Un ricordo (anzi due) per allargare gli argomenti del tema di maturità dedicato a Gino Bartali

Il tema alla maturità di quest’anno dedicato a Gino Bartali – che qualche decennio fa qualunque giovane italiano avrebbe saputo scrivere – oggi rappresenta un bel discrimine tra chi si limita ai contenuti dei “programmi scolastici” e chi pensa che per la propria formazione sia necessario anche tenere gli occhi sulla storia sociale, sui sentimenti collettivi, sull’identità nazionale. Argomenti per cui serve una marcia in più, possibile nella storia degli studenti di ogni epoca, a condizione di spendere bene le energie disponibili.

E naturalmente la storia sportiva – pur se grandissima – non basta a comporre le condizioni per un trattamento in cui anche le virtù civili del grande campione del ciclismo italiano ha avuto riconoscimenti e narrative crescenti negli ultimi anni.

Questa mattina i quotidiani che propongono i contenuti adeguati per svolgere questo tema ricordano la vicenda della bicicletta di Gino Bartali che conteneva tra i tubi i documenti falsificati per salvare la vita agli ebrei perseguitati dai nazisti occupanti. Non una volta, ma come impegno pericoloso e parallelo a quello di chi nello sport era già una celebrità.

L’occasione è per tornare su un episodio che allarga la figura nobile del campione di Ponte a Ema (1914) tre volte vincitore del giro d’Italia, due volte del Tour de France e quattro volte della Milano-Sanremo.

Lo raccontai nel libro “Quarantotto” (Bompiani, 2008) ripubblicando un testo scritto per il Corriere della Sera il 7 maggio del 2000 in occasione della scomparsa di Bartali.

Nel 1986, da un anno ero direttore generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri avendo anche da amministrare tra tante e diverse incombenze la “legge Bacchelli”, norma che assicurava un vitalizio (non trascurabile, di 2 milioni al mese allora) a figure che si erano culturalmente e socialmente distinte ma che avevano una condizione di precarietà economica, generate da varie ragioni tra cui anche la salute.  Esauriti nei primi anni nomi “celebri” le istruttorie ormai andavano su nomi meno noti e per quell’anno le proposte avanzate al capo del Governo (allora Bettino Craxi) non lo convinsero al punto che esclamò “sono soldi degli italiani che devono capire bene le ragioni per cui li destiniamo, portatemi un Bartali”. Era un nome pronunciato a caso. Che diede tuttavia la possibilità di andare a verificare proprio quel nome. Cosa che fece Giovanni Errera, allora capo della segreteria di Giuliano Amato, professionalmente documentarista (che poi realizzò anche un docu-film su Bartali) che lo conosceva e che sapeva delle sue difficili condizioni. Un commercialista gli aveva fatto perdere i soldi, aveva piccole cose di possesso, poca salute e doveva fare le “serate” per mantenersi. Nessuno lo sospettava. I limiti della legge erano che bisognava mettere in piazza gli argomenti. Ma non fu questo il motivo della lettera di Bartali stesso al presidente del Consiglio con cui, pur toccato dalla proposta, il campione rifiutò. Rifiutò perché i suo tanti gregari di una vita, molti dimenticati, non avrebbero capito e forse neanche giustificato un “sussidio” al loro capo. Mise un PS e aggiunse: “se proprio volete far qualcosa per me, pensate a mio figlio che è disoccupato”.

Lo stesso Giovanni Errera, prematuramente scomparso, ha ricordato (l’11 aprile del 2006) la vicenda per un giornale toscano e ha aggiunto che poi alla fine lo Stato qualcosa di moralmente alto lo fece per Bartali. Ecco: “Qualche anno dopo, nel 1993, Giuliano Amato, allora presidente del Consiglio, passò da Firenze e si fermò a casa mia. Gli chiesi se riteneva possibile proporre Gino per l’onorificenza più alta. “Conosci la procedura Aggiorna il curriculum e mandami tutta la documentazione il prima possibile” Risposi: “Certo, hai ragione, Gino ora ha già 78 anni….” E lui di rimando: “No, l’urgenza non c’entra niente con l’età di Gino, il problema è un altro: presto cadrà il Governo.” Gino quando ebbe in mano il diploma di Cavaliere di Gran Croce mi disse: “Qui a Firenze, non ci aveva pensato mai nessuno che potessi meritarmi questi titoli”. E mi abbracciò. La data del telegramma che comunicava il conferimento dell’onorificenza era quella dell’ultimo giorno del Governo Amato, il 22 aprile 1993

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