Stefano Rolando [1]
Editoriale di Mondosanità (rivista di informazione scientifica – n. 8/ 28 febbraio 2021)


Il 23 febbraio del 2020 due contagi a Codogno, anticipati da notizie non affliggenti su una crisi epidemica che aveva riguardato la città di Wuhan in Cina. L’anniversario ora è prossimo. Ricordo le preoccupazioni e al tempo stesso la rara percezione della catastrofe mondiale che sarebbe seguita. Anche se nella mia università già verso la fine del mese stavamo lavorando al primo dossier di informazione sul rapporto tra comunicazione pubblica e minaccia epidemica e ai primi di marzo il rettore dell’ateneo, il prof. Gianni Canova, sollecitava la costituzione di un team di monitoraggio permanente sul tema che poi ha lavorato a tempo pienissimo per assicurare un servizio quotidiano e dossier tematici ogni fine settimana fino all’autunno[2].
Sono note a tutti le tre fasi di sviluppo della pandemia. La prima – dopo una certa confusione e complessi assestamenti di presidio – affrontata con il lockdown che ha condotto all’estate e con un bilancio pesante per il nostro Paese. Dopo l’allentamento estivo, una seconda ondata che ha portato in criticità molti paesi più risparmiati nella prima fase, con una sollecitazione straordinaria alla ricerca dei vaccini e una gestione più conflittuale tra esigenze sanitarie ed esigenze dei sistemi economici. La terza, in corso, con la buona notizia dell’arrivo straordinario dei vaccini prodotti nel mondo e la cattiva notizia della incombenza perniciosa delle “varianti”, dunque con ipotesi di prolungamento delle condizioni di crisi e quindi di “convivenza” con la crisi stessa almeno per l’anno in corso.
Il punto del rapporto tra comunicazione e Covid19 è complesso. Ma potremmo fare una forte sintesi attraverso i seguenti punti.
- Insieme alla comunità scientifica e alla comunità produttiva e del lavoro, la comunità professionale dell’informazione e della comunicazione è stata il terzo principale attore in campo – a fronte della doppia sponda dei decisori da una parte e dei cittadini dall’altra – per il carattere pervasivo e ineludibile di un’azione permanente di connessione generalizzata; per l’ ingresso nelle case di tutti gli abitanti del pianeta; per la mediazione continua tra opposte interpretazioni e soprattutto opposte valutazioni di fronteggiamento.
- Questo carattere ha assunto in molteplici momenti anche un profilo totalizzante, caricando nel processo rischi di infodemia (e quindi anche con produzione e circolazione di fake news). Esso ha portato ovviamente una forte responsabilità professionale agli operatori (gestione dell’informazione “tecnica” e di servizio, gestione delle interpretazioni, rappresentazione di conflitti e dualismi, eccetera), facendo maturare un parallelo importante dibattito. Così come il sistema sanitario è stato impegnato dal rapporto rischi-opportunità del grande impatto epidemiologico e organizzativo e il sistema tecnologico-produttivo ha dovuto fronteggiare grandi processi riorganizzativi e modellistici.
- Al centro della curva di apprendimento di questo settore vi è il rapporto tra la cresciuta domanda di “spiegazione” negli utenti e la relazione tra una partecipazione informata e consapevole dei cittadini e una dimensione dominata (pericolosamente) da caratteri di analfabetismo funzionale e di ritorno.
Al punto in cui siamo, un anno dopo e nel pieno della terza fase, questi tre elementi si mescolano e segnalano una mappa di condizioni maturative (etico-professionali) che caratterizzano sia i media di tradizione, sia la dimensione della rete, sia le forme comunicative politico-istituzionali che quelle sociali e di impresa.
Ma anche una mappa di condizioni involute che hanno a che fare, in vari contesti, con l’insufficienza del rapporto di qualità con le fonti tecnico-scientifiche. Ovvero con eccessi di allarmismo o eccessi di cedimento alla propaganda. Dunque la qualità di governo e la qualità sociale diventano fattori essenziali per comprendere – territorio per territorio, paese per paese – se alla fine di questa immensa e travolgente vicenda saremo migliori o peggiori. Avendo per certo che la risposta non è unica per il genere umano. E che nei tantissimi punti intermedi che si definiscono si colloca il valore aggiunto di un sistema rispetto alle prospettive oppure l’involuzione peggiorativa che può risultare un danno anche maggiore di quello provocato dal pur terribile virus.
[1] Professore di “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica” all’Università IULM di Milano e direttore scientifico dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione della stessa università.
[2] La sintesi qualitativa di quell’esperienza in S. Rolando, Pandemia. Laboratorio di comunicazione pubblica, ES-Editoriale Scientifica, novembre 2020 (elementi sul sito della casa editrice).