Articolo pubblicato sul n. 3/2021 della rivista mensile di cultura politica Mondoperaio
Stefano Rolando


E’ un venerdì in “arancione scuro”, dieci-dodici gradi come deve fare ai primi di marzo, un solicello da contentarsi, ma alla vigilia di ulteriori restrizioni.
Così il 5 marzo, nella sua Milano, se ne è andato il sindaco per definizione della città, Carlo Tognoli, che sindaco per davvero lo è stato dal maggio del 1976 al dicembre del 1986, per dieci anni.
Uno dei politici milanesi che ha più intercettato l’interclassismo, una certa trasversalità nel rispetto di storie e tradizioni, certamente annoverato tra gli artefici del socialismo ambrosiano di continuità.
Una storia lunga questa della variante riformista milanese. Coraggio anti-massimalista ai tempi di Turati e Kuliscioff; coraggio partigiano nei giorni della Liberazione con le matteottine e le garibaldi prese di mira dai cecchini fascisti; coraggio della reinvenzione, compensato dalla centralità politica nella lunga marcia del gruppo dirigente socialista che si forma dalle costole di Guido Mazzali, attraverso Natali e Craxi e avvia alla politica due giovani (compagni di banco) come Tognoli e Gangi nel ’56, l’anno dei fatti d’Ungheria. In realtà Carlo Tognoli – perito chimico in una azienda farmaceutica specializzata nella produzione di cortisone – prenderà la tessera nel ’58, frequentando da studente lavoratore la Bocconi, senza completare gli studi, avviato al funzionariato di partito nel ’62 a Cormano e nel 1969 segretario cittadino del Psi.
Del ricordo delle sue attività prima della politica – lo dice oggi Walter Marossi, l’amico editore – sceglierà poi di privilegiare il mestiere di venditore di stampe antiche. Che gli diede un altro coraggio, politico e culturale, di puntare per primo – da sindaco – al rinnovamento del volto culturale di Milano; di sdoganare con una grande mostra gli “anni trenta”; di rivolgersi ai milanesi privati dalla villeggiatura con una Milano aperta che Beppe Di Leva gli metterà a punto nell’avvio degli anni ’80. Scriveranno insieme La cultura come terapia (L’Ornitorinco, 2010) e Tognoli, nell’introduzione, chiarirà bene il senso anti-ciclico di quella scelta (che vale anche per il dopo pandemia): “L’obiettivo degli amministratori comunali era quello di contribuire, con la cultura, al superamento di un periodo di crisi della città: crisi economica, sociale e di identità in una trasformazione profonda della società industriale che si convertiva a postindustriale”.
Nei ricordi della sua “squadra” molti rivendicano i primati del sindaco. Scrive Maria Luisa Sangiorgio (allora assessore all’istruzione, in quota PCI-miglioristi): “la pedonalizzazione di corso Vittorio Emanuele, la navigazione del Naviglio, il raddoppio del Piccolo Teatro, la metanizzazione della città, il passante ferroviario, le grandi mostre, il risotto in piazza per superare la paura del terrorismo, il progetto educativo unitario per i bambini da zero a sei anni, il centro Milano Donna e tanto altro”. Aggiungendo qualcosa ormai sorvolata nelle cronache, ma qui non tralasciabile: “Caro Carlo, hai avuto Il socialismo riformista come bussola politica e come scelta di vita tanto da chiamare i tuoi figli Anna e Filippo”.
Oggi a Milano è una fitta trama di pensieri, ricordi lieti, dispiaceri profondi. In rete, a voce, al telefono. A dispetto delle restrizioni. Ma anche subendo i limiti di questa maledetta pandemia. La moglie Dorina racconta al Corriere la pena degli ultimi giorni, dopo aver riportato a casa Carlo dall’ospedale in grave prostrazione e senza speranze. Alla Coloniale di corso Genova oggi ci sarà ben stato qualcuno a parlare delle tante volte in cui si è sentito dire a voce alta “Ciao Sindaco” a chi dava lì appuntamenti per condividere tempo e abitudini con la città. Era un bel rito quello di tanti che gli davano del tu senza conoscerlo di persona. Una identificazione cominciata anni prima. Nella sua lunga presenza a Palazzo Marino dove oltre ai rappresentanti dei partiti c’erano i “tognoliani di ferro”. Dal Pci al Msi. Me lo disse una volta con fierezza Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri, ex-MSI. Per parlare di sé stesso. Come l’avrebbe detto un Quercioli, un Del Pennino o un Dc del tempo. Perché – pur con coerenza di posizioni – Carlo Tognoli interpretava come pochi il “municipalismo ambrosiano” che non è stereotipo e nemmeno localismo. Ma patrimonio simbolico.
Speravo proprio che se la cavasse, anche se non rispondeva più agli sms. Era guarito dal Covid ma non dalle conseguenze e la riabilitazione per la gamba fratturata non andava un gran che. La vista persa. Si era insinuata anche la depressione. Proprio lui, pronto sempre a mille cose. Senza protagonismo, “schivo e burbero” come lo ha definito Claudio Martelli. Soprattutto quando era in gioco la memoria della città e del socialismo milanese. L’ultima di quelle cose che avevamo organizzato fu il 30 ottobre 2017 nel chiostro dedicato a Nina Vinchi al Piccolo Teatro per ricostruire – tutti con un copione (e larga improvvisazione) – l’agenda di Paolo Grassi dalla Liberazione (25 aprile ’45) alla fondazione del Piccolo (14 maggio ’47). In molti a svolgere ciascuno una parte di indagine: Ferruccio de Bortoli, Donatella Bartoli, Alberto Bentoglio, Maria Grazia Gregori, Marta Boneschi, Sergio Escobar, Andrée Ruth Shammah, naturalmente Francesca Grassi, Carlo (a raccontare gli “sfondi” urbani) e io (a raccontare apodittiche citazioni grassiane). Anche in questa occasione Carlo Tognoli voce di Milano. Inconfondibile, pacata, documentata, chiara.
Con Lodovico Festa aveva scritto una storia di Milano (Milano e il suo destino, Boroli, 2010): “di quelli che si sforzavano sempre di studiare e di aggiornarsi” scrive Lodovico. Con Maurizio Punzo aveva scritto Parlando di socialismo (L’Ornitorinco, 2013). Ugo Finetti – sodalizio di una vita – ha avuto il compito di raccontare la sua vicenda nel congedo laico domenica 7 marzo, cominciando dal discorso programmatico nel 1980: “prima di essere eletto sindaco e appena prima di un attentato terroristico che ebbe bersaglio Palazzo Marino”.
Il cursus honorum di quella generazione partiva da Milano e arrivava al governo e al parlamento europeo. Anzi partiva da Cormano, come il cursus di Bettino Craxi partiva da Sesto San Giovanni. Parlamentare dal 1987 al 1994, europarlamentare a fine anni ’80, due volte ministro (Aree Urbane dal 1987 al 1989 con De Mita e Turismo e Spettacolo dal ‘90 al ‘92 con Andreotti). In entrambi i casi i motivi di collaborazione furono tanti, con tracce editoriali e convegnistiche. Ma l’episodio che voglio citare è un paradigma di quell’efficienza che non gli era stata individuata dalla “stampa progressista” del tempo, quando propose la sua candidatura a sindaco in alternativa ad Umberto Dragone, brillante esponente della sinistra lombardiana. Giorgio Bocca lo dipinse come un grigio apparatchik, esponente di un’epoca di burocratica fedeltà ai capi. La racconta oggi Marco Dragone (figlio di Umberto, poi – da grande – portavoce di Giuliano Pisapia) con la narrativa del “dopo”, dell’amicizia profonda, del riconoscimento delle qualità umane e amministrative.
Primavera del 1986. Carlo Tognoli era sindaco da dieci anni, io direttore generale a Palazzo Chigi dal 1985. Varammo, nelle collane editoriali della Presidenza del Consiglio, un trimestrale dedicato alla cultura e alla scienza in Italia, dedicando il cuore tematico del primo fascicolo alla cultura a Milano. In vista di quell’obiettivo resi visita al sindaco a Palazzo Marino, cogliendo l’occasione per parlare di alcuni argomenti (salone del libro, eventi di rilevanza internazionale, eccetera). Il sindaco stava seduto in poltrona e teneva un block-notes sul bracciolo. La buona conoscenza dagli anni ’70 ci risparmiava convenevoli. Se entravo in un argomento di qualche concretezza, lui annotava. Se l’argomento andava a conclusione, il sindaco suonava un campanello. Un ausiliario entrava con discrezione nella stanza, ritirava il foglietto. E la procedura proseguiva. Al momento del congedo erano partiti per la segreteria almeno cinque bigliettini. Non avrei fatto a tempo ad arrivare in fondo alle scale che quei bigliettini si erano trasformati in pratiche istruite. Non certo per il potere delle mie parole. Ma perché la concretezza del sindaco aveva selezionato ciò che considerava opportunità e stringeva i tempi per verifiche e istruttorie necessarie.
Se non si parte da qui non si comprende appieno la fortuna della sua lunga sindacatura. Che aveva coperto anche i sette anni di Sandro Pertini al Quirinale, che riconosceva in quel sindaco le virtù che il presidente attribuiva ad una città che gli era molto cara. Così da accogliere sempre volentieri le opportunità (in primis l’inaugurazione della Scala) e a sentirsi in sintonia con la sobrietà di un protocollo fatto di memorie comuni. Altra forza istituzionale arrivò naturalmente a Tognoli dall’accompagnare per tutto il suo mandato il quadriennio di Bettino Craxi a Palazzo Chigi, compreso il vertice europeo del 1985 che “giocato in casa” significò il successo di una politica tesa al raggiungimento dell’obiettivo del mercato interno e del dossier sulla Europa dei cittadini che mantengono tuttora quell’evento nella storia dell’integrazione europea. Nel mio Una voce poco fa (Marsilio, 2009) è lo stesso Tognoli a ricordare con due cifre il successo socialista milanese dei suoi anni: “Arrivammo al 20% e io a 73 mila preferenze”.
Carlo Tognoli è stato, come si è detto, molto altro. Ma soprattutto ha avuto un legame con la storia della città e del socialismo riformista radicato a Milano. Intrecciato a una infinità di eventi e occasioni (tra l’altro tra il 1981 e il 1992 è stato direttore della rivista di origine turatiana ‘Critica sociale’) in cui la sua dedizione è stata senza risparmio. Con la stessa meticolosa preparazione che fa parte dell’etica delle persone che prendono sempre sul serio ciò che è affidato alla loro responsabilità: da una grande istituzione che parla al mondo a una relazione per un piccolo convegno in una biblioteca comunale nella periferia della città. Anche questo non è un cenno generico, ma un ricordo personale di accadimenti nella via Valvassore Peroni n. 56, dalle parti del Giuriati, un tempo invisibile a occhio umano per i mesi invernali della nebbia. Lunghi e grigi.