Un week end con voci stonate.
Il largo favore dei sondaggi che emerge in queste ore attorno alla figura di Mario Draghi è già la prova della discontinuità indispensabile per rimuovere dalla scena anche vecchi teatrini.

Articolo pubblicato dal giornale online L’Indro, 8.2.2021
https://www.lindro.it/draghi-nel-segno-di-ciampi-repubblica-e-res-severa/
Stefano Rolando
Questo week-end, annunciato come uno spazio di riflessione, ha contemplato anche alcune convulsioni in uno scenario che, per la verità, non è abituato ai silenzi, al rapido punto di mediazione, alla gerarchia seria dei problemi, alla memoria di storie edificanti e al buon gusto davanti ai cittadini.
Come ha detto impietosamente ma senza cattiveria Filippo Ceccarelli di “Repubblica” (in una rara apparizione televisiva a Propaganda Live), siamo stati governati per un tratto ormai lungo da una dominante adolescenziale, quella del gioco che facevamo da ragazzi sui campi sterrati, “o la palla o il piede”. Insomma l’insulto mezzo aggressivo e mezzo carnevalesco. La ripicca del “non ci gioco più”. La collera a metà per gelosia e a metà per mostrare gli attributi.
E’ questo insieme di cose che ha reso impossibile fare una qualunque quadra attorno al Conte 3. Almeno lui restando spesso fuori da questi riti. Ma privo del rango necessario per ottenere un setting adeguato al rapporto ormai obbligatoriamente severo tra etica della crisi e limiti della rappresentazione.
Si piantavano i coltelli nella schiena a vicenda, strizzandosi l’occhio. Come per dire, ognuno per sé ma tutti nella stanza dei bottoni. E i bottoni del 2021 sono 500 nomine pubbliche di livello e mille progetti attorno a cui possono arrivare molti soldi dall’Europa. La fragilità ormai strutturale del tessuto di governo non è un fattore tecnico matematicamente misurabile (come lo è una maggioranza al voto). Ma è la precondizione per adempiere o non adempiere agli ineludibili obiettivi di questa fase storica, rischiando di mandare il paese fuori strada.
Se si riascolta il discorso del presidente Mattarella, al termine del giro esplorativo fallito svolto dal presidente della Camera, si coglie un testo per nulla improvvisato, a lungo maturato e coperto, lasciando svolgere il copione del rito ricompositivo fino alla sua inevitabile conclusione. Nessuna ricomposizione possibile.
Quel discorso conteneva, con una certa fermezza, tutte le regole di discontinuità a cui questo week-end – con al centro le contorsioni dei fronti populisti, quello grillino e quello leghista – ha cercato di assegnare piuttosto il valore di una predichetta, facilmente trascurabile.
Tra l’altro, a proposito di fermezze, si è visto metter mano ad una pratica diventata decisiva nella formazione degli ultimi due governi, quella del trasformismo, per cambiare radicalmente posizione da un giorno all’altro.
Certi soggetti politici non sono ormai decifrabili in base alla coerenza e alla capacità dimostrate. Ma si fanno riconoscere dal ritmo delle invettive, dagli anatemi detti e contraddetti, dal “mai più” cancellato senza preavviso. Eccetera. Qualcuno dice “siamo cresciuti”, ma altri purtroppo lo smentiscono.
Sentire i cinquestelle che spiegavano, prima ancora di averlo ascoltato, che tipo di governo deve fare Draghi (Giuseppe Conte in testa) è parsa un’evidente stonatura. Così come ascoltare da Salvini il recupero della parola Europa solo associata all’idea di “andare a picchiare i pugni sul tavolo” (“non è questione di essere europeisti o anti europeisti, se ci sarà un’impresa italiana, una spiaggia italiana, da difendere, noi saremo a Bruxelles a difendere l’interesse nazionale”), non ha fatto una bella impressione. La regola “europeista” è che l’Europa sei tu. Per il momento andare a Bruxelles a difendere le loro spiagge tocca ancora agli albanesi, augurando che anche questa transizione per loro passi. Non è una buona idea quella di retrocedere per definizione.
Insomma da una parte invocare il “governo politico” pare significare solo conservare il posto che lo stesso elettorato di qualche anno fa, dimezzandosi, ha ritenuto mal gestito. Dall’altra parte è credere che basti tornare a proporre il nazionalismo litigioso a Bruxelles per mostrarsi adatti a un governo europeista.
Lo stesso Renzi, che beneficerebbe molto di un silenzio che lasci ai fatti dimostrare il ruolo che indubbiamente ha avuto nella crisi, passa il fine settimana a raccontarsi “come un Machiavelli”.
Le discontinuità necessarie
Ora, questo articolo è una semplice opinione. Non concorre a formare una maggioranza o a contare i voti in Parlamento. Il presidente incaricato saprà alla fine certamente come mettere al sicuro il mandato nell’ambito di un approccio di metodo concordato con il Quirinale.
Il punto è che il largo favore (tutti i sondaggi) che emerge in queste ore attorno alla figura di Mario Draghi, una volta palesatasi un’alternativa di leadership vera, è già la prova della discontinuità indispensabile per rimuovere dalla scena – complici in una certa parte pure i media – anche questi vecchi teatrini.
Poi magari non sarà così e comunque per ora non trapela alcun indizio. Ma si potrebbe anche immaginare che, insieme a figure competenti e di sicura dedizione istituzionale, ci possano essere figure di carattere “allusivo” ovvero “simboliche” rispetto alle aree significative delle tendenze elettorali rappresentate. Ma – come il presidente Mattarella ha detto esplicitamente – non tali da configurare questa o quell’altra rappresentanza politica. Figure che potrebbero concorrere ad una maturazione del ruolo e della prospettiva di tutti i soggetti politici italiani, da destra a sinistra, nel senso europeo delle partite aperte. Escludendo attitudini punitive. Ma escludendo altresì la prosecuzione sic et simpliciter di una sceneggiata sterile e dispersiva del confronto politico in Italia.
Non è per caso che il presidente incaricato abbia una storia legata al modo con cui Carlo Azeglio Ciampi ha interpretato il senso di un servizio al Paese in tutti i suoi elevati incarichi. Il motto di Ciampi è stato: Repubblica res severa. Dunque proprio attorno alla forma di esercizio di quel servizio che, prima ancora dei contenuti, corrisponde a una necessità di uscire ora dall’infantilismo berciante che purtroppo è arrivato (ma c’era chi l’aveva detto dall’inizio) anche a sfibrare un gruppo dirigente che ha una sua maturità come è quello del PD. E’ anche immaginabile che il “governo politico” di Draghi possa consistere piuttosto nel rispettare e stimolare in un certo senso il percorso che i partiti vorranno fare per la loro rigenerazione. Non cose astratte, ma necessarie all’Italia. Far crescere proposte all’altezza delle sfide nella democrazia politica – che dobbiamo ovviamente consolidare non vanificare – che affronterà le prossime elezioni. Non è difficile pensare che lo spazio di governo del duro 2021 non possa essere l’arena di risse quotidiane in nome della visibilità, del puro annuncismo, delle lotte intestinali e della mancanza di disciplina. Come scrive Ferruccio de Bortoli sul Corriere: “Draghi manterrà soprattutto un atteggiamento di sobrietà comunicativa”.
L’effetto Draghi lo ha ben spiegato Roberto D’Alimonte sul Sole-24 ore di ieri, domenica: “A fare i conti con il cambiamento sono ora soprattutto M5S e la Lega”, una metamorfosi che oggi esprime tensioni ma anche ampie resistenze. Soprattutto una metamorfosi che deve svolgersi in un tempo in cui “la frattura sovranista” sia veramente superata – questo per D’Alimonte il “principale effetto sistemico” – senza far pagare all’azione di governo i naturali contraccolpi.
Mario Draghi non è superman, non è il messia, non è la politica angelicata. E’ un ottimo rappresentante di una classe dirigente messa a dura prova negli ultimi venticinque anni di storia politica del Paese che, non a caso, ha ritenuto di esprimersi alla fine meglio sullo scenario internazionale.
Il presidente Mattarella, che è professore di diritto parlamentare, nutre sicuro rispetto per la priorità rappresentata dalla formazione di una maggioranza. Ma ha spiegato agli italiani l’eccezionalità di un contesto che questo ultimo week-end annuncia come un argomento che alcuni capiscono bene, altri fanno finta di non avere sentito o capito.