


Evento promosso dal Comune di Melfi, dalla Fondazione Nitti, dall’Associazione Nitti e dall’ANPI al Centro Culturale Nitti per il 74° anniversario della Liberazione
L’intera registrazione dell’incontro (che comprende anche questo intervento) è al link
https://www.facebook.com/fondazionenitti/videos/2275462795870925/UzpfSTExNTEzNzgyNjU6MTAyMTgzOTcyMzIyOTk0MTU/
Stefano Rolando [1]
Melfi 24 aprile 2019
Come è tradizione, da anni qui al Centro culturale Nitti la ricorrenza dell’anniversario della Liberazione non è retorica del calendario e neppure il solo ripetersi della storia di una figura – a cui è intitolato questo Centro e la fondazione che presiedo – che certo pagò un alto prezzo per il suo “no” al regime, forse il prezzo più alto – insieme a Piero Gobetti e a Giovanni Amendola – pagato, lo dico in senso lato, dalla famiglia politica liberale italiana per il fermo antifascismo dimostrato. Nel suo caso la casa fatta a pezzi, gli insulti pubblici per anni, venti anni di esilio in Francia, poi l’arresto in tempo di guerra da parte dei nazisti e il ritorno a Roma nel 1945.
Abbiamo raccontato qui la storia di illustri italiani al confino di Melfi. Con i loro figli e i loro nipoti. Tra di essi Manlio Rossi Doria ed Eugenio Colorni.
Abbiamo raccontato la trama, nella Francia d’esilio di Nitti stesso e di Pertini, di una rete che negli anni d’espatrio ha creato alla Liberazione le condizioni di una parte importante di ricostituzione di una classe dirigente.
Abbiamo avuto ospiti figure dell’Associazione Nazionale Partigiani che hanno espresso il pluralismo – culturale e di genere – di questo presidio di testimonianza e di narrazioni che hanno un destinatario preferito: i giovani, perché sappiano ciò che non possono ricordare. Tra le tante occasioni ricordo quella così carica di sensibilità con l’allora vicepresidente dell’ANPI Marisa Ombra.
Ebbene ringrazio il Comune di Melfi e il suo sindaco Livio Valvano che anche questo anno hanno fatto fiducia alla Fondazione Nitti e alla Associazione Nitti (la prima tra istituzioni, la seconda tra persone) per organizzare il 74° anniversario in una città in cui la stragrande maggioranza di cittadini reputa che sia una sciocchezza dire che il 25 aprile altro non è che un derby tra fascisti e comunisti.
- E’ una sciocchezza perché la guerra civile non fu una partita di calcio.
- E’ una sciocchezza perché quel dramma pose all’Italia una questione di fondo sul senso della storia, dai più scansato per anni.
- E’ una sciocchezza perché qui come in tanti altri posti d’Italia si raccontano tra oggi e domani vicende – alcune eroiche, altre comunque coraggiose, tutte comunque drammatiche – che sono parte della storia dei fatti e della storia dei valori di tutte le famiglie politiche che si sono riconosciute dall’inizio nella cultura costituzionale: dalla citata storia dei liberali (risorgimentali e post-risorgimentali), ai socialisti impegnati in tutte e tre le grandi formazioni partigiane (le Garibaldi, le Matteotti e Giustizia&Libertà); dai cattolici (che riguardano numerosamente clero e civili e tra questi i democristiani) ai comunisti (di cui il presidente Pertini non mancava mai di dire l’indimenticabilità del sangue versato); dagli azionisti (generati appunto dalle Brigate di G&L, con le loro storie repubblicane – repubblicani che presidiavano regioni di lontano radicamento, come la Romagna, anche con le Brigate Mazzini – e naturalmente anche storie radicali, liberali, socialiste; ai monarchici (e persino le Brigate Azzurre che raccoglievano resistenti antinazisti badogliani). E fatemi dire anche militari del Regio Esercito, della Regia Marina e della Regia Aeronautica – a cui, quasi tutti senza partito, per molti anni non è andato il giusto ricordo di pur drammatiche storie – che in Italia, nei Balcani, nelle isole greche, in Africa, scelsero l’onore e il coraggio e non l’inerte attendismo, pur prolungando un altissimo rischio.
Permettetemi qui il ricordo di mio padre, il tenente Emilio Rolando, medaglia al valor militare per atti eroici di resistenza, che il 9 settembre portò in montagna insieme ai greci – a cui Mussolini aveva promesso il 18 novembre del 1940 di spezzare loro le reni – la sua Compagnia della Divisione Cuneo sull’isola di Samo, salvando ai più la pelle mentre altrove (come a Cefalonia) finì in una carneficina.
E permettetemi ancora il ricordo del Capitano di Cavalleria conte Luchino Dal Verme – monarchico di nobile stirpe – che indignato per la fuga del re da Roma accettò da Italo Pietra di comandare la Brigata Garibaldi nel suo Oltrepo’ pavese, costituita da ardimentosi comunisti senza cultura militare, a cui diede disciplina e organizzazione fino a far diventare quella Brigata quella che entrò per prima a Milano il 25 aprile.
Questi sono solo brevi e dovuti cenni a proposito della sciocchezza del derby.
E prima di entrare nel merito dell’incontro di oggi voglio dirvi ancora una cosa che a che fare con gli italiani che hanno i sentimenti a posto.
Uno di loro – il signor Gabriele Vurchio, da Roma – scrive alla Fondazione Nitti, dopo aver letto sui giornali il resoconto di uno degli eventi recenti che costituiscono il percorso delle celebrazioni del centenario del governo Nitti, con un programma messo a punto dal comitato che è presieduto dal prof. Giuliano Amato, che ha svolto convegni qui a Melfi e a Napoli e che si appresta a volgere a Roma – a giugno – l’evento più significativo alla presenza del Presidente della Repubblica.
Ebbene la lettera accludeva un’altra lettera, autografa, con timbro postale dell’Italia degli anni 20,ma con data esatta imprecisa, indirizzata anonimamente alla moglie del Presidente Nitti, Antonia Persico Cavalcanti. Chi ci ha scritto voleva rendere nota questa lettera, scoperta negli archivi del nonno, non so dire se e con con quale coinvolgimento, che comunque egli stesso aveva valutato ritenendo – in questo momento storico – doveroso rendere questa testimonianza. E rispettando questa richiesta io vi leggo la lettera acclusa che sulla busa reca questa destinazione: Egregia Donna Antonia Nitti, Roma.
“Signora Nitti, se veramente volete bene alla nostra patria, dovette imporre al vostro marito di lasciare il potere senò male ve ne verà prima a voi e poi sulla vostra famiglia. Vostro marito sta portando la nostra patria alla rovina cioè al bolscevismo, possa essere maledetto in vita e in morte, non possa avere pace ne voi ne lui con tutta la sua maledette famiglia schifosa, razza abbietta. Possa il sangue del mio povero figlio perseguitarlo in ogni luogo. Che lasci subito la presidenza senò sarete prima voi la vittima e poi lui il nostro uccello di cattivo augurio. Pensateci. Saluti. Una Napoletana”
Ciò sia detto a proposito del fatto che non meriterebbe cercare di capire cosa fece perdere il senno a una parte degli italiani cento anni fa, perché non avrebbe senso misurarsi con migliaia di storie come questa che vi ho letto, essendo esse semplicemente e nulla di più che un derby tra fascisti e comunisti.
Oggi noi parliamo qui di nessi tra Italia ed Europa. Nessi che moltiplicano di dieci volte i territori e le popolazioni che allora furono coinvolti in una tragedia storica e oggi tanto più prendono le distanza dal rischio di ricadute quanto più il lavoro storico e narrativo è stato fatto in modo limpido, storiograficamente accurato, pedagogicamente non fazioso.
Noi svolgeremo – con chi siede a questo tavolo – tre argomenti essenziali.
Il primo tema lo ha toccato La Vice-Sindaca Giovanna Rufino e qualcosa ho aggiunto già io. Perché ha senso questo evento nella millenario città di Melfi? Sia nel quadro delle storie specifiche di questa città, sia nel quadro del centenario del governo Nitti – costituitosi il 23 giugno del 1919, poi caduto, nella sue seconda edizione il 10 giugno del 1920 – mentre l’insorgente populismo orchestrato da D’Annunzio riduceva alla questione di Fiume la ben più complessa questione della salvaguardia degli ex-combattenti (a cui Nitti dedicò provvedimenti rilevanti come la costituzione dell’Opera Combattenti e la creazione dell’Istituto nazionale delle Assicurazioni, ma soprattutto concependo in grande il tema della pace stabile in Europa) in un attacco alla democrazia liberale che nel giro di due anni portò al potere chi creava pretesti continui attorno alle paure e alle insicurezze degli italiani semplicemente per immiserire la portata del difficile governo del ritorno alla normalità e far credere ad un “fare ordine” che in breve tempo significò abolire il Parlamento e le libertà costituzionali, creare uno stato di polizia e portare nel giro di vent’anni l’Italia al massacro della seconda guerra mondiale, naturalmente dalla parte sbagliata della storia. Credo che tra gli altri Alessandro Pollio Salimbeni riprenderà questi argomenti, che sono un tassello del tema “libertà” scelto per nutrire di significato la parola “Liberazione”. Io vorrei solo ricordare che in libreria si sono accumulati di recente molti libri che si interrogano sul tema delle nuove insorgenze fasciste o fascistoidi.
Potrei citare molte cose, ma mi limito solo ai risguardi di impostazione di uno degli studiosi storici del fascismo più accreditati, il prof. Emilio Gentile, che si interroga su chi è “il fascista” oggi.
E così scrive, nel risvolto di copertina, ponendoci alla fine una scomoda domanda:
“A 100 anni dalla nascita del movimento fascista, a oltre 70 dalla fine del regime, “il fascismo è tornato”. In rete e nei media l’allarme è al massimo livello. Caratteristiche del nuovo fascismo sarebbero: la sublimazione del popolo come collettività virtuosa contrapposta a politicanti corrotti, il disprezzo della democrazia parlamentare, l’appello alla piazza, l’esigenza dell’uomo forte, il primato della sovranità nazionale, l’ostilità verso i migranti. (…). Insomma, all’inizio del XXI secolo, trapassato il comunismo, disperso il socialismo, rarefatto il liberalismo, il fascismo avrebbe oggi una straordinaria rivincita sui nemici che lo avevano sconfitto nel 1945. Ma cos’è stato il fascismo? E’ stato un fenomeno internazionale, che si ripete aggiornato e mascherato? Oppure il pericolo fascista distrae dalle cause vere della crisi democratica?
Il secondo tema riguarda gli annunciati nessi Italia-Europa. Che cento anni fa l’Europa fosse il sogno di pochi e il conflitto dei più, la disputa per i confini, il territorio di esercizio dei rancori, il formarsi di una doppio fronte – tra le insorgenze del fascismo da un lato e il consolidarsi di un comunismo in Russia che svelerà negli anni il suo carattere autoritario e antidemocratico – che rendevano l’idea di Europa un obiettivo che doveva ancora aspettare trenta anni per realizzarsi. E che oggi pare indebolito dal fatto che le nuove generazioni danno per scontati gli esiti acquisiti legittimando quindi la contrapposizione tra europeisti e sovranisti, che nascono questi ultimi dal ritorno del nazionalismo che non sapendo come fronteggiare la lunga crisi economica globale, credono giusto scaricare le responsabilità sui “vincoli” europei, ovvero facendo credere che facendo “meno Europa” sia possibile fronteggiare meglio la complessità planetaria del “più globalizzazione”. Noi andiamo al voto tra un mese e non voglio impegnare più di tanto una Fondazione che mantiene dall’inizio la sua prudenza rispetto a prese di posizione nettamente partitiche. Ma su questo tema nittiano per definizione che è l’Europa della democrazia e dello sviluppo, noi non possiamo fare censure. Ed è l’argomento per cui abbiamo chiesto a un rappresentante stesso delle istituzioni europee – che ha diretto la sede di rappresentanza della Commissione a Milano e ha realizzato pubblicazioni importanti sulle ragioni dell’unità europea, Roberto Santaniello, di approfondire questo punto.
Il terzo tema, ha a che fare con una questione che segnò in modo indelebile il carattere autoritario e poliziesco del fascismo e che fu risolta dopo la Liberazione con chiare e forti regole costituzionali: parlo del primato della libertà di stampa e di espressione, dell’abolizione della censura, del diritto inalienabile di informare liberamente e di non sottoporre a costrizioni contro la deontologia professionale e civile la professione giornalistica, che l’art. 21 della Costituzione riconduce alla filosofia dei contrappesi che è il metodo stesso della democrazia liberale. Anche qui l’Europa è una garanzia e un sistema di impedimento a gestire involuzioni attraverso la pretesa di regolare la materia con norme di carattere locale e nazionale. Anche perché rispetto ai tempi della Costituente, oggi la complessità sistemica dei mezzi, delle tecnologie, dei linguaggi, della globalizzazione di processi divenuti anche il campo di una esplosione di interessi economici e politici intrecciati, trasformando questioni per così dire semplici di “vero e falso” in questioni attorno a cui il mondo vede disegnata una nuova mappa di potere e una nuova scienza della propaganda e dell’indottrinamento.
Io vorrei ringraziare una valente giornalista, come Carmen Lasorella, con cui ho condiviso in Rai anche per alcuni anni – sia pure in ruoli diversi – la possibilità di svolgere un lavoro importante in unquadro allora di certezze e dei speranze. Che si sta dedicando ad un impegno civile che riguarda questa regione e che avevo interpellato per questo nostro appuntamento di oggi, mentre lei aveva altri programmi per questo 24 aprile. Poi proprio ieri ho avuto il suo contrordine, la sua agenda si è liberata e noi siamo lieti di averla qui al Centro Nitti di Melfi. Ci aiuterà a sviluppare un po’ il nesso tra questo anniversario della Liberazione e questo duro e delicato tema.
Il mio compito era di fare una cornice e annunciare gli spunti di discussione.
Una cosa desidero aggiungere prima di passare la parola. A proposito di un altro nesso, già diversamente accennato: quello tra Resistenza e Costituzione. Fu questo il filo rosso di un grande padre della Costituzione come Piero Calamandrei e fu anche il vissuto personale di una figura che merita ogni riconsiderazione – anche rispetto alla drammaticità dell’esperienza del suo governo, alla dedizione che accompagnò la sua esperienza di primo ministro e al compito difficilissimo e realizzato in modo alto e trasparente di portare ad insediamento la Costituente. Parlo di Ferruccio Parri, azionista e repubblicano, comandante in capo del Corpo Volontari della Libertà e della Resistenza italiana, capo del governo nella seconda metà del 1945, deputato alla Costituente e poi senatore a vita, scomparso nel 1881 e sepolto al cimitero di Staglieno.
David Bidussa e Carlo Greppi, hanno raccolto otto suoi scritti, ognuno con un titolo epico per il tempon in cui furono redatti, in un piccolo libro che esce in questi giorni con Laterza e che ha un titolo che nno è timido rispetto anche al nostro tempo: “Come farla finita con il fascismo”.
Vi leggo due brevi brani (più una citazione finale).
Il primo è costituito dalla conclusione della lettera di Parri al Giudice istruttore di Savona, nel processo del 1927 per aver organizzato (con Pertini, Rosselli e Olivetti la fuga di Filippo Turati da Lipari), che lo porterà prima a 10 mesi di prigione e poi a 5 anni di confino (tra cui qui a Vallo di Lucania):
“Nessuna jattanza e nessuna libidine di facile martirio da parte nostra. Ma poiché ora la legge fascista ci chiama a rispondere del nostro atto, con orgoglio ne rivendichiamo la prima e più diretta responsabilità. Con tanta più orgogliosa coscienza oggi che nulla più si oppone ai trionfatori; oggi che è pregio delle coscienze più diritti percuotere l’accidia e la ipocrisia della vita pubblica con l’esempio del sacrificio; se anche modesto; oggi che più bisogna sferzare la generale flaccidità e schiaffeggiare la viltà delle classi dirigenti con un esempio di fedeltà alle idee, oggi che è più veemente in noi di fronte all’orizzonte più chiuso la certezza dell’avvenire. Signor Giudice, la legge della fazione colpendoci ci onorerà”
Il secondo brano è parte dell’ampio discorso pronunciato, come presidente del Consiglio, il 26 settembre 1945 per l’insediamento della Assemblea Costituente. E’ interessante, molto interessante rispetto all’idea di euforia collettiva che si sarebbe pensata per quel momento, il clima politico che circonda quel difficile e, come si capisce, ancora fragile sforzo di radicamento dei principi della democrazia.
“Ora voi vedete il momento psicologico politico. Vi è una marea incomposta di malcontento che sale contro il governo, contro il regime dei partiti, ed è fenomeno di cui non ci si deve meravigliare, perché è un fenomeno naturale, fisiologico della situazione italiana. Con tante miserie e tanti dolori e tante inquietudini ed un così diffuso stato di insicurezza, ed aggiungiamo di interessi travolti dall’antifascismo. Aggiungiamo i delusi, gli spostati, gli avventurieri; e mettiamo in conto lo spirito di rancore e di vendetta dei colpiti, talché capita di assistere a un processo di inversione, per cui i rei finiscono per giudicare i giudici. E su questa situazione si inseriscono le passioni e gli interessi di parte, gli interessi politici; questi malumori si coagulano, e tentano di associarsi in lega (ndr – è proprio questa la parola che Parri usa). Questo deve allarmare? Io non credo. Alla propaganda rispondiamo con la propaganda. E l’avventura, se tentasse la sorte, troverebbe una decisa risposta. Ma quello che vi deve interessare di fronte a questa situazione di incertezza e che più vi deve stare a cuore è quella che io chiamo la causa democratica. Tenente presente: da noi la democrazia è praticamente appena agli inizi”.
E da ultimo, un breve brano, tratto dal discorso funebre che il laico Leo Valiani pronunciò il 9 dicembre del 1981 per il laico Ferruccio Parri, disegnandone con poche parole, il carattere per il quale si chiedeva la gratitudine degli italiani.
“Veniamo dalla polvere e dobbiamo tornare, tutti, nella polvere. Lo spirito che ci rende uomini, soffia quando vuole e dove vuole. La sua brezza ha animato Ferruccio Parri durante tutta la sua lunga vita. Egli era laico, intellettualmente e politicamente, ma pochi più di Parri possedevano, fra i suoi e i nostri contemporanei, le doti cristiane della devozione al dovere, dell’obbedienza ai dieci comandamenti, dell’amore della famiglia e dell’umanità, dello spirito di sacrificio, dell’umifltà”.


[1] Presidente della Fondazione “Francesco Saverio Nitti” (Melfi-Roma)