Club di Venezia
Sessione Finale – Public Branding e Public Diplomacy
Webinar, 4.12.2020
Intervento di Stefano Rolando

Prendo la parola, in questo round finale, come docente di Public Branding (tengo da alcuni anni corsi su questa materia che ho cercato di affermare per distinguerla con chiareezza dal marketing territoriale, che pure ha il suo ruolo concorsuale, intendendola come una costola innovativa della Comunicazione pubblica). Come ha ben detto Robert Govers. Avendola anche praticata gestionalmente. Da ultimo dal 2012 al 2017 come presidente del Comitato Brand Milano (prima, durante e dopo l’Expo del 2015).
Lo faccio per due motivi:
- Segnalare l’importanza per la CP, in questo difficile momento storico, di lavorare sui cambiamenti della materia
- Introdurre qui, dopo di me, l’amico e collega Paolo Verri, che è uno degli operatori più noti del settore, che ha portato a successo l’esperienza di Matera capitale europea della cultura nel 2019.
Provo una breve definizione.
Public Branding sommatoria di Nation Branding, Country Branding, City Branding – è l’analisi e la gestione del patrimonio simbolico collettivo, materiale e immateriale, che chiamiamo anche identità, che viene raccontato e liberamente interpretato alla comunità e fuori dalla comunità; narrazioni che si sommano a stereotipi e anche disinformazioni e che producono una qualità di immagine che produce relazione (immaginaria o reale) e attrattività. O che oppure non la produce. Da qui la condensazione analitica attorno al concetto di “reputazione”. Come dimostrano i ranking molto differenziati di città e nazioni che il mio amico Simon Anholt realizza in Gran Bretagna e che gli americani realizzano operando sugli investors internazionali.
A proposito della “reputazione” voglio dire, come dico sempre perché è un chiarimento ancora necessario, che la responsabilità pubblica non è quella di formare i contenuti del brand (salvo dare un parziale e legittimo concorso), ma soprattutto quella di promuovere il dibattito pubblico, di garantire i dati e di garantire tutte le voci sociali in campo. Alex Aiken è intervenuto sul concetto di “reputazione”, ben rappresentando i modelli di grande tradizione professionale e civile britannici. Ha introdotto un “poker” dei fattori costitutivi che rendono chiaro che essa non si garantisce con la propaganda, ma con “economia, sicurezza, cultura e innovazione scientifica”.
Perché ho parlato di cambiamenti?
Perché per anni – pur chiarendo le differenze rispetto al marketing territoriale che è una leva operativa conseguenziale e non esaustiva rispetto allo spettro di analisi del Public Branding – si è cresciuti in una dimensione di sviluppo e successo della mobilità, della velocità e della attrattività. La Pandemia sta modificando radicalmente questi parametri. Per alcuni versi solo per aspetti congiunturali. Ma per altri credo anche in modo strutturale. Penso per esempio ai parametri ambientali, di crescente ineludibilità.

Dunque il ripensamento oggi è necessario. E i paesi europei ed euro-mediterranei hanno motivi per svolgere questa analisi e questo approccio operativo il più possibile in modo uniforme.
Esco nei prossimi mesi con un testo di ripensamento che rivisita appunto questi parametri in cambiamento. L’importanza culturale e professionale della materia – se si riuscirà a tenerla nel perimetro della comunicazione pubblica (premono tutte le professioni, economiche, sociologiche, urbanistiche, eccetera) è di avere una leva di comunicazione che guarda allo sviluppo e alla crescita, facendo continui patti tra pubblico e privato. Mentre il grosso delle leve della comunicazione pubblica è impegnato su materie di crisi e di emergenza o in funzioni di contrasto. Govers ha introdotto il tema della mutua influenza tra PB e Public Diplomacy, interessante prospettiva. Con due segnali da discutere: che non è molto opportuno spostare gli aspetti gestionali delle dinamiche reputazionali nella area delle professioni diplomatiche (che pure devono concorrere e di cui ho certamente rispetto) e che vedo in queste materie prevalere il profilo della “pubblica utilità” appunto quello che ho chiamato patto tra pubblico e privato, più che una integrale collocazione nelle competenze istituzionali. Del resto giustamente Robert Govers ha parlato di “condizione per la collaborazione di comunità”. Considero per questo – come sa e condivide il nostro segretario generale Vincenzo Le Voci – maturo il tempo per una sessione del Club of Venice interamente dedicata a questo campo e volevo – proprio in questi giorni di pandemia – richiamare la vostra attenzione sul tema.