Olimpiadi 2026 a Milano-Cortina. Oltre l’esultanza, fare emergere potenzialità e responsabilità

Articolo pubblicato da Arcipelago Milano il 25 giugno 2019

Stefano Rolando

Ieri alle 18, mentre il presidente Sergio Mattarella prendeva la parola al Piccolo Teatro a Milano per esprimere – a quarant’anni dall’omicidio dell’avv. Giorgio Ambrosoli – la riconoscenza del paese per l’ “eroe borghese”, il presidente del CIO Thomas Bach dichiarava allo Swiss Tech Convention Center di Losanna la netta scelta di  quel Comitato (47 voti contro 34) per la sede di Milano-Cortina rispetto alla sede svedese di Stoccolma-Aare per lo svolgimento nel 2026 delle Olimpiadi concentrate sugli sport invernali.

Lo stesso presidente del Cio ha fornito alla stampa a fine cerimonia le due chiavi di spiegazione della scelta: l’80% del consenso popolare per la sede alpina (intesa come gravitazione dolomitica attorno ad una vasta area che avrà la regia milanese) rispetto al 55% riscosso dal dossier svedese per la meno celebrata area della Contea di Jämtland, nella zona  nord-occidentale del paese pur efficacemente attrezzata per gli sport invernali tanto da avere per tre volte ospitato i campionanti del mondo di sci alpino (nel 1954, nel 2007 e nel 2019). In secondo luogo – ha detto il presidente Bach – ha pesato l’elemento di forza di Milano-Cortina in ordine al 93% di strutture già esistenti, pur mobilitando il Cio da qui a sette anni la cifra non irrilevante di consolidamento strutturale con 934 milioni di dollari.

Ha esultato la sala italiana a Losanna, hanno esultato le piazze a Milano e Cortina, ha dimostrato – anche per rispetto agli sconfitti – una esultazione flemmatica il nostro Capo dello Stato. Ma insomma il sistema Italia porta a casa un successo internazionale non irrilevante in un momento storico in cui prevale incertezza di reputazione sull’Italia e nel quadro europeo anche una evidente condizione di isolamento. Ha fatto bene il sindaco di Milano a lanciare subito la parola “Italia” nelle esultazioni.

Senza ricorrere all’esultazione mediatica di chi ravvede nel successo di Sala e Zaia (entrambi con buon inglese dal podio del Cio, con il solo distintivo italiano all’occhiello) l’ulteriore evaporazione della componente pentastellata dal fronte della difesa degli interessi nazionali, questo successo segnala tre cose:

  • la compensazione alla crisi di iniziativa italiana negli eventi internazionali dopo il ritiro “politico” della candidatura olimpica di Roma;
  • il ritorno alla triangolazione tra Stato, Regioni e Città dopo una fase di conflitto (finora sterile)  tra centralismo e autonomismo;
  • la sollecitazione a Milano ad uscire da tentazioni castellane, ovvero di soluzioni di sviluppo da Stato-Città, essendo qui in gioco la sua capacità di svolgere una regia funzionale basata su una complessità di questioni nettamente territorialistiche.

La prima di queste questioni riguarda la pluralità dei siti di svolgimento delle Olimpiadi (insieme a Cortina anche Bormio, Livigno e Val di Fiemme, oltre che Milano e Trento). E con essa sta la cifra specifica di assicurare efficienza ad un evento che a differenza di Expo (lungo, diluito e poco mediatizzato) ha caratteristiche opposte (corto, concentrato, altamente mediatizzato). La seconda riguarda il ritorno ad una egemonia culturale e narrativa italiana attorno alla potenzialità attrattiva del sistema alpino, materia di vera concorrenza del centro-sud Europa che ha in dote il riconoscimento Unesco delle Dolomiti patrimonio dell’umanità, tema rimasto finora comunicativamente sottotraccia. La terza riguarda un periodo congruo per porre l’asse del nord (in cui riprendere legami con Torino) ripensando a strategie turistiche internazionali capaci di valorizzare città, laghi, borghi intermedi, prealpe e cime.

Proprio questo preliminarissimo e affrettato elenco di potenzialità lascia aperto un problema a sua volta nazionale e di concentrazione dei territori riguardante la necessità di svolgere politiche parallele e altrettanto vigorose sulle altre tre macro-filiere del turismo italiano:

  • la filiera appenino-adriatica che ha l’urgente necessità di rispondere alla non sopita violenza dei terremoti;
  • la filiera tirrenica e delle grandissime mete delle città d’arte eccettuata Venezia (con Firenze, Roma, Napoli) tutte in evoluzione positiva ma con qualche nota inerzialità sistemica;
  • la filiera insulare con le sue superbe eccellenze ma anche con le sue superbe scarse sinergie.

Sono – come è facile vedere – tutti obiettivi di quell’agenda di concertazione inter-istituzionale che richiedono un vero governo nazionale, un sistema regionale capace di mediare tra Stato e territori, alcune città guida (Milano sempre coinvolta) pronte a dare energie intellettuali e finanziarie a piani tra di loro coerenti.

L’insieme di queste “derivate”, che cercano fin da ora di andare oltre alle comprensibili esultanze di oggi, contengono alcuni punti di perplessità e di rischio. Che, ce lo dobbiamo dire, aumentano la responsabilità di Milano – della qualità della sua politica, delle sue imprese, delle sue università – di non cogliere questa vicenda delle Olimpiadi del 2026 come un “affaruccio” commerciale, ma soprattutto come un potenziale piano di ripensamento e rilancio dell’intero sistema di progettazione plurale dell’attrattività italiana.

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