di un artificio comunicativo/emozionale. Ma la necessità di far corrispondere riforme funzionali a rigenerazione dei contenuti partecipativi. Insomma un modo per rilanciare il “patto di cittadinanza”. Con due avvertenze di natura politica:
- innanzi tutto un proposito circa la campagna elettorale: non bisogna lasciare la partita identitaria nelle mani della destra sovranista, nazionalista e localista; ma declinare il tema risalendo a valori e battaglie che appartengono al filone liberale e democratico della cultura politica europea;
- in secondo luogouna altrettanto chiara puntualizzazione: per molto tempo la parola “federalismo” è stata pronunciata e intesa nel suo senso originario (basti pensare all’uso dei federalisti americani contro i secessionisti antifederalisti), quello di “unire”; mentre la Lega è stata capace, nello stravolgimento concettuale e politico fatto del termine, di farla ormai interpretare in Italia come secessione o al minimo, certamente, come divisione.
Il rilancio della formula degli “Stati uniti d’Europa” può avere diverse vie. Un progetto di riforma costituzionale della UE è stato riproposto dal Movimento Europeo[2]: il federalismo inteso come ridisegno sostenibile del concorso reale del sistema dei territori europei al campo decisionale finora riservato ai soli Stati contraenti. Nella consapevolezza che questo progetto per passare dovrebbe superare una prova durissima, quella di ottenere la revisione costituzionale di ciascuno degli Stati membri. Per cui esso potrebbe anche contenersi nell’ambito di un protocollo di pochi ineludibili punti valoriali fondamentali (tra cui l’obiettivo federalista) che rinviano poi adattamenti ad altro genere di provvedimenti.
Comunque un federalismo inteso anche come ridisegno di una nuova possibile identità perimetrale delle reali appartenenze degli europei. Tenendo conto che per la maggior parte dei paesi nuovi aderenti (l’area dell’Europa dell’est) pesa poi il problema del macigno storico della perduta identità a favore dell’assorbimento per cinquanta anni nell’identità pan-sovietica. Cosa che produce reazioni emotive iper-nazionalistiche di fronte ad una ulteriore cessione di sovranità identitaria a favore di una imprecisata capitale, un imprecisato governo, una imprecisata bandiera, un imprecisato Stato, cioè l’Europa. Reazioni affrontabili solo con un progetto federalista che parta dalle condizioni reali dell’incidenza della storia.
Insomma serve un ridisegno di ingegneria costituzionale europea capace di riflettere non solo il vantaggio competitivo nella globalizzazione o il rilancio della funzionalità dell’infrastruttura istituzionale e legislativa, ma anche di riargomentare l’equilibrio identitario perduto o mai raggiunto dalla UE, malgrado i successi “costituzionali” rappresentati dai suoi anche recenti Trattati. In questo ridisegno la dimensione “territori/città” gioca un ruolo non immaginato nella storia politica dell’Europa, se non risalendo al pensiero federalista ottocentesco (Carlo Cattaneo) e che oggi torna come fattore rilevante negli equilibri naturali ai processi di globalizzazione e come dato di trasformazione delle economie soprattutto urbane (città cresciute nella rappresentanza di interessi, conoscenze, culture delle classi dirigenti).
Vanno messe in campo quindi concrete misure che determinino comprensione e partecipazione. Capaci di mobilitare cose che si predicano spesso nei convegni ma che si fermano poi nelle conflittualità tra la vocazione intergovernativa e quella “comunitaria” che si esprime nelle stesse istituzioni della UE:
- l’attenzione alle compresenze identitarie deve risultare pari all’enfasi attorno all’idea stessa di Europa;
- essa deve disegnare opportunità co-decisionali secondo un progetto sostenibile di democrazia partecipativa;
- essa deve contenere un robusto vincolo di “spiegabilità” connesso con la posta in gioco che deve essere avvertita come “rigeneratrice”;
- l’inquadramento di politiche fiscali tese a premiare la capacità dei territori di comprendere in ogni dettaglio la progettazione europea dello sviluppo.
Più Europa per i suoi convincimenti costitutivi, per la presenza di soggetti portatori da sempre di istanze federaliste (tra cui Partitodiazione è, per i suoi riferimenti ideali, naturale parte) certamente per la riflessione matura che sta svolgendo attorno alle resistenze che una parte dell’Europa sta esprimendo attorno all’idea di Europa e attorno ad una comunicazione “affettiva” sull’Europa, è il soggetto che si candida a lavorare – nei due Parlamenti e nel sistema sociale – per sostenere:
- la riproposta dell’obiettivo federalista;
- il nesso tra federalismo europeo e risagomatura dell’autonomismo territoriale;
- la declinazione concreta delle misure prima accennate.
Da qui anche la derivata interna nella vicenda politica italiana di una
critica alla modalità di affrontare la visione dell’autonomismo nel modo “a
strappo” e senza progettazione complessiva (territorio nazionale /Europa
federale) che è stata impressa con il progetto di alcune regioni di “autonomia differenziata”, pur facendosi
carico di sollecitazioni anti-centralistiche oggi necessarie, ma
contestualizzando il progetto proprio nella contraddizione di un quadro
politico che da un lato spinge in modo puramente comunicativo sul tema e
dall’altro conferma opzioni economiche e istituzionali tutte ispirate a
neo-centralismo.
[1] Intervento di Stefano Rolando (Università IULM Milano, presidente Partitodiazione, membro della direzione nazionale di Più Europa) al meeting del lancio della campagna elettorale europea di Più Europa (Firenze, 7 aprile 2019). Al panel “Federalismo, territori e città”, coordinato da Valerio Federico, hanno preso parte Dino Guido Rinoldi, Stefano Rolando, Enrico Cicioti, Alessandro Sterpa, Andrea Morrone, Stefano Morcelli, Luca Perego.
[2] Il testo integrale del documento al link http://stefanorolando.it/?p=2122