La comunicazione pubblica in materia di migrazioni

da sinistra: Stefano Rolando, ( presidente del Club of Venice), Maciej Popowski ( vice Dg Commissione europea “Neighbourhood Policy”), Giorgios Koumoutsakos ( viceministro Migrazioni governo greco), Michael Spindelegger ( Dg ICMPD, Vienna e già ministro degli Esteri austriaco), Andrew Geddes ( Direttore centro studi politiche migratorie Istituto Universitario Europeo di Firenze).

Meeting euromediterraneo promosso dal Governo Greco, Euromed e Club of Venice con il sostegno dell’Unione Europea e la gestione di ICMPD-Centro internazionale per le politiche migratorie e dello sviluppo (Vienna) – Atene 11-12 novembre 2019

Elementi di esposizione di Stefano Rolando

Presidente del Club di Venezia – Professore di Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano – Già direttore generale dell’Informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo italiano

  1. Informazione e comunicazione sono un terreno in cui si gioca una multipla partita sulle migrazioni. Innanzi tutto si tratta di cose diverse, la prima dovrebbe informare e la seconda spiegare; ma succede anche che la prima fabbrichi ansie e allarmi e che la seconda faccia propaganda. Dunque un sistema diversificato e complesso. Come è quello dei processi migratori che (dato 2017) vede la mobilità planetaria di più di 250 milioni di persone all’anno. Attori diversi, che esprimono spesso posizioni e attitudini divaricate e polarizzate. Così da non rendere utili le generalizzazioni e rendere necessarie le distinzioni.
  2. Nella cosiddetta “rappresentazione” di questo sistema si esprimono quattro ambiti tra loro relazionati, spesso con caratteri conflittuali. Primo lato. I migranti, non solo diversi tra chi si dichiara “ rifugiato” e chi viene considerato, con espressione discutibile, “migrante economico”; ma in particolare diversi – nei loro bisogni informativi e comunicativi – tra chi ha un progetto migratorio e chi non c’è l’ha. Progetti migratori di chi rischia la vita per cambiare vita, per i quali le informazioni vere sono poche, precise, funzionali con fonti per lo più poco accessibili e verso le quali vi è naturale diffidenza. Anche perché in generale la scelta che i nostri paesi fanno per i front-line riguardano molto poco operatori relazionali specializzati, ma operatori di polizia, che ben inteso devono esserci ma che hanno una priorità di ruolo per dimostrare ai cittadini di far barriera rispetto alle invasioni. Secondo lato del sistema. In cui opera chi ha responsabilità istituzionali per presidiare questo campo minato. In cui conta preliminarmente la verità statistica;  poi una trasparenza di atti che ha limiti nel limitato consenso dell’opinione pubblica occidentale a favorire i processi migratori. Quindi con il rischio di agire spesso più in condizioni omissive che di vera e necessaria spiegazione. In terzo luogo, ci sono infiniti accompagnamenti informativi nell’atto di gestire servizi con due ben diversi destinatari: i soggetti umani implicati; i cittadini, magari lontani ma che giudicano. Terzo lato. Il sistema politico-elettorale che esprime al proprio interno una partita pesante di consenso tra chi ha come primo obiettivo quello di allarmare i cittadini e tra chi invece ha come primo obiettivo quello di orientare soluzioni di gestione sostenibile dei processi. Quarto lato. La spaccatura del sistema mediatico, che rappresenta la stessa spaccatura della politica e che persegue due strade narrative: raccontare fenomeni di massa, umanamente imprecisati ma socialmente invasivi; oppure raccontare storie di persone, spesso umanamente edificanti, comunque drammatiche, che devono trovare trattamenti che corrispondono a un etica pubblica che ha ancora a favore una parte importante dell’opinione pubblica
  3. In questo scenario, gli operatori mediatici si dividono – come dismisurano le esperienze giornalistiche di questi ultimi anni) attorno a due linee editoriali che potremmo chiamare di allarmismo o di integrazione. Ma si va esprimendo anche una terza linea ancora forse minoritaria mandi crescente importanza che chiameremo di prevalente descrizione dei fenomeni e di serio accertamento dei comportamenti pubblici e privati.
  4. Gli operatori di comunicazione pubblica rispondono a principi di attuazione di politiche pubbliche sulle migrazioni. Politiche che sono ancora nettamente conflittuali, da cui dipendono infatti linee di silenzio/omissione oppure al contrario  linee di trasparenza/servizio.
    Abbiamo conosciuto operatori che appartengono, in vari paesi europei, a queste due tendenze.
    Alcuni – tra i conosciuti – davvero moderni, davvero istituzionali, davvero retti da una sicura etica pubblica. Insomma linee  evidentemente divaricate che non rendono omogeno l’approccio dei funzionari. Ma soprattutto il limite culturale (e anche di formazione) dei comunicatori pubblici – un poco, ma solo un poco, più accentuato rispetto ai giornalisti – è quello di insufficiente visione, esperienza, informazione internazionale. Così da avere uno sguardo che vede poco o male tre quarti delle cause e delle dinamiche dei processi migratori. Facendo prevalere – a volte anche inconsciamente – una “priorità nazionale”, se non addirittura “locale”, che non lavora spesso a favore della soluzione dei problemi.
  5. Noi possiamo vedere come ciò si compone non nel quadro nazionale, ma nel quadro sovrannazionale che ci riguarda. L’Europa e il Mediterraneo. Finora c’è stata una evidente debolezza della politica migratoria europea, quella che passa attraverso procedure di governance dell’Unione europea spesso bloccata da opposte visioni interne. E ancora maggiore appare la  debolezza di una politica euro-mediterranea, che passa attraverso accordi e intese prevalentemente bilaterali e ancora tese a tamponare fenomeni piuttosto che gestirli secondo strategie condivise con l’opinione pubblica. Ciò ha reso finora rende fragile la posizione di orientamento delle attività comunicative e informative che riguardano anche il modo di collaborare o di non collaboratore tra comunicatori pubblici e professionisti della notizia.
  6. Apparentemente un punto di forza in campo parrebbe essere quello delle agenzie (ufficiali e anche ufficiose) internazionali nel cui ambito operano funzionari giovani, spesso ben formati, con tendenza a non dipendere strettamente da interessi politici, economici o anche governativi; e con una crescente formazione attenta alle questioni mediatiche e informative. Già a Tunisi ne abbiamo conosciuti alcuni veramente di buon livello. Si tratta ancora di una forza piccola in campo rispetto all’armata mediatica e alla consistente rete degli operatori di comunicazione pubblica. Ma se questa forza in campo ricevesse una missione mirata avrebbe una forza notevole di cooperazione professionale che sposterebbe molti comportamenti – anche puntando su una certa leva generazionale – verso la terza posizione che ho chiamato prima “di trasparenza e servizio”.
  7. Questa terza posizione ha alcuni postulati professionali assai chiari: i diritti umani sono regola sovrannazionale primaria e vanno rispettati come principio costituzionale inviolabile; la realtà conta più della percezione, dunque la statistica conta più dei sondaggi la complessità dei fenomeni migratori (cause, origini, modalità, interventi illegali e criminali, eccetera) obbliga a portare sul terreno della conoscenza molti strumenti disciplinari che devono riverberare sulla produzione di notizie, sull’informazione, sul corredo comunicativo. Quindi non si può fare riferimento astratto ai migranti se non contestualizzando anche qualche argomento sulle cause e le sollecitazioni; non bastano argomenti di ordine pubblico o di conflitti sociali o di preoccupazioni occupazionali. Un paese serio e moderno ha una pubblica amministrazione che deve conoscere la demografia, l’urbanistica, la sociologie delle ibridazioni, il peso delle trasformazioni identitarie, le nuove narrative, eccetera, eccetera; per battere le illegalità bisogna che le stesse istituzioni non agiscano producendo, per interessi secondari, nuova clandestinità e quindi nuova illegalità.
  8. Questa vostra task force – penso a ICMED, penso a OIM, penso ad altri soggetti qui rappresentati – potrebbe fare contaminazione sia nei confronti dei comunicatori pubblici (e Club of Venice dichiara tutta la sua disponibilità) sia nei confronti delle reti dei professionisti mediatici, sui quali è più difficile intervenire.
  9. Ma eventi come quelli che l’anno scorso si svolse a Tunisi – e quest’anno credo si svolga a Malta –  dove si selezionano e si premiano giovani giornalisti liberi e innovativi, dando loro più legittimità e più responsabilità, sono molto importanti.
  10. Ancora un tema che vorrei sollevare nell’ambito della comunicazione pubblica riguarda un programma per far cooperare con strumenti di divulgazione internazionale, semplici e comunicativamente moderni, i servizi statistici euro-mediterranei, per combattere il grave deficit di strumentazione informativa corretta e soprattutto il prevalere del dato percettivo rispetto ai dati realtà.
  11. E forse in questo quadro si potrebbe anche pensare a un prodotto formativo euro-mediterraneo sostenuto da più atenei per la specializzazione dei comunicatori pubblici nel campo migratorio. Per la parte italiana posso già mettere in campo una buona rete di qualificati atenei pronti a entrare in un simile progetto.

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