Sentita oggi a Radio 3 (sempre il meglio che c’è in Rai) una sintesi dell’intervista di Anna Momigliano su Rivista Studio a Peter Canby, chief fact-checker del magazine americano New Yorker (rivista quasi centenaria, nata nel 1925) che è la risposta organizzativa, culturale e professionale del giornalismo americano alle fake news.
Un dipartimento con 20 specialisti (immaginare i costi!) guidati da Camby che prende in consegna ogni articolo e ogni inchiesta prima della pubblicazione, in piena armonia con gli editor e con i responsabili legali della testata, per controllare ogni fonte, ogni citazione, ogni passaggio interpretativo sia alla luce delle ricostruzioni storiche che alla luce della materia fattuale. Alla fine dell’indagine la riunione del capo di questo servizio con l’editor e il legale vara la pubblicazione che comporta sempre un passaggio approfondito di verifica condotto con l’autore o l’autrice.
L’inchiesta su Harvey Weinstein era condotta in parallelo dal New Yorker e dal N.Y Times. Il magazine lo sapeva, ma finché non è terminato il ciclo di controllo su possibili fake news il reportage non ha avuto il via libera. E’ arrivato tre o quattro giorni dopo la concorrenza, ma blindando la credibilità e la reputazione del giornale.
Il sistema dell’informazione del mondo libero cerca le risposte nel suo stesso sistema professionale, non solo aspettando leggi improbabili o mantenendo i guasti per ricavarci sopra infuriate polemiche verbali.