Riunione plenaria
del Club di Venezia
5-6 dicembre 2019, Venezia (Italia)
Giovedì 5
dicembre 2019
9:20 – 10:15 – Indirizzi chiave
Il Club di Venezia e gli obiettivi della
riunione plenaria
Opening Statement di
Stefano
ROLANDO, Presidente del Club di Venezia




Benvenuti tutti al centesimo meeting del Club di Venezia. Le tre parole-chiave del programma di questa sessione autunnale plenaria, nel 33° anno di vita del Club di Venezia, sono:
- capacità e quindi modelli organizzativi, in relazione alle relazioni possibili tra istituzioni e società civile e in relazione agli approcci formativi degli operatori;
- tecnologie, in relazione all’enorme partita della trasformazione digitale che impegna istituzioni e pubbliche amministrazioni;
- media, da intendersi come il maggiore spazio indipendente del confronto tra potere e società, tra stato e mercato, tra culture collettive e individuali.
Proverò a proporre alcuni nessi rispetto alla condizione attuale della comunicazione pubblica europea. Ma per fare questo devo dire prima qualche parola su questa “condizione”. Ovvero sul rapporto che oggi il “grande esercito” – perchè si tratta di un “grande esercito” – degli operatori di informazione, comunicazione e funzioni relazionali che agiscono al servizio delle istituzioni europee, dei governi nazionali e delle infrastrutture amministrative territoriali, può essere misurato qualitativamente con tre grandi obiettivi:
- l’equilibrio tra fedeltà istituzionale e servizio al cittadino;
- la modernizzazione e l’innovazione di processi che abbiano al centro il trasferimento di conoscenze e l’ampliamento dell’accesso;
- il perseguimento di valori professionali ispirati alla storia valoriale dell’Europa, quindi una cultura della spiegazione non della propaganda o della manipolazione.
Ricordo che nei 33 anni di vita e di lavoro del Club questi argomenti sono sempre stati parte dei programmi di lavorio delle nostre sessioni. A volte in modo esplicito. Altre volte sono state parte di interventi liberi di testimonianze e di contributi. Qualche volta si è capito che si camminava avanti. Qualche altra volta si è capito che c’era disorientamento, ovvero che gli obiettivi erano annebbiati e prevaleva una difesa corporativa o quella che si chiama “auto-referenzialità”.
I tre obiettivi che ho indicato non hanno un luogo esclusivo di esercizio. Valgono se si opera in periferia, presso un governo, nel quadro delle grandi istituzioni sovranazionali.
Non hanno una posizione politica preferenziale. Non si identificano strettamente né con la sinistra, né con la destra né con il centro degli schieramenti politici, che riguardano l’opinione personale degli operatori non la loro etichetta di servizio. Infine non hanno un linguaggio prevalente. La vecchia modalità a stampa, la forza delle immagini e delle parole, i segni e la velocità della rete, la voce o il silenzio dell’accompagnamento reale degli utenti e dei cittadini hanno pari valore rispetto a funzioni in cui la stessa trasformazione digitale è un mezzo non un fine e quindi conta il valore aggiunto dell’efficacia sociale della prestazione.
Voglio anche chiarire che è impossibile tentare questo bilancio in dieci minuti di intervento.
Quindi mi limiterò a guardare l’andamento sotto i nostri occhi rispetto a tre temi che dominano le cronache, le agende e le priorità delle scelte di questo periodo. Mi riferiscono a questi temi:
– il tema ambientale
– Il tema migratorio
– il tema identitario europeo.
Compito dei comunicatori pubblici – rispetto ai giornalisti, ai comunicatori di impresa, ai promoter di eventi, agli spin doctor dei politici – è di mettere in campo ciò che serve ai cittadini come materia base, cioè ciò che riduce l’analfabetismo funzionale e incrementa la partecipazione.
Nel campo ambientale e nel campo migratorio al centro del lavoro del comunicatore pubblico ci deve essere la cultura statistica, la volontà di combattere vere e proprie battaglie per non fare prevalere la percezione rispetto alla realtà.
Nel campo del lavoro di consolidamento identitario al centro del lavoro del comunicatore pubblico c’è l’alleanza sistematica con gli ambiti educativi, con la scuola e l’università, tra priorità della storia ma anche con attenzione al sapere leggere soprattutto nei giovani le conseguenze della storia nel presente e quindi attorno al nodo oggi più delicato; la capacità di saper distinguere il vero dal falso.
Qualche spunto in più.
Nel campo ambientale ci sono molti eventi dedicati a capire i processi, capire la natura delle cause, capire la natura dei provvedimenti correttivi, capire perché oggi i maggiori player mondiali assumono o non assumono le responsabilità di convergere sui provvedimenti.
Capire o non capire che cosa significa essere tallonati, sollecitati, provocati da fenomeni giovanili crescenti che non devono ovviamente gestire le soluzioni ma che hanno il diritto di porre problemi.
Io non ho tutti i dati per poter esprimere un bilancio. Ma ciascuno di voi sa se nel proprio paese e nella propria istituzione sui questo argomento – che segnalo essere in cima al programma politico della nuova guida dell’Europa – quello che ho chiamato l’esercito dei comunicatori pubblici è o non è all’altezza della sfida.
Nel campo migratorio il Club di Venezia si sta impegnando oltre in propri tradizionali confini.
La nostra partecipazione alle due prime conferenze euro-mediterranee promosse da ICMPD (nel 2018 a Tunisi e nel 2019 ad Atene e ora anche al nostro tavolo) ci ha mostrato che sta sorgendo una leva di operatori di ricerca e di iniziativa al servizio di organismi di pubblico servizio che sono molto ben orientati verso la corretta deontologia di una difficile professione di servizio.
In qualche modo anche gli operatori territoriali, soprattutto nelle realtà che hanno vissuto da vicino i grandi numeri del problema, hanno imparato molto e sono frequenti i casi – anche alimentati da giovani laureati in discipline comunicative e relazionali nuove – in cui essi svolgono funzioni chiare in cui prevale cultura della vita e del servizio.
Mi spiace dire che gli operatori di comunicazione pubblica nazionali sono forse i più limitati dalla stessa controversia politica che i governi europei hanno espresso su questa materia, così da vedere prevalere in sostanza figure di controllo e sicurezza rispetto al grande bisogno di qualità informativa e relazionale che la materia impone a tutti.
Infine ci è la questione identitaria. Essa è decisiva per capire se ci sarà nuova benzina per la comunicazione pubblica dell’Europa e sull’Europa. Per molti anni la questione è rimasta bloccata tra governi e popoli che hanno sostenuto che l’identità dell’Europa è il mercato e altri che hanno sostenuto che essa è e dovrebbe essere l’identità politica.
Poi abbiamo visto che questa conflitto si è trasformato: tra europeisti (a loro volta divisi tra intergovernativi e federalisti) e euroscettici (a loro volta divisi tra nazionalisti e internazionalisti).
La questione è stata solo in parte risolta dagli elettori che hanno definito una maggioranza della rappresentanza politica europea che ha, se vuole, la condizione di riprendere un cammino interrotto. Ma il cammino va al di là del dato elettorale. Si tratta di avere un tracciato di metodo per sapere riconnettere la ridefinizione identitaria con tanti ambiti (educativi, mediatici, di arte e rappresentazione, di comunicazione pubblica) in condizioni di fare crescere non l’idea astratta di un’Europa tecnico-burocratica ma una domanda di Europa costruita su bisogni, sogni, attese e responsabilità. Anche qui non ho titolo per un giudizio. Ma credo di avere ruolo per porvi la questione in rapporto agli ambiti in cui operate.
Però mi sono giocato quasi tutto il tempo a disposizione per dire in fondo poche cose di metodo.
Ma nelle risposte che ciascuno avrà immaginato nella propria verità interiore ci sono anche gli stimoli che appartengono al programma tematico di queste due giornate di Venezia (città a cui va tutto il nostro affetto nel segnalare che alla città di Venezia sono andati esplicitamente le parole e il pensiero della presidente della Commissione Europea Ursula van der Leyen nel presentare il suo programma con in testa le questioni climatico-ambientali).
Va crescendo e consolidandosi la proposta di promuovere una conferenza sul futuro dell’Europa, presieduta da una grande personalità europea e progettata da uno steering comittee di riconosciuti esperti. Lasciatemi dire che all’Europa servirebbe molto un passaggio di questo genere, che ci riporti agli anni di una vera capacità progettuale. E’ venuto il tempo di considerare le questioni comunicative e di rigenerazione reputazionale dell’Europa come strategiche.
Pensando ad una Europa creativa e progettuale anche nella sua struttura tecnica e funzionariale, vorrei dire una parola di ricordo di un alto funzionario come Domenico Lenarduzzi, che ci ha lasciato nei giorni scorsi, a lungo a capo del settore educativo della Commissione, a cui si devono molte buone idee come l’intuizione e poi l’attuazione del progetto Erasmus, parte di quel “dossier Adonnino” al vertice europeo di Milano del 1985, sul quale ho cominciato il mio impegno di lavoro nell’Amministrazione italiana a capo del Dipartimento dell’Informazione proprio in quell’anno.
Cinque rapidi pensieri finali che vorrei dedicare a sentimenti lieti.
- Sono felice di vedere in questa sessione tra di voi, persone che oggi hanno grandi responsabilità che sono state da giovani mie collaboratrici o mie allieve (in particolare mi riferisco a due di loro qui presenti, Diana e Raffaella).
- Sono felice di vedere Vincenzo che ha tenuto duro sulla sua funzione rispetto problemi insorti. E che lo fa con sacrifici personali che aumentano la nostra gratitudine e la nostra stima.
- Sono felice di vedere qui amici e compagni della prima ora, si proprio dei primi anni di vita del nostro Club di Venezia, che vanno verso età importanti e che ancora vogliono dare il loro contributo. Mi riferisco a Hans, a Aurelio, a Nils. A altri. Tra cui Kostantinos Pappas, che rivedo con piacere o Ilva Tiveus che ci ricorda con una lettera il tema della condizione della libertà di stampa e la situazione allarmante per i giornalisti di tutto il mondo, dicendoci che “La libertà di stampa sta facendo marcia indietro nell’Unione europea”.
- E poi c’è la fascia dei “colonnelli”, quelli sperimentati e resistenti (da Claus, a Tiziana e Fiorenza, a Erik, a Arlin, a Philippe, a molti altri e altre).
- Sono felice di constatare che i nostri amici e colleghi britannici continuano a considerare il Club di Venezia casa loro. Sanno che noi condividiamo questo sentimento perché esso ha alle spalle un secolo di grandi esperienze.








Nota redatta alla conclusione della sessione autunnale plenaria del Club di Venezia
Venezia, Palazzo Franchetti, 6 dicembre 2019
Stefano Rolando
Un tavolo di confronti di esperienze diverse ha un profilo chiaramente multiscopo e non può quindi avere un netto risultato sintetico. Quaranta interventi articolati in tre panel tematici e una ampia seduta introduttiva costituiscono una materia molto sparsa. Alcuni passaggi tuttavia sono sembrati meritevoli di fare emergere indicazioni interessanti per la prossima agenda. Sono qui annotati in rapida evidenza.
Una riflessione (avviata dall’intervento del ricercatore sociale praghese Nikola Horejs) ha riguardato il tema della reputazione (conoscenza/credibilità/ fiducia) dell’Europa, almeno nella opinione pubblica ceca. L’ espressione “Europa”, negli esiti delle ricerche presentate, avrebbe più reputazione dell’espressione “Unione Europea”. Si arriva ad immaginare che la “spiegazione”, che dovrebbe essere un obiettivo alto e naturale della comunicazione pubblica, sulla realtà dei processi in atto, non aiuterebbe molto a migliorare il consenso. E che quindi – almeno in alcuni paesi (ci si riferisce alla Repubblica Ceca e in generale all’area centro-est dell’Europa) – bisognerebbe agire sulle corde di un certo “patriottismo”, ovvero di orgoglio nazionale, comunicando che “certe evidenze sono state conseguite grazie al fatto che i propri rappresentanti sono stati ascoltati e hanno ottenuto quei risultati”. Questo “passerebbe”. Non lo sforzo di “spiegare” i risultati stessi. Pur essendo gli operatori del settore dei professionisti pragmatici e pur essendo Machiavelli padre di ogni scienza politica, questo approccio deve essere oggetto di una valutazione molto prudente e molto previdente. E’ certo che essa presuppone l’esigenza di avviare una seria analisi della condizione del “brand Europa” (identità e narrazioni). Ma deve comportare altresì l’esigenza di non deporre l’obiettivo professionale di carattere generale di “spiegare”, ovvero di combattere il dilagante analfabetismo funzionale.
Questo genere di conflittualità attorno all’ incidenza sociale della comunicazione pubblica – in particolare della comunicazione istituzionale – aggiorna un reiterato bisogno spesso disatteso. Quello della “valutazione”, intesa come procedura permanente e autorevole non solo attorno al “rendimento” e alla “correttezza” della spesa, ma anche attorno all’efficacia sociale delle prestazioni e alle forme legittime per contribuire all’equilibrio reputazionale. E’ da accogliere con vivo interesse lo spunto venuto in questo senso – e in generale sulla qualità delle competenze – dal delegato dell’OCSE, capo della unità “Open Government”, Alessandro Bellantoni, che ha aperto gli interventi nel panel coordinato dal capo della comunicazione del governo olandese Erik den Hoedt.
Questi primi spunti dimostrano l’interesse alla tessitura di rapporti che il Club di Venezia negli ultimi anni, soprattutto per il lavoro svolto dal segretario generale Vincenzo Le Voci, con soggetti del sistema sociale e civile organizzato e anche del sistema universitario e di ricerca, attorno alla sussidiarietà possibile nelle funzioni comunicative, relazionali ed educative tra istituzioni e ambiti della società stessa. Si dovrebbe tener conto anche della collaborazione che sta crescendo (come è nel caso francese di Cap Com) per le organizzazioni di comunicazione pubblica nella prossimità territoriale. Insomma la sussidiarietà orizzontale e verticale si presta ormai ad un approccio più maturo in cui si potrebbe passare dai racconti di esperienza ad alcuni paradigmi condivisi. Molti gli interventi sulla materia: Marian Cramers (Dem Soc), Robert Wester (Barenshot), Olivier Vujovic (SEEMO), Daniel Koletic, altri.
In materia di “fake news” abbiamo avuto molti spunti. Il tema – inteso come strumentazione organizzata di contrasto – è entrato nel quadro funzionale di buona parte delle strutture che operano nel settore e in molti paesi. Bisognerebbe fare un passo avanti e accogliere le proposte (di nuovo espresse dal prof. Riccardo Viale dell’Università Bicocca di Milano, ma anche accennata da colleghi operanti in contesti nazionali) di operare magari con un gruppo di lavoro con basi scientifiche che proponga alcuni parametri attorno a cui la comunicazione pubblica potrebbe e dovrebbe agire. Il campo non può essere ne’ sconfinato, ne’ pretestuoso. La comunicazione pubblica non è un servizio di sicurezza. E serve analizzare un repertorio corretto è verificato che aiuti a capire la specificità degli interventi e più in generale i binari formativi degli operatori
Nel campo delle migrazioni la collaborazione con ICMPD (l’agenzia europea con sede a Vienna che ha promosso i recenti incontri euro-mediterranei sul ruolo della comunicazione e dell’informazione in questi ambiti a cui abbiamo partecipato con contributi attivi) ci fa fare passi avanti. E ci pone di fronte al problema di ruoli distinti e non omologabili – anche se con possibili convergenze – tra sistema mediatico e operatori di comunicazione istituzionale e statistica. Io stesso ho provato nella recente conferenza di Atene a ragionare su questa distinzione. Si tratta di far procedere la riflessione tesa naturalmente a una necessaria visione deontologica, anche perché su questo delicato segmento della comunicazione influisce con evidenza la politica e le attività devono essere condotte sempre più nell’alveo della corretta conoscenza non nei territori elettorali.
Vi è poi la prospettiva ormai di imminente possibile annuncio della conferenza sul futuro dell’Europa. Vari sono stati vari interventi e tutto sommato è stata accolta la nostra proposta di vivo interesse e di disponibilità partecipativa. Abbiamo compreso – anche grazie al contributo a fine lavori di Pier Virgilio Dastoli, esponente del Movimento Europeo – che essa avrà ampia durata (due anni) e che intercetterà probabilmente sia la presidenza tedesca che quella francese dell’Unione. Dobbiamo accogliere le istanze emerse sia in ordine alla auspicata trasparenza dei lavori sia in ordine alla necessità che la comunicazione non sia chiamata come semplice megafono intorno alla materia ma anche come soggetto portatore di una istanza strategica sul futuro dell’Europa. L’idea di dedicare quindi una intera sessione del CdV nell’ambito di una delle quattro plenarie nel tratto che sarà compreso in questo “cantiere” va considerata condivisibile e perseguibile.
Come sempre le questioni riguardanti la trasformazione digitale restano ben presidiate nei programmi e nell’agenda. Non vengono riproposte in questa breve sintesi, salvo segnalare ovviamente che quasi tutti i punti qui indicati sono attraversati trasversalmente dal tema.